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Nei ghetti dove crescono tanti Geolier

– C’è una motivazione del successo sorprendente di Geolier (il 60% dei voti della giuria popolare al Festival) e non è legata soltanto alla mobilitazione popolare di Napoli: a Sanremo lui rappresentava il sogno di tanti ragazzi che vivono nelle periferie degradate d’Italia e vogliono sfuggire a una esistenza ai margini della società
 – «Posso esprimere il disagio della mia gente solo nella mia lingua. Devo fare rumore anche per tutti quelli che non riescono a farsi sentire», spiega il rapper. «Ho già vinto portando il rap e il napoletano a Sanremo. Ma volevo vincere davvero: per Napoli, per i ragazzi, per la mia famiglia»
– In Sicilia gli esempi di Skinny ed Enzo Benz che hanno portato la speranza in un quartiere, San Cristoforo, dove «i sogni non hanno il permesso di entrare». «Il rap è vita: è la parola di chi non ha voce e non importa la lingua, ma portare l’ascoltatore a rispecchiarsi in ciò che si racconta»

«Fanculo la tecnica, fanculo le rime, fanculo il linguaggio ricercato: devi soltanto condividere il messaggio di frustrazione e desiderio, espresso tanto dai beat quanto dalle poche e ridondanti parole».

Il rap ritorna ad essere alla portata di tutti: anche di chi non ha finito la scuola per lavorare, anche di chi non conosce a pieno la lingua italiana, anche di chi non ha mai sentito parlare né di Petrarca né dei Beatles. «Posso esprimere il disagio della mia gente solo nella mia lingua. Devo fare rumore anche per tutti quelli che non riescono a farsi sentire», spiega Geolier.

Il quartiere di Secondigliano

Al Festival di Sanremo, attraverso il rap. voleva portare Napoli sul tetto del mondo o – quanto meno – all’Eurovision Song Contest. È stato bloccato al confine di Ventimiglia: il sogno è sfuggito di un soffio, nonostante la mobilitazione della sua gente (il 60% del televoto). «Ho già vinto portando il rap e il napoletano a Sanremo. Ma volevo vincere davvero: per Napoli, per i ragazzi, per la mia famiglia. Siamo in tantissimi: se perdo io perdono in tanti, poco abituati a soddisfazioni e vittorie. Se vincevo… io vincevamo in tanti», commenta deluso dalla sconfitta sul filo di lana e dai fischi con cui è stata accolta la sua vittoria nella serata dei duetti.

Il rapper di successo, quello che ha “svoltato”, come Geolier appunto, diventa un faro per quelli che non hanno niente, cresciuti come lui nei deserti sociali ai margini delle grandi città. Allo stesso tempo però può essere ammirato anche dai figli delle classi medie ed alte, che possono facilmente riconoscersi nei brand e nel lusso ostentato da queste “trap-star”. Emanuele Palumbo, in arte Geolier, 23 anni, ci è riuscito eccome: dopo aver accumulato un miliardo e mezzo di ascolti sulle varie piattaforme di streaming con i suoi precedenti progetti, ha debuttato al “numero 1” in classifica con il suo ultimo album Il coraggio dei bambini ed ha ottenuto un secondo posto e grande visibilità al Festival. «Nella mia scrittura ci sono mille influenze, mille ascolti: il rap newpolitano, la canzone napoletana classica, i neomelodici, Pino Daniele…», cerca di spiegare il successo da Nord a Sud della sua proposta.

Emanuele Palumbo , in arte Geolier, sala i fan al suo ritorno a Napoli dopo il Festival di Sanremo

In francese il suo nome d’arte significa “secondino” ed è un omaggio al suo quartiere (vengono chiamati così gli abitanti di Secondigliano), noto ai più per Gomorra e Scampia («Ma non amo che il mio rione diventi un’attrazione turistica: questo non è uno zoo, come qualcuno ha scritto sui muri della zona»). Lì si sente a casa, ma è ben consapevole di tutto ciò che il contesto gli ha tolto, oltre a ciò che gli ha dato. «Una vera infanzia non l’ho mai avuta. Fin da piccolo mi era chiaro che non potevo permettermene una. Qui non pensi alla scuola o a giocare: ti chiedi se quella settimana papà riuscirà a guadagnare abbastanza per portare il pane a tavola».

“Nisciuno c’ha dato na mano”, canta Geolier. A Scampia i ragazzini seduti ai piedi dei palazzoni sono invisibili. E di futuro non osano parlare. Ma scandiscono le strofe dei loro rapper preferiti, che un futuro diverso lo sognano eccome. Perché qui, alla periferia di Napoli, il rap è l’àncora di salvezza per non finire schiacciati dalla vita di strada.

