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Luc Besson: la società crea violenza

Dal 12 ottobre nelle sale il film “Dogman” presentato in concorso alla recente Mostra di Venezia
Il protagonista è un supereroe insolito, una fusione fra Joker e Ace Ventura, con un esercito di 115 cani
«La società finge di essere aperta nel segno della democrazia, ma in realtà chi è diverso viene messo da parte»

Nessun animale è stato maltrattato nella realizzazione del nuovo thriller di Luca Besson, Dogman, presentato in concorso quest’anno a Venezia, e in sala dal 12 ottobre. Ma molte persone vengono sbranate, morse, derubate e attaccate da un branco di 115 cani estremamente ben addestrati.

Detto questo, il film del regista francese di Leon e Il quinto elemento è in realtà uno dei suoi lavori meno violenti. Se c’è violenza, è prevalentemente di tipo domestico e psicologico, in una storia che segue un giovane i cui traumi infantili lo trasformano in una sorta di supereroe molto insolito: un vigilante paralizzato che si veste da drag, esegue incredibili sincronie labiali delle classiche ballate europee e governa un piccolo e feroce esercito di cuccioli obbedienti, come se il Joker e Ace Ventura fossero in qualche modo fusi in un unico personaggio. Inoltre, vive nel New Jersey.

Caleb Landry Jones

Una favola nera, quella di Besson, con protagonista Douglas (l’eclettico e luciferino Caleb Landry Jones), un ragazzo che fin da piccolo viene chiuso in una gabbia piena di cani da un padre e un fratello violenti. Non poteva certo crescere bene Douglas tanto più dopo aver perso l’uso delle gambe. Il ragazzo si ritrova così a vivere su una sedia a rotelle circondato dai suoi fedelissimi cani (oltre un centinaio) capaci di proteggerlo come, all’occorrenza, delinquere. Sempre travestito in maniera sgargiante (un modo per lui di proteggersi), Douglas scoprirà prima il teatro di William Shakespeare e poi anche il vero amore, quello per sempre, ma per lui non sarà facile liberarsi da un passato senza alcuna felicità. 

«Credo che la violenza sia solo una conseguenza. Se hai fame e puoi mangiare non scatta», commenta il regista classe 1959. «È interessante capire da dove arriva questa violenza. E viviamo in una società che la crea. Penso che la violenza derivi dalla miseria e sia appunto una conseguenza orribile di quest’ultima. Nel caso di Dogman è stato facile raccontarla perché viene da una storia vera.  Normalmente un papà e una mamma dovrebbero amare i loro figli, ma se c’è qualcosa che non va la gente impazzisce e fa cose folli. È normale.  Ora Douglas è solo un ragazzo  sensibile che non ha fatto nulla di male e che, pur avendo sopportato tutto il dolore del mondo, sta ancora cercando di essere bravo, questo il messaggio. Ma la gente fa fatica ad accettare la sua diversità». 

Cosa pensa del politicamente corretto?

«L’arte è l’unica cosa in cui siamo davvero liberi. Puoi fare un dipinto delle dimensioni che vuoi, con il colore che vuoi, puoi, infine, esprimere quello che vuoi. Non capisco il politicamente corretto con i suoi: “Non puoi dire questo e questo si può fare e questo no”. Faccio un solo esempio: è come se a Picasso la prima volta che ha messo un naso al posto dell’orecchio, qualcuno avesse detto: questo non lo puoi fare, non è arte».  

E la diversità di Douglas sempre pronto a infiniti travestimenti?

«La società finge sempre di essere aperta nel segno della democrazia, ma in realtà chi è diverso viene messo da parte. Questa è la realtà. E ciò che è interessante è il fatto che tutte le persone che sono diverse, qualunque sia la loro differenza, alla fine si riconoscono. Come accade all’insegnante di recitazione di Douglas che ama molto il teatro ed è così diversa proprio come lui. E questo vale ovviamente anche per i cani». 

Come è stato girare un film con tanti cani?

«Bisogna essere come dei bravi marinai. Ora si sa che il mare è  sempre diverso ogni mattina e lo stesso vale con centoquindici  cani sul set, bisogna gestire tutto secondo le circostanze. Quindi possono anche accadere piccoli miracoli, ma in realtà non sai mai quello che potrà succedere». 

Delusione per non aver vinto nulla alla Mostra del cinema di Venezia?

«Sono anni che non mi aspetto nulla. E lo dico con molta serenità. Il mio compito non è aspettarmi qualcosa, ma fare e proporre film che alcune persone  ameranno e altri odieranno e altri ancora non vedranno nemmeno». 

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