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“Megalopolis”, l’ultima follia di Coppola

– Presentato a Cannes 2024, il film faraonico racconta, tra sesso, droga, violenza, un parallelo ideale tra la civiltà dell’antica Roma e quella americana alle prese con le loro rispettive decadenze
– Tra “Metropolis” e “Blade Runner”, sembra una sorta di “Apocalipse Now parte II”: prende spunto da “La congiura di Catilina” di Sallustio. La vigilia turbata dalle accuse di «comportamenti inappropriati» sul set

CANNES. È stato definito, di volta in volta, urticante, metafisico, sperimentale, meraviglioso, eroticamente disturbante, inclassificabile. Ma questo film, da sempre voluto da Coppola e che ha avuto una gestazione di quarant’anni, in competizione al Festival di Cannes a 45 anni dalla Palma d’Oro per Apocalypse Now, è anche molto di più. È il film più ambizioso della carriera del regista di 85 anni, un’opera testamentaria definitiva. È un film faraonico. È un progetto cinematografico completamente pazzo. È sesso, droga, violenza, travestimento all’interno di un parallelo ideale tra la civiltà dell’antica Roma e quella americana alle prese con le loro rispettive decadenze; è poi anche l’utopia di un mondo migliore dopo un’apocalisse.

E, infine, è la storia di una donna, Julia Cicero (Nathalie Emmanuelle), divisa fra due visioni del mondo, del padre e dell’amante, che più diverse non potrebbero essere. Megalopolis ruota attorno alla distruzione di una megalopoli e alla sua ricostruzione, attraverso lo sguardo del padre Cicero (Giancarlo Esposito), sindaco conservatore di una New York distrutta da una catastrofe, che ha una visione classica e conservatrice della società, e l’amante, Caesar (Adam Driver), è un giovane architetto idealista che vuole rifondare la città nel segno dell’utopia. 

Il film ha ricevuto una tiepida accoglienza dai distributori a Los Angeles al grido di: «Non c’è modo di posizionare questo film». E se i grandi distributori restano freddi, quelli indipendenti non hanno certo la forza di investire per la sua promozione 40 milioni per il solo mercato americano, a cui se ne devono aggiungere 100 a livello mondiale. Ma Coppola, che ha investito di tasca sua 120 milioni di dollari, non sembra troppo scoraggiato: «Per Apocalypse Now è stato lo stesso», ha commentato il regista accolto ieri sera da una ovazione alla prima mondiale al Grand Theatre Lumiere. «C’erano anche allora opinioni molto contraddittorie da parte del pubblico che però non ha mancato di andare a vedere il film».

Megalopolis propone un interrogativo fondamentale: la società in cui viviamo è davvero l’unica alternativa possibile per noi? In questo senso l’utopia che il film propone non è così folle, ma solo il frutto di persone che si fanno giuste domande sulla società in cui vivono, chiedendosi se è davvero l’unica alternativa. Si è sempre detto quando cadrà Roma cadrà il mondo. La stessa cosa vale per l’America, se cadesse o finisse nelle mani di qualche stupido dittatore, quali ripercussioni potrebbero esserci nel mondo?

Francis Ford Coppola

Megalopolis, una sorta di Apocalipse Now parte II, prende spunto da La congiura di Catilina di Gaio Crispo Sallustio, come ha ribadito più volte il regista innamorato dell’antica Roma, sposando la tesi per cui Catilina era un rivoluzionario e Cicerone un avvocato a servizio dei conservatori. «Megalopolis propone un interrogativo fondamentale: la società in cui viviamo è davvero l’unica alternativa possibile per noi?», si è chiesto Coppola. «In questo senso l’utopia che il film propone non è così folle, ma solo il frutto di persone che si fanno giuste domande sulla società in cui vivono, chiedendosi se è davvero l’unica alternativa». Vale a dire chissà se il perdente Catilina era in fondo un saggio sostenitore di una nuova prospettiva per Roma e Cesare invece solo l’ottuso custode delle tradizioni.

Secondo l’ottica di Coppola, l’America oggi è la nuova Roma, con tutte le guerre vinte e la sua tecnologia all’avanguardia: «Si è sempre detto quando cadrà Roma cadrà il mondo. La stessa cosa vale per l’America, se cadesse o finisse nelle mani di qualche stupido dittatore, quali ripercussioni potrebbero esserci nel mondo?».
Un pessimismo, quello del regista, alla vigilia delle più problematiche elezioni presidenziali Usa, colto con esattezza da Variety che sottolinea come la pellicola sia animata, secondo più fonti, da «un codice morale ambiguo, da sesso, droga, violenza e in una prospettiva incerta sul futuro dell’America».
Insomma come capita a ogni fine impero che si rispetti, di sesso ce ne sarà tanto: c’è una scena orgiastica di Aubrey Plaza e di uno Shia LaBeouf vestito da Dea con tacco dodici e anche di un’erezione (forse chimica) dell’ottantacinquenne Jon Voigt.

Nel cast di questo film ammantato di nichilismo, tra Metropolis e Blade Runner e molto vicino filosoficamente all’Oswald Spengler de Il tramonto dell’Occidente, anche Nathalie Emmanuel, Dustin Hoffman, James Remar, Laurence Fishburne e Chloe Fineman.

«Comportamenti inappropriati» sul set

Alla vigilia della proiezione a Cannes, il produttore esecutivo del film, Darren Demeter, è dovuto intervenire per difendere Coppola dalle accuse di comportamenti inappropriati emerse in un lungo articolo del quotidiano britannico Guardian, firmato dal critico cinematografico Steve Rose. Secondo diverse fonti anonime, durante le riprese dell’ambizioso film, Coppola si sarebbe lasciato andare a una serie di comportamenti inappropriati, da “vecchia scuola”, in particolare nei confronti delle comparse, facendo sedere alcune donne sulle ginocchia e, durante una scena all’interno di un night club, avrebbe cercato di baciare delle ragazze in topless per «mettere gli attori nell’umore giusto».

Il produttore Darren Demeter ha difeso il comportamento del regista, affermando che rientrava pienamente nella necessità di spiegare al meglio la scena, «molto importante per il film», oltre a sottolineare che Coppola «non è mai stato a conoscenza di alcuna denuncia di molestie o comportamenti scorretti durante il progetto».

Ma le critiche arrivano anche da parte dei membri della troupe che parlano di comportamento «sgradevole» e «caotico» che il regista avrebbe mostrato sul set. Anche se membri del cast artistico, come Adam Driver, hanno parlato positivamente della loro esperienza durante le riprese, durate quattro mesi, secondo altre fonti la realizzazione del film è stata «caotica» quasi quanto ai suoi tempi era stata Apocalypse Now. Alcuni membri fondamentali del team tecnico hanno abbandonato il progetto a metà. «È stato come guardare un treno in panne giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, sapendo che tutti avevano dato il massimo per evitare che ciò accadesse», ha detto al Guardian un membro del team. Secondo alcune testimonianze, le riprese sono state uno “scontro” costante tra il modo di dirigere “vecchia scuola” di Coppola e i più moderni metodi tecnologici digitali: «Penso che Coppola viva in un mondo in cui, come autore, è l’unico a sapere cosa stia succedendo e gli altri sono lì per fare solo quello che gli viene chiesto di fare», ha detto uno dei tecnici. Anche altri hanno trovato «esasperante» il modo di affrontare il lavoro a causa dei ripensamenti di Coppola.

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