Interviste

Pier Cortese, ricominciare dopo 12 anni

È il periodo d’assenza dal palcoscenico del cantautore romano. «Nel frattempo, ho prodotto un album di Niccolò Fabi, due di Fabrizio Moro, ne ho registrato un altro con Roberto Angelini». Ora cerca di colmare il “bug” con il disco “Come siamo arrivati fin qui” e l’EP “Sottopelle”, prima colonna sonora per un romanzo. Lavori che presenterà “live” al Mug di Comiso il 14 aprile, alla Legatoria Prampolini di Catania il giorno successivo e allo Sharaba di Barcellona Pozzo di Gotto il 16 aprile

A Gabaville la vita scorre serena: è il Villaggio Perfettissimo dove nessuno litiga mai e tutti vorrebbero nascere e crescere… Tutti tranne loro. Lena e Alen, i gemelli Mezzaluna, figli di Maddy La Matta, nati in una notte misteriosa di luna spaccata a metà. Sono diversi dagli altri pacifici abitanti di Gabaville, perché Lena ha il potere di fare domande di fuoco che frugano nei cuori, Alen, con i suoi silenzi, sa leggere nella testa di chi ha davanti. Chi è il padre dei gemelli? Nessuno lo sa: loro sanno solo che viveva sulla luna e che si è perso fra le galassie. Una storia che però è completamente falsa. Quando Lena e Alen scoprono che la madre gli ha raccontato una bugia, scappano e vengono risucchiati nel Mondo Sottopelle, un posto molto diverso da Gabaville, dove regna lo Scuro che inchioda i cuori e le teste di tutti alla rabbia, alla paura e alla vergogna. 

È l’inizio della storia raccontata da Chiara Gamberale in I fratelli Mezzaluna per il quale Pier Cortese ha scritto l’Ep Sottopelle, contenuto tra le pagine del libro tramite un QR Code (ma ascoltabile anche in digitale). Si tratta, forse, del primo tentativo di comporre la colonna sonora di un romanzo. «È un esperimento singolare di colonna sonora per un libro», spiega il cantautore romano, classe 1977. «Ho scritto canzoni per dare voce a personaggi e atmosfere già scritte da Chiara Gamberale. Mi dovevo limitare ad accompagnare la narrazione e trovare altre prospettive».

Raggiungiamo Pier Cortese al telefono mentre attende alla stazione di Milano il treno per far ritorno nella sua Roma, da dove si muoverà presto per portare il suo tour in Sicilia e precisamente al Mug di Comiso il 14 aprile, alla Legatoria Prampolini di Catania il giorno successivo e allo Sharaba di Barcellona Pozzo di Gotto il 16 aprile. «Qui a Milano ho appena finito di lavorare con Carlo Amleto, al quale sto producendo il disco d’esordio: è un cantautore del quale sentirete parlare», annuncia.

Già, perché Pier Cortese, talentuoso e apprezzato cantautore d’inizio millennio, da un po’ di tempo era passato dall’altra parte del vetro. «Ho fatto di tutto pur di non pubblicare miei dischi», ride. «Ho avuto un “bug” di dodici anni. Un intervallo durante il quale ho riempito il mio zaino con nuove esperienze. Ho prodotto il disco Tradizione e tradimento di Niccolò Fabi, due album di Fabrizio Moro, ho fatto un EP destinato ai più piccoli Little Pier e le storie ritrovate, e poi Discoverland con Roberto Angelini e un po’ di colonne sonore per cinema e tv».

Un “vuoto discografico” che adesso cerca di colmare con due pubblicazioni: Come siamo arrivati fin qui, album d’inediti uscito nel 2021, e, appunto, Sottopelle. «Di quest’ultimo in concerto faccio soltanto due-tre brani, poi presento l’album», sottolinea. 

Come siamo arrivati fin qui è un disco nel solco della tradizione cantautoriale aggiornata con il ricorso a una elettronica non invasiva: un po’ Luigi Tenco un po’ James Blake. Un po’ antico, un po’ moderno. Borderline. «Ci sono incontri storico-geografici di suoni, da quello malese alla chitarra inglese, dove le canzoni ci sono finite quasi per caso. La mia resta un’anima pop, ma non sono partito con quel tipo di approccio, e questo credo renda diverso il disco. Soprattutto perché alle volte la canzone è visibile, altre invece si muove in spazi sonori più grandi che non sentivo di dover interrompere con una parola o un ritornello».

Non teme, dopo dodici anni di assenza, di essere considerato un esordiente?

«Questa lunga pausa mi ha liberato da ogni ansia di prestazione e mi ha fatto capire di nuovo qual era il motivo per cui volevo e voglio fare musica. Quindi sì, affronto tutto con lo spirito di un esordiente, sono curioso di sapere dove tutto questo mi porterà».

Lei è noto anche per essere stato fra i primi a usare l’iPad sul palco. In questi concerti siciliani, oltre alla chitarra acustica, avrà sempre con sé il tablet?

«All’inizio mi prendevano per il culo, dicevano che stavo giocando, poi il tablet si è rivelato uno strumento utile e importante. In questo tour non ho soltanto l’iPad, mi sono fatto costruire dei marchingegni particolari. Diciamo che sarà una esibizione un po’ acustica, un po’ elettronica». 

Suo malgrado, l’album Come siamo arrivati fin qui si è legato alla colonna sonora del film Come le tartarughe, opera prima di Monica Dugo.

Pier Cortese (foto Simone Cecchetti)

«Avevo da poco pubblicato la canzone Tu non mi manchi dal mio album nuovo, che era uscito dopo dodici anni da quello precedente, quando ho ricevuto una mail della regista, Monica, in cui mi spiegava che quelle sonorità sarebbero state giuste per il suo film. Quando mi ha chiesto se avessi voglia di scriverne anche le musiche, ne sono stato molto felice perché ho sempre pensato che il cinema fosse un territorio interessante da esplorare. Con quel film siamo andati alla Mostra del Cinema di Venezia: uscirà a giugno nei cinema».

Le esperienze di produttore hanno avuto una influenza sull’attività di cantautore?

«Fare il produttore è stata una esperienza importante, lavorando al di là del vetro si possono cogliere altre sfumature, nuove risorse. È utile mettersi al servizio degli altri, è un esercizio interessante, serve per crescere artisticamente».

Da produttore come vede la nuova scena italiana, non crede che si assista a una omologazione ai dettami delle mode musicali? Canzoni quasi identiche, voci simili? 

«C’è stata una prima ondata di nuovi cantautori molto interessante, parlo di Calcutta, Cosmo. Poi ci si è appiattiti un po’. Ogni generazione propone un proprio stile, cambiano i linguaggi. Oggi si attinge molto al rap, i linguaggi street, diretti, prevalgono a discapito della poesia. Dipende molto anche dal vissuto».

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