Geolier, che prima della fama doveva lasciare Scampia per andare in Germania a prendere il brevetto da saldatore, da queste parti è considerato un principe: «Le corone non mi interessano, sono un moccioso della musica, ma credo che ai ragazzi serva sognare. Se non hai un sogno non hai niente, finisci intrappolato nella routine del quartiere». 

I racconti dei quartieri ai margini sembrano accumunare tutta Italia, da Nord a Sud. Lo sa bene Noyz Narcos, pilastro dell’hip hop, che nei brani ha spesso fotografato la periferia romana: «Per certi versi prima era più pericolosa perché c’era meno svago. Ai miei tempi i ragazzini giravano tutto il tempo in motorino senza combinare nulla di troppo buono, adesso si creano il loro piccolo studio nel garage abbandonato di qualche palazzone».

La musica unisce, aggrega. E per Rose Villain «accende uno spotlight su posti in cui c’è disagio, posti che hanno ancora molte ombre». Lei è la prova che nella scena urban la figura femminile è ormai sdoganata: «Il talento è unisex, non mi sono mai sentita inferiore o messa da parte dai colleghi. Il problema del gender gap esiste in qualunque settore, non solo nella musica. L’Italia purtroppo è un paese tradizionalmente maschilista».

Noà Magro, in arte Skinny, rapper catanese Skinny

Nei telefonini spesso i ragazzi racchiudono le loro speranze. «Instagram e TikTok hanno dato a tutti la possibilità di diventare artisti. Oggi chiunque dalla cameretta di casa può raggiungere il successo. Da un lato è bello, dall’altro c’è tanta roba che non vale la pena ascoltare», dice Noyz Narcos. Che, insieme con i Club Dogo, è un modello per Skinny, ovvero Noà Magro, rapper cresciuto nella «Catania dentro Catania», come chiama San Cristoforo. Non siamo in periferia, ma nel quartiere ghetto del cuore di Catania, dove il fumo delle braci sulle quali viene arrostita la carne di cavallo si confonde con quello della droga spacciata. 

“Io mi sono fatto per strada”, dichiara a muso duro Skinny nel brano Siciliano. E nei suoi testi, dal lato oscuro un po’ pronunciato, racconta la vita del Blocco, il quartiere. «Ognuno di noi ha in sé un lato oscuro, ma poi sono la formazione l’istruzione il carattere l’ambiente a fare la differenza sulla strada che prendiamo. È però vero che da sempre l’essere umano è affascinato dal male, da ciò che ha visto fare in un film o letto in un libro».

A Skinny è bastato aprire la finestra di casa. E il panorama che gli si è offerto è fatto di “strade tipo Bronx spaccio, rap e prostitute”, ragazzi in “quattru su n’muturinu / da San Cristoforo fino a Librino / niscemu ca tuta macari ri sabutu / picchi no avemu soddi pi Moschino”, un “frate criminale / vende quelle bustine con dentro medicinale / dosi da razionare soldi da triplicare / paura di nessuno e grilletto pronto a sparare”.

Vincenzo Di Mauro, in arte Enzo Benz, rapper catanese

Il giovane rapper è la voce di chi vuole uscire dalla condizione di “ultimo”: “Ce ne andremo dal Blocco / La vita non ci ha dato molto / È più quello che ci ha tolto”. «Ho perso molti amici», racconta. «Alcuni non ci sono più, uccisi dalla cosiddetta malavita. Altri, giovanissimi, sono stati arrestati. In questo modo il Blocco ti toglie un po’ di innocenza, ti toglie spensieratezza. Passi da bambino a uomo molto velocemente». Il Blocco ha tolto vite, ma non ha ucciso la speranza: “Sono partito da zero e voglio raggiungere il cielo” sfida in Ce la farò.

«I sogni qui non hanno il permesso di entrare». E qui è Via Piombai, che le cronache descrivono come il “fortino della droga”, zona di spaccio di cocaina e crack in stile narcos, con il coinvolgimento di donne e bambini, e tanta violenza. Vincenzo Di Mauro, in arte Enzo Benz, rapper, qui quei sogni è riuscito a portarli. «Il rap per me è vita», dice Vincenzo. «È la parola di chi non ha voce». Le esperienze che racconta sono quelle vissute nel quartiere di San Cristoforo, in Via Piombai. Che dà il titolo all’EP di debutto. È un racconto di sfide, disfatte e riscatti accumulati in una vita.

Canta in napoletano, come Geolier, perché «sono stato influenzato molto anche dalla cultura siciliana del neomelodico. Sono del parere che nelle canzoni chiunque possa esporsi nel modo che preferisce, con qualsiasi lingua, l’importante è mantenere un livello alto e portare l’ascoltatore a rispecchiarsi in ciò che si racconta». 

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