Interviste

Maria Mazzotta, uno tsunami di emozioni

– Le “Onde” elettriche della cantautrice salentina attraversano il mar Mediterraneo, dalla Puglia alla Sicilia, da Napoli all’Andalusia, all’Africa. La sua voce fa da tramite fra melodia e ritmo, fra la tradizione popolare e il rock psichedelico, il post punk e il desert blues
– Un disco capolavoro che esce il 23 febbraio e che l’artista di Lecce sta portando in tour in tutta Europa. «Mi sono trasferita a Marsiglia, perché in Francia la figura dell’artista viene considerata, contrariamente a quanto avviene in Italia»
 – L’amore per Rosa Balistreri: «In ogni mio disco c’è un omaggio a lei: io mi sento fortemente legata non solo a Rosa come voce, ma a Rosa come donna, come esempio vivente di coraggio, di forza»

Onde elettriche attraversano il mar Mediterraneo sollevando uno tsunami di suoni, emozioni, sensazioni. È il nuovo lavoro di Maria Mazzotta, Onde appunto, album in uscita venerdì 23 febbraio per la Zero Nove Nove.

La cover

L’ex voce del Canzoniere Grecanico Salentino, la solista della Notte della Taranta, la ricercatrice culturale, la partner di mostri sacri della musica, come Bobby McFerrin, Mario Arcari, Ibrahim Maalouf, Rita Marcotulli, Ballake Sissoko, Piers Faccini, Justin Adams, Redi Hasa e molti altri, centra il bersaglio anche con questo disco, colpendo dritto al cuore. Ogni canzone è una piccola gemma. Le onde sollevate dalla voce viscerale, carica d’emotività e pathos della cantautrice di Lecce, sono tempestose a volte, altre, placide e morbide, sembrano accarezzare, cullare come lo sciabordio del mare. Una voce profonda e penetrante, che fa da tramite fra un mondo ancestrale, antico, e uno moderno, suburbano; fra melodia e ritmo; fra la cultura popolare, contadina e dei pescatori, ed il post-punk, il rock psichedelico, il blues del deserto; fra Salento, Sicilia, Napoli, Andalusia e Nord d’Africa. 

«La parola “onde” ha un immaginario molto vasto», spiega Maria Mazzotta. «Sicuramente sono le onde elettromagnetiche, quindi rappresenta un cambiamento radicale da un punto di vista sonoro per me, che vengo da un duo con il violoncello prima e con la fisarmonica dopo, adesso chitarre elettriche distorte. E poi le onde del mare che intanto ci accomunano, perché gli altri musicisti (Ernesto Nobili alla chitarra e Cristiano della Monica alle percussioni) vengono da Napoli. C’è poi l’onda che ti può cullare, e alcuni brani cercano questa sensazione, altri invece sono lo tsunami, l’onda anomala che spazza via tutto, distrugge tutto, però per ricominciare una nuova storia, per un nuovo inizio».

La Furtuna, il brano che apre Onde, è una sorta di manifesto in cui si esprime il sound e il messaggio contenuto nei dodici brani dell’album. Protagonista è una delle tante “carrette” con cui i migranti tentano la fortuna nel Mediterraneo alla ricerca di un futuro. All’inizio il mare è calmo, il canto tradizionale salentino è dolce, melodioso, sembra una preghiera. Sullo sfondo l’onda elettrica di una chitarra psichedelica, partita in sordina, comincia a salire e, con l’ingresso delle percussioni, diventa tempesta. La voce si fa disperata. La tragedia si compie, tanto “da far piangere tutti i pesci”. Il mare diventa un cimitero. La preghiera iniziale si trasforma in un lamento rabbioso. Un capolavoro.

«Questo brano grida ad alta voce un messaggio di accoglienza, condivisione e soprattutto umanità», commenta l’artista salentina. «Sono stanca di sentire queste storie di barche che non possono attraccare. Per me il mare è il porto, deve accogliere sempre, non può essere una barriera. La fortuna la intendo proprio per il migrante, per le persone che sono costrette spesso ad affrontare il mare in cerca della vita, non di una vita migliore, ma proprio della vita, perché scappano dalla morte. Noi, dall’altra parte, non possiamo che accogliere il genere umano».

