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Playlist #55: voci malinconiche e inquiete

–  “Lives Outgrown” di Beth Gibbons e “Hit Me Hard and Soft” di Billie Eilish sono due capolavori e si candidano a dischi dell’anno. Ma attenti anche a Cassandra Jenkins ed a Arooj Aftab
– L’indie-rock degli Arab Strap analizza il comportamento umano nell’era digitale. Il racconto di una apocalisse in “Death Jokes” degli Amun Dunes e il ritorno dei Cage the Elephant. Un flop il “Tribute to Stop Making Sense”

“Lost Changes”, Beth Gibbons

Beth Gibbons ha fatto dell’inattività una forma d’arte. Con i Portishead cantava come se fosse appesa al microfono per la vita, la sua voce era l’incarnazione della malinconia. Da allora, i suoi lavori sono arrivati al ritmo di lumaca e la sua leggenda è cresciuta sul silenzio. Dopo l’uscita di Third di Portishead, nel 2008, Gibbons ha eseguito la Sinfonia n. 3 di Górecki con la Polish National Radio Symphony, presente in Mother I Sober di Kendrick Lamar, e ha fatto poco altro in pubblico. Gibbons non fa nulla che non debba fare e il che rende l’uscita di Lives Outgrown un avvenimento.

Allora perché Lives Outgrown ha portato Gibbons fuori dal suo guscio? E perché adesso? «La gente ha cominciato a morire», ha spiegato. Tre decenni dopo che i Portishead sono apparsi per la prima volta sulla scena, si reintroduce con un album ispirato agli addii. «Quando sei giovane, non conosci mai i finali, non sai come andrà a finire», aggiunge. Al centro di Lives Outgrown c’è un intreccio tra passato, presente e futuro, con Gibbons che approfondisce la sua storia personale, evitando attentamente la tavolozza che ha reso i Portishead così amati.

Stilisticamente, Lives Outgrown si avvicina alla musica folk, grazie alle sue chitarre acustiche e agli archi, ma sembra più denso, più forte e più esplorativo, come inciampare in una discarica nel profondo della foresta. Tessiture insolite abbondano: in Tell Me Who You Are Today, il produttore James Ford colpisce le corde del pianoforte con cucchiai di metallo; per un’altra traccia, lui e Gibbons girano tubi alla ricerca del perfetto tono raccapricciante.

Melodie di infinita malinconia e testi di profondità acuta, che ricordano il lavoro di Gibbons con i Portishead e (brevemente) Rustin Man, il suo duo con Paul Webb di Talk Talk, riflettono il periodo di auto-riflessione della cantante. Lives Outgrown ha momenti di schiacciante razionalità, mentre affronta argomenti come la maternità, l’ansia e la menopausa, la sua umanità senza macchia, un mondo lontano dalla rabbia ultraterrena che ha abitato Third. “Senza controllo / Mi sto dirigendo verso un confine / Che ci divide / Ci ricorda”, canta su Floating on a Moment, su un ritmo e un tono meravigliosamente scarsi, mentre Ocean distilla anni di sofferenza noiosa in due linee eleganti. Le sue melodie sono forti: l’elegante Floating on a Moment e la catartica Whispering Love sono tra le migliori canzoni a cui Gibbons ha messo il suo nome. 

Voto: 8

“Lunch”, Billie Eilish

Alla fine, anche Hit Me Hard and Soft ha il suo singolo. Un pezzo uptempo, pop, sexy e in cui i bassi sono pompati al massimo. Il brano compare nella tracklist subito dopo il brano di apertura del disco Skinny, una ballata dolce e soft che colpisce nel profondo. Ci sono momenti di forte impatto nel disco, dall’esplosiva Chihiro alla bellissima The Greatest. Billie ha commentato: «Sento che quest’album mi rappresenta. La protagonista non è un personaggio. È la versione When We All Fall Asleep, Where Do We Go? di me. Racconta la mia giovinezza e chi ero da bambina».

