Disco

L'”Odisseya” jazz di Cristiano Giardini-Ulisse

– Dai Faraglioni di Acitrezza a Roma per registrare il secondo album nelle sue vesti di sassofonista. «Il viaggio è sempre stato nella natura dell’uomo, e questa idea l’ho messa in tutti i brani»
– Un viaggio anche introspettivo, interiore, negli stati d’animo che riempie di emozioni e sentimenti lo strumento del musicista catanese accompagnato da un quartetto d’eccezione

Acitrezza è l’isola di Itaca di Cristiano Giardini, docente della Cattedra di Sassofono Jazz presso il Conservatorio “V. Bellini” di Catania, compositore che saltella con disinvoltura dal sassofono alla bacchetta di direttore della Contemporary Orchestra di Catania, con la quale l’avevamo incontrato alcune settimane fa per la presentazione del progetto O. R. Si., le Orchestre Riunite Siciliane. 

Tornato nelle sue vesti di Ulisse, eroe solitario, all’ombra di quei Faraglioni che leggenda racconta siano stati scagliati dal gigante Polifemo contro Nessuno-Odisseo, Cristiano Giardini ha cominciato a soffiare dentro il suo strumento amato per dare vita a un disco che ha il viaggio come tema e che non poteva non intitolarsi che Odisseya.

Cristiano Giardini (foto di Giuseppe Carbone)

In barca a remi al largo di Acitrezza, fra i Faraglioni, come nelle prime immagini del videoclip che fa da promo all’album, poi sul treno in corsa dentro un tunnel dal buio alla luce, quasi ad evocare la sua prima esperienza discografica con Espresso Roma-Catania e come sembra suggerire il ritmo dettato dal brano di apertura: Il viaggio, appunto. «Il viaggio è sempre stato nella natura dell’uomo», commenta il sassofonista. «Siamo sempre in viaggio e io questa idea l’ho trasmessa inconsapevolmente nei brani quando ho cominciato a scriverli. Uno dopo l’altro, mi sono accorto che erano legati tutti dalla stessa idea del viaggio».

Un tragitto opposto rispetto a quello del primo lavoro. Questa volta Cristiano Giardini da Catania si sposta a Roma, per poi arrivare in automobile negli studi Nightingale di Palombara Sabina, dove rinchiudersi con quattro compagni di avventura: il sardo Luca Mannutza al pianoforte, «il pilastro portante di tutto quello che poi è successo»; al contrabbasso Kim Baiunco, «un siciliano dal nome esotico che ha portato la sua freschezza, le sue idee giovani di musica»; Paolo Recchia al sassofono, «perché avevo bisogno del mio alter ego, ovvero di un sassofonista che fosse diverso da me», con cui dialogare come nel brano La Tela, ispirato al mito di Penelope (e, paradossalmente, il più breve delle sei tracce del disco), o suonare all’unisono e battagliare come in La vendetta. Infine, last but not least, il batterista russo Sasha Mashin, «scappato dalla Russia appena in tempo per sottrarsi all’arruolamento e andare a combattere sul fronte ucraino», racconta Giardini. «Sasha è un grandissimo batterista, a Mosca aveva un trio. Un anno e mezzo fa circa, quando ha sentito odore di guerra, ha preso l’ultimo volo diretto dalla Russia prima del blocco aereo da parte dei Paesi occidentali. È sbarcato a Milano ed è rimasto in Italia».

Il racconto di Cristiano Giardini-Ulisse è anche un viaggio interiore, negli stati d’animo, nelle paure e nelle ansie di ciascuno di noi. La tempesta, ad esempio, piuttosto che alla perturbazione atmosferica, fa riferimento agli ostacoli che s’incontrano nella vita. Un piano incalzante e un nervoso sassofono movimentano l’andamento del pezzo. Il superamento delle difficoltà corrisponde con la più melodica Il Ciclope, ma allo stesso tempo più “spinta”, con una incredibile velocità di esecuzione. Mentre Il Silenzio è la più introspettiva: l’artista esorcizza i propri demoni, con il sassofono che si contorce su se stesso, accompagnato sofficemente dagli altri strumenti. «Il viaggio di Ulisse è soltanto un esempio di quello che potrebbe essere il viaggio di ognuno di noi e quindi il mio», sottolinea Giardini. «Ogni brano tocca delle corde che sono molto sensibili per me, mi auguro che chi ascolta il disco in qualche modo riesca ad entrare in un suo viaggio personale».

Odisseya si conclude con la sognante e soffice Le Mille Stelle, «una storia d’amore il cui titolo originario era stato pensato in inglese “The thousand words i never told you”. Dedicata ad una donna speciale», spiega Giardini-Ulisse, che ha scritto immaginandosi «in mezzo al mare, su una barca, di notte nel Mar Mediterraneo a pensare e a rimproverarsi di essere andato in guerra, di essere andato a cercarsi le disavventure che lo hanno portato lontano da lei: “Una stella per tutte le cose che non ti ho detto”». Sulla versione digitale dell’album si possono trovare altre due tracce: Il Sogno, una dolce melodia, quasi una ninna nanna, e la citata La Vendetta.

Cristiano Giardini (foto di Angela Glorioso)

«Abbiamo registrato i brani tutti di getto, non ci sono sovraincisioni, non ci sono sistemazioni di errori, non ci sono trucchetti», dice Cristiano Giardini. «Lorenzo Vella della Birdbox Records ha catturato tutto quello che avveniva dentro quella stanza in presa diretta. Quello spazio libero e arioso ha fatto sì che la musica che era nella mia testa prendesse corpo».

L’album è stato accolto positivamente dai colleghi illustri per la sua capacità di evocare emozioni profonde e per la maestria strumentale del compositore. Joe Lovano ha scritto: «Tell everybody I love it». Jerry Bergonzi si è complimentato: «Great sound. Straight forward. Swingin’ Band. Tradition!!!». E Paolo Fresu ha commentato: «Bello energico, ben suonato e ben scritto!».

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