Maria Mazzotta con Ernesto Nobili alla chitarra e Cristiano della Monica alle percussioni

Se Libro d’amore è un brano “a richiesta”, «molte persone me lo chiedono», scritto con il violoncellista Redi Hasa, già inserito nell’album Novilunio e, quindi, un po’ fuori tema, la successiva Sula nu puei stare ci rituffa fra le onde sonore del nuovo album. «È un brano che si riferisce alla condivisione. Noi siamo animali sociali, da sempre l’uomo ha cercato di comunicare, ha inventato un linguaggio per comunicare con i suoi simili. Quindi, per me, non possiamo stare soli, si sta bene nel rituale, quando si sta insieme e insieme si affronta la vita, gioia e dolori. È la comunità, come ci insegna la tradizione: i matrimoni, anche i funerali nel Salento, sono un momento di condivisione. Anche il tarantismo lo era. La comunità è fondamentale, senza il prossimo noi siamo niente. Spesso, quando canto una canzone, la introduco dicendo di immaginarmi che tutti ci prendiamo per mano, formando un grande cerchio: noi siamo tutti piccolissime gocce di un unico grande mare, siamo tante piccole candele di un’unica luce».

Fra le gocce di questo mare, c’è anche Bombino, alfiere del “desert blues”, che mette a disposizione la sua chitarra per una sorta di rito propiziatorio che soffia la sabbia del Sahara nei cafés cantantes di Valencia, dove si balla la buleria, tipico ritmo del flamenco gitano andaluso. «Su questa ritmica, che aveva conquistato sia il percussionista, che ha lavorato tantissimo in Spagna, sia me, che ho collaborato con una compagnia di danza iberica, ho provato a cantare alla maniera salentina», racconta Maria Mazzotta. «In corso d’opera, il brano si è trasformato in maniera del tutto naturale in un terzinato che è tipico delle zone del Mediterraneo, quindi del mio Salento, ma anche del Mali, dell’Africa. Così abbiamo invitato Bombino, che avevamo incrociato in diversi festival». 

Se il chitarrista e cantautore nigeriano di etnia tuareg è una novità nel percorso musicale di Maria Mazzotta, una presenza fissa è invece rappresentata da Rosa Balistreri. Le canzoni della cantautrice di Licata fanno parte del suo repertorio e, spesso, sono presenti nei suoi dischi. Non solo per quelle affinità culturali e linguistiche fra Sicilia e Salento, entrambe parte della Magna Grecia, ma anche per sensibilità femminile.

«Rosa Balistreri è un’artista che per me è presente sempre, da tanti anni. Io mi ispiro moltissimo a lei, non solo vocalmente, ma anche per la sua storia di donna forte, coraggiosa. Non riesco ad abbandonarla, è quasi parte di me e, quindi, sono già diversi album nei quali la omaggio. In questo disco con Terra ca nun senti, nel precedente Amoreamaro con Rosa canta e cunta, in quello con il violoncellista ho messo la canzone ‘Cu ti lu dissi. C’è qualcosa che mi lega, non riesco a capire cos’è, qualcosa di antico, di arcaico, però io mi sento fortemente legata non solo a Rosa come voce, ma a Rosa come donna, come esempio vivente di coraggio, di forza».

Oltre alla Sicilia, c’è Napoli, con il Maestro Roberto De Simone, del quale viene ripreso Marinaresca. Un brano che stava da tempo molto a cuore a Maria Mazzotta e «che finalmente, grazie alla collaborazione dei due musicisti napoletani che mi collaborano, mi è sembrato il momento giusto per interpretarlo». «Nella versione del Maestro De Simone siamo rimasti affascinati dal suo minimalismo, soprattutto nel ritornello, così nel riproporre la composizione è venuto spontaneo avvicinarci alle sonorità post rock con venature indie che tanto spunto prende dal minimalismo del rock contemporaneo statunitense», aggiunge il chitarrista Ernesto Nobili.

Maria Mazzotta con Ernesto Nobili e Cristiano della Monica (foto Ilenia Tesoro)

Dal rock al pop in Canto e sogno, unico brano in lingua italiana, puntellato dalla dolce tromba di Volker Goetze. “Quando cado io mi rialzo e canto e sogno”, graffia la voce di Maria Mazzotta. «È nata durante le prove, prima è arrivata la melodia, poi il ritornello. Non so se definirla pop», sorride l’autrice. «La canzone vuole spiegare che a volte dobbiamo avere il coraggio di lasciare andare le persone, le cose. Alcune storie nella vita, non solo d’amore, anche le amicizie, non finiscono sempre come noi vogliamo. A volte finiscono perché devono finire, dobbiamo avere il coraggio di dire: “Ok, chiuso questo capitolo”. Non dobbiamo avere rimpianti, essere felici dell’amore che abbiamo dato, senza rancori, senza sporcarci».

