– Il maestro emoziona dirigendo lo “Stabat Mater”. Sul palco l’Orchestra Cherubini con gli strumenti realizzati da detenuti con i legni delle “carrette del mare”: «Suoni di vita dai legni della morte»
– «I migranti non li dobbiamo solo salvare, ma è del dopo che ci dobbiamo preoccupare ed è il mondo intero che se ne deve preoccupare non solo l’Italia»
– «In Europa diminuisce l’interesse per la cultura. Qui si parla solo di guerre mentre Seul ha venti orchestre e in Cina costruiscono grandi teatri e si comportano come facevano gli antichi romani»
È scoperta, scambio, dialogo, libertà il Mediterraneo, il “mare in mezzo alle terre” che unisce sponde apparentemente lontanissime; ma per molti – sempre troppi – è una speranza che scompare sotto le onde, il sogno di una vita migliore che si fa tragedia infinita. Ravenna Festival, espressione di una città che proprio il legame con il mare ha reso crocevia di popoli e culture, dedica al dramma dei migranti la XXVIII edizione de Le vie dell’Amicizia e porta il concerto di Ravenna (tenutos al Pala De André il 7 luglio) a Lampedusa nel Teatro naturale della cava.
Il muro della cava in cui è scavato il teatro di Lampedusa è una parete di pietra che s’illumina di candele, metafora potente di un confine che nell’isola evoca il dramma dei migranti, ed è un giallo sabbioso («sembra quasi venga dall’antico Egitto», commenta Muti) graffiato da segni che sembrano croci, che assorbe e rimanda i suoni dei coloratissimi strumenti dell’Orchestra Luigi Cherubini- in tutto 15 sul palco – realizzati da detenuti con le assi dei barconi che li hanno portati fin qui dal laboratorio che si trova nel carcere di Opera, iniziativa della Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti che li ha messi a disposizione per l’occasione e nati da un’intuizione di Arnoldo Mosca Mondadori.
«Legni di morte e legni di speranza, che hanno trasportato donne, uomini e bambini in un viaggio che a volte li ha portati in salvo, altre li ha trascinati in fondo al mare», sottolinea il maestro Riccardo Muti che quest’anno ha portato fin qui la XXVIII edizione de “Le vie dell’Amicizia”, che il Ravenna festival questa volta dedica al viaggio dei migranti, idea di salvezza che troppo spesso si trasforma in tragedia e che Muti fa sua in una perfetta, quanto accorata, esecuzione.
«È la prima volta che vengo a Lampedusa, e me ne vergogno», dice. «Ringrazio gli abitanti di quest’isola, che si sono assunti il peso dell’ospitalità dei migranti con estrema generosità, al contrario di altri Paesi europei che hanno voltato le spalle». E aggiunge: «Oggi siamo andati alla Porta d’Europa di Mimmo Paladino da cui si entra simbolicamente in Italia e in questo continente che è, e deve continuare ad essere, luogo, faro di cultura. I migranti non li dobbiamo solo salvare ma è del dopo che ci dobbiamo preoccupare ed è il mondo intero che se ne deve preoccupare non solo l’Italia». Per il maestro «sono affermazioni dal valore politico ma in senso alto, non di partito, parole di una persona che crede nella fratellanza».
Sono tantissimi gli elementi simbolici in questo concerto, tutti complementari, evocativi. Per questo per me è uno dei viaggi dell’Amicizia più importanti, più significativi da quella prima volta, nel 1997, a Sarajevo. Poi l’altro che mi è rimasto nel cuore è stato quello ad Erevan ed Istanbul, con lo scambio tra gli artisti, era la prima volta che accadeva una cosa simile
Riccardo Muti
Poi l’attenzione di Muti si sposta su quello che è il suo cruccio, sul «fatto che in Europa stia diminuendo l’interesse per la cultura», sostiene. «Qui si parla solo di guerre mentre la città di Seul ha venti orchestre e in Cina costruiscono grandi teatri e si comportano come facevano gli antichi romani assorbendo il meglio delle altre civiltà. La musica è un elemento connettivo che va coltivato e rilanciato. L’Europa non deve parlare solo di mozzarelle ma deve investire in cultura». E continua con la sua solita energia: «Sono tantissimi gli elementi simbolici in questo concerto, tutti complementari, evocativi. Per questo per me è uno dei viaggi dell’Amicizia più importanti, più significativi da quella prima volta, nel 1997, a Sarajevo. Poi l’altro che mi è rimasto nel cuore è stato quello ad Erevan ed Istanbul, con lo scambio tra gli artisti, era la prima volta che accadeva una cosa simile».
Un concerto importante quello di Lampedusa «che vuole essere un omaggio a tutta l’isola e alla sua gente, nella sua grande generosità», in cui però spiccano le assenze istituzionali. «Ci sono io! Non basto?», risponde con una battuta Muti a chi glielo fa notare, ricordando che le “autorità” non mancavano sotto il palco Claudio Baglioni.
Così martedì sera nel Teatro naturale della cava, si è alzato il lamento lacerante del bellissimo Stabat mater che Giovanni Sollima ha composto su versi di Filippo Arriva in antico siciliano: «Dovrebbe diventare un pezzo di repertorio», commenta Muti. Per lo Stabat Mater, all’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini e al Coro della Cattedrale di Siena Guido Chigi Saracini preparato da Lorenzo Donati si uniscono il bravo controtenore Nicolò Balducci, Lina Gervasi al theremin (che, dopo la trionfale prima a Ravenna, a Lampedusa si blocca per l’umidità altissima che bagna strumenti e spettatori), e lo stesso Sollima in un meraviglioso assolo con il suo violoncello striato di bianco rosso e verde che lascia senza fiato, ripercorrendo quel dolore universale che non è solo di Maria per la morte di Cristo ma di tutte le madri che perdono un figlio, cullandolo alla fine in una straziante ninna nanna senza ritorno.
Il programma musicale della serata si era aperto – dopo la banda dell’associazione Lipadusa e il Coro a coro di Rachele Andrioli con il canto delle madri palestinesi – con l’originale Līmen | Samia | līmen, una molto evocativa composizione elettroacustica commissionata dal Festival ad Alessandro Baldessari, componente della Cherubini come contrabbassista che ha firmato anche le musiche originali e gli arrangiamenti dello spettacolo Non dirmi che hai paura, primo atto de “Le vie dell’Amicizia” messo in scena al Teatro Alighieri di Ravenna l’8 luglio (il concerto prima di Lampedusa è stato a Ravenna e sarà trasmesso l’8 agosto su Rai1 con inserti da Lampedusa e dello spettacolo), dedicato alla storia della velocista somala Samia Yusuf Omar, fra coloro che hanno perso la vita in fuga da guerra, povertà e carestie, e orchestrata da Claudio Cavallin. Qui è il mare che prende il sopravvento con quel fondo leggermente dissonante che domina tutto il concerto, come salisse un canto dal fondale che è un lamento, dolcissimo, ma un lamento che prende il cuore.