Finneas ha aggiunto: «Hit Me Hard and Soft è un ritorno, in molti sensi. Lì dentro ci sono dei fantasmi veri e lo dico con affetto. Nel disco ci sono idee che risalgono a cinque anni fa, ha una storia, la qual cosa mi piace molto. Quando Billie parla dell’epoca di When We All Fall Asleep, si riferisce a quella teatralità, all’oscurità. Qual è la cosa che nessuno sa fare bene come Billie? In quest’album c’è quello che sappiamo fare meglio». Riguardo al titolo, invece, nella medesima intervista Billie Eilish ha rivelato: «Ho pensato che fosse una perfetta sintesi di ciò che fa questo album. So che è una richiesta impossibile, come si può ricevere un colpo duro e delicato allo stesso tempo? Non si può. Sono una persona piuttosto estrema e mi piace vivere esperienze fisicamente intense, ma allo stesso tempo amo la dolcezza. Voglio due cose contemporaneamente. Così ho pensato che questa definizione impossibile fosse un buon modo per descrivere me e la mia musica».

Voto: 9

“Delphinium Blue”, Cassandra Jenkins

Lo splendido album del 2021 della cantautrice di Brooklyn An Overview On Phenomenal Nature è stata una scoperta sorprendente, seguito da due anni di concerti. Tornata in studio, Cassandra Jenkins si è tuffata in un album che ormai scalpitava a uscire: My Light, My Destroyer sarà pubblicato il 12 luglio, scolpito con uno stretto cast di collaboratori, tra cui il produttore, ingegnere e mixer Andrew Lappin.

Il nuovo singolo Delphinium Blue è un ottimo biglietto da visita: opulento nel suo approccio al suono, si sposta lungo strati malinconici, fra sintetizzatori e qualche distorsione. Un brano che conferma Cassandra Jenkins come costruttrice di mondi.

“Whiskey”, Arooj Aftab

Poche cantanti possono eguagliare il calore delicato e il potere silenzioso della voce di Arooj Aftab. Nell’ultimo decennio, la cantante pakistana-americana ha pubblicato quattro album che spaziano dal jazz al sufi qawwalis e al folk. Potrebbe diventare la Sade del XXI secolo (ascoltate Raat Ki Rani, cantata in Urdu), ma uesta anticipazione del quinto album Night Reign in uscita il 31 maggio ci conduce verso una atmosfera notturna e sperimentale.

“Strawberry Moon”, Arab Strap

Se agli inizi gli Arab Strap sembravano sempre fuori dal passo con le tendenze indie-rock, il secondo atto del duo scozzese non può essere meglio cronometrato, e non solo perché l’attuale panorama indie del Regno Unito è sovrappopolato di monologhi avversi alla melodia. Il loro primo album in sedici anni, As Days Get Dark, è arrivato all’inizio del 2021 nel bel mezzo della pandemia e le preoccupazioni tematiche – dalla dipendenza dai social media alle abitudini porno che riempiono il vuoto nelle relazioni senza sesso – erano perfettamente allineate con un momento in cui gran parte della nostra comunicazione è stata mediata attraverso gli schermi e la connettività virtuale, e l’isolamento si stava allargando a un ritmo pericoloso. Per un cantautore iper-analitico come Aidan Moffat, tutto il successivo tumulto culturale che il Covid ha contribuito ad aprire è un dono che continua a dare.

In un’era pre-smartphone, Moffat e il partner Malcolm Middleton erano i narratori romanzisti della vita scozzese dei ventenni e di tutte le conversazioni imbarazzanti che si traducono dopo che i pub si sono ripuliti per la notte. Ora, con il loro secondo sforzo post-lockdown, I’m totally fine with it 👍 don’t give a fuck anymore 👍, sono tra gli osservatori più astuti dell’indie rock del comportamento umano nell’era digitale. Ascoltare queste canzoni sembra ancora di intercettare gli scambi intimi e i pensieri più intimi di Moffat, ma ora, più che mai, le sue narrazioni sono saldamente collegate alla nostra consapevolezza collettiva. Moffat probabilmente avrebbe potuto scrivere il testo di Sociometer Blues nel 1998, come finestra su una relazione disfunzionale disintegrante: “Ti prendi tutto il mio tempo, prendi tutte le mie forze, rubi il mio amore, sei il peggior amico che abbia mai avuto”. Ma il senso di esasperazione e disperazione è amplificato quando si rende conto che l’oggetto del desiderio della canzone è il suo dispositivo mobile.