Senza uccidere, soprattutto, come accade spesso quando finisce una storia d’amore, come raccontano tragicamente i tanti femminicidi che sporcano di sangue le cronache di questi giorni.

«È una tematica anche questa molto sentita. Già in Amoreamaro c’è un brano dedicato alle donne vittime di violenza: Lu Pisci Spada, la canzone cantata da Domenico Modugno. Il senso è proprio questo: cercare di lasciare l’amore bello, non trasformarlo in odio. Lasciare le storie senza sporcare il sentimento che ci trasportava».

La struggente Damme la manu, brano fra i più conosciuti della tradizione salentina esaltato da una chitarra alla Neil Young, la scheletrica Navigar non posso… senza di te, magistralmente interpretata in modo quasi lirico, la pizzica tamburello e chitarra elettrica della garganica Viestesana, la ninna nanna popolare che si tramuta in pizzica rock per scacciare la malinconia di Nanna core + 11 – Pizzica de core (malencunia), per chiudere con la superba e commovente interpretazione di Matonna Te Lu Mare, preghiera voce e chitarra cullata dall’infrangersi delle onde sulla spiaggia, completano uno splendido disco degno, quanto meno, del Premio Tenco.

In questi giorni Maria Mazzotta è in Germania, e lì l’abbiamo raggiunta al telefono, tappa del tour europeo promozionale di Onda, partito l’8 febbraio da Malmö, Svezia, poi due concerti in Danimarca, tre in Germania per chiudere il 19 a Vienna, Austria. Alla faccia di chi ritiene che all’estero gli unici italiani a suonare siano i Måneskin e che l’unica musica che si possa suonare è quella che passa alla radio o a Sanremo.

«Io faccio più concerti in Europa. È un pubblico di stranieri quello che viene ai concerti», tiene sottolineare l’artista salentina. «L’accoglienza di Onde sta andando molto bene. Quando canto, io cerco di dare molta importanza all’emozione nei canti che eseguo. Il più delle volte questa emozione arriva al pubblico. E, quando è così, ho vinto. Questa è la cosa più importante, che la gente senta l’emozione. Che è ciò che ci lega, che ci rende umani».

In Italia ci stanno spegnendo un po’ i cervelli, perché spesso la gente è più interessata alla vita privata di un artista che non alla sua vita artistica. E questo è un po’ contraddittorio. Anche l’avvento dei social non ha tanto aiutato. Sono andata in Francia perché la figura dell’artista viene valutata, considerata, cosa che in Italia non vedo tanto, anche a livello di festival. Anche perché all’estero i festival sono aiutati, hanno sovvenzioni, in Italia per organizzare un evento ci devi rimettere.

Maria Mazzotta

D’altronde è in terra straniera che Maria Mazzotta ha trovato rifugio e ospitalità. Per realizzare il suo sogno d’artista, dodici anni fa, si è trasferita oltr’Alpe, scegliendo Marsiglia come base. Città che ospita anche la messinese Maura Guerrera. 

«Avevo cominciato a frequentare la Francia per motivi artistici e poi ho deciso di trasferirmi lì perché, per seguire la mia ricerca musicale sulla world music, trovo che sia una terra più fertile rispetto al Sud d’Italia, dove posso imparare di più, incontrare tanta gente dal resto del mondo. Marsiglia, in particolar modo per la musica mediorientale, è un punto di riferimento». 

E dire che potete contare su PugliaSounds che sostiene i fermenti musicali della regione.

«Sì, dobbiamo dire grazie a PugliaSounds, però credo che l’Italia, in generale, non sia pronta ancora per aprirsi alla world music. Qui ci stanno spegnendo un po’ i cervelli, perché spesso la gente è più interessata alla vita privata di un artista che non alla sua vita artistica. E questo è un po’ contraddittorio. Anche l’avvento dei social non ha tanto aiutato. Sono andata in Francia perché la figura dell’artista viene valutata, considerata, cosa che in Italia non vedo tanto, anche a livello di festival. Anche perché all’estero i festival sono aiutati, hanno sovvenzioni, in Italia per organizzare un evento ci devi rimettere. È molto più complicato, a meno che non chiami il super grande artista che ti fa numero e biglietti, però per i piccoli, per gli artisti emergenti è sempre più difficile. Invece, in Francia, c’è un sistema per il quale anche il piccolo artista ha il suo spazio, ha il suo posto, e non c’è guerra fra gli artisti». 

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