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Pompeo Benincasa: il mio ricordo di Claudio Lo Cascio

L’articolo del direttore artistico di Catania Jazz sul pioniere del jazz siciliano scomparso a 88 anni. La sua orchestra in cartellone con Miles Davis nel festival del 1986. L’impegno per una legge democratica sulla musica
L’autobiografia di Claudio Lo Cascio

È morto ieri Claudio Lo Cascio, il mondo del jazz gli deve moltissimo e non solo in Sicilia. Io mi trovo sempre in difficoltà a parlare delle persone che se ne vanno. Ma non siamo fatti tutti allo stesso modo, ci sono anche quelli che anziché limitarsi all’ossequio e al ricordo, strabordano. E così nel giorno della sua morte trovano il tempo di ricordare che nel 1986 allo stadio di Palermo, se qualcuno l’avesse dimenticato, la sua orchestra era in cartellone per poi aggiungere i nomi di Miles, di questo e quell’altro, tutti i grandi nomi, nessuno escluso. L’unico festival estivo organizzato in decenni prima che arrivasse la generosa (e i magistrati diranno se legale) manina della politica siciliana.

Ho conosciuto Lo Cascio la prima volta quando venne a Catania, nella primavera del 1984 per conto del Giornale di Sicilia a recensire, mi pare, McCoy Tyner, e poi venne a cena con noi. Veniva come venivano i giornalisti dell’Ora e dello stesso GDS (ma di norma era Fabio Caronna ad arrivare) a tutti i nostri concerti della nostra prima stagione. Perché i giornalisti palermitani venivano a Catania? Perché in quegli anni a Palermo c’era pressoché il nulla, e lo scrivevano pure. E quindi questa cosa nuova, che riempiva un teatro da 1.800 posti, li incuriosiva. E la curiosità di Lo Cascio era palpabile. Ci fece un sacco di domande: da dove uscivamo fuori, chi ci sosteneva, che volevamo fare. Noi sapevamo bene che cosa facesse lui, avevamo quella sera un timore referenziale, non avevamo tutte le risposte alle sue domande. 

Claudio Lo Cascio era nato a Palermo nel 1934

Lo avrei incontrato pochi mesi dopo, in un luogo imprevedibile: la sede del PCI in Corso Calatafimi a Palermo. C’era una riunione convocata dall’allora segretario del Partito Comunista palermitano, Luigi Figurelli, c’era il barone Agnello (anche lui vedevo per la prima volta), Nuccio Vara presidente dell’Arci, altri organizzatori musicali. Fu una riunione che toccò momenti durissimi e aspri tra gli stessi membri del PCI siciliano, perché c’era anche l’on. Adriana Laudani, catanese, presidente o vice (non ricordo bene) della Commissione Cultura all’ARS. Oggetto? Una proposta di legge sulla Musica, firmata da tutti, dal PCI al MSI nessuno escluso, con primo firmatario Gianni Parisi. Era composta di soli quattro articoli, una pagina, non più di una pagina, con la quale la Regione Siciliana stanziava un bel mucchietto di lire per quattro sole associazioni musicali che erano appunto gli Amici della Musica di Palermo, il Brass Group di Palermo e le due associazioni musicali messinesi. Tutto qui, una legge ad personam (ne sarebbero venute fuori altre negli anni seguenti). La Laudani si mise di traverso, cazziò Figurelli dicendogli di non occuparsi di cose che non gli competevano, e ne disse quattro al barone Agnello che chiedeva al PCI di rispettare i patti. 

Noi, appena nati, non eravamo nessuno, ma Claudio Lo Cascio no, e intervenne con decisione e a voce alta, schierandosi dalla parte della parlamentare catanese che invece voleva far nascere una VERA legge sulla musica (sarebbe nata l’anno dopo, nel 1985, la famosa 44). Usò parole di fuoco contro le quattro associazioni che pretendevano quella vergogna.

Quel giorno lo apprezzai molto. Una delle poche, quasi unica, vittorie della democrazia nella musica siciliana. Potrei continuare ma non lo faccio. Io Claudio Lo Cascio lo voglio ricordare così. Lui, la sua scuola, la sua orchestra non hanno avuto, chissa perché, la fortuna che meritavano. Chiamiamola così.

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