Voto: 7

“Rugby Child”, Amen Dunes

La musica di Amen Dunes è persuasiva, ma non è sempre chiaro di cosa sta cercando di convincerti. Dall’uscita dell’album di debutto, quindici anni fa, Damon McMahon ha continuamente perfezionato il suo suono, tagliando via la foschia, spremendo gli elementi tratti dal pop e dal rock classico, ma ha mantenuto le narrazioni relativamente oblique. Ascoltare il suo ultimo album, Freedom del 2018, sembrava un po’ di cercare di leggere un grande romanzo americano: idee sulla perdita e sui legami familiari tagliati, anche se intere frasi erano difficili da mettere insieme. Era un disco personale, ma raramente chiaro, con la sensazione che McMahon preferisca mantenere i suoi testi oscuri piuttosto che riassumere le sue idee in qualcosa di digeribile.

Le idee su Death Jokes, il suo sesto album autoprodotto, sono più chiare. È più smussato e più forte. È il racconto di una apocalisse, in cui gli ultimi momenti dell’umanità sulla Terra sono afflitti dagli stessi mali che ci hanno perseguitato per secoli: odio, avidità, puritanesimo. L’incomprensione è un tema ricorrente, così come la solitudine, in particolare il tipo che sorge quando lo stato non riesce a prendersi cura dei suoi cittadini. Per tutto questo pessimismo, però, la visione di McMahon sulla vita, a cui ritorna spesso su Death Jokes, è semplice e ottimista: «Un giorno la perderemo / Quindi usiamola».

Idee filtrate attraverso ritmi hip-hop e rave, anche se le peculiarità del fraseggio e delle melodie di McMahon rispecchiano lo stile degli Amen Dunes. Death Jokes è un disco pieno di dettagli strani, come l’interludio techno minimale Predator o i confusi campioni lo-fi alla fine di Boys, le linee melodiche muscolose emerse su Freedom Love continuano ad arrivare.

Voto: 6.5

“Good Time”, Cage the Elephant

Dire che l’ultimo album dei Cage the Elephant ha avuto una nascita turbolenta sarebbe un eufemismo. La band ha dovuto affrontare la morte dei propri cari, la pandemia e l’arresto, con conseguente ricovero in ospedale, del loro cantante. Neon Pill vede la band riunirsi con il produttore John Hill, che ha lavorato al loro ultimo Social Cues vincitore del Grammy del 2019, e offre un caleidoscopio del rock, dal glam di Ball and Chain alla ballata per pianoforte di Out Loud sino all’arioso alt-rock di Float Into the Sky

Voto: 5.5

“Psycho Killer”, Miley Cyrus

Dopo la sua ripubblicazione del seminale documentario Stop Making Sense dei Talking Heads girato da Jonathan Demme, immancabile l’album tributo Everyone’s Getting Involved: a Tribute to Stop Making Sense, con tutte le sedici tracce della colonna sonora del film rilette da popolari musicisti. Due gli approcci: chi sceglie il karaoke come Toro y Moi (Genius of Love), the National (Heaven) e Paramore (Burning Down the House) e chi s’intesta di reimmaginare le canzoni, massacrandole selvaggiamente. DJ Tunez trasforma la paranoia pruriginosa di Life During Wartime in un jazz bizzarramente rilassato, la versione senza vita di Psycho Killer di Miley Cyrus presenta un inspiegabile cambiamento di testo (“Psycho killer / Gonna love you forever”) e Kevin Abstract spoglia della melodia Once In a Lifetime in un dirge senza melodia. Un flop.

Voto: 2

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