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Le radio uccidono la musica indie

– È l’accusa lanciata dagli indipendenti nel grido d’allarme rivolto al governo: «Molte piccole realtà a rischio»
– «Non troviamo spazio nei mass media e nelle tv schiacciati dalla grande industria discografica»
La catanese Mhodi: «Delle 500 emittenti alle quali mandiamo le nostre proposte soltanto in 10 rispondono»

«La situazione è totalmente allarmante. Gli indipendenti non entrano più in radio e soprattutto se riescono ad entrarci, in percentuali risibili, non arrivano certo mai ai primi posti». È l’allarme lanciato dal Coordinamento Stage & Indies, la filiera della Musica Indipendente ed Emergente e Audiocoop con Giordano Sangiorgi, ideatore e organizzatore del Mei, il meeting delle Etichette Indipendenti.

E i numeri confermano lo scenario descritto. Secondo una indagine pubblicata sul sito All Music Italia, verificando le prime 43 settimane delle classifiche stilate da EarOne, si può constatare che Warner Music èstata in testa ben 21 volte su 43, seguita dalle altre altre sorelle: Universal con 16 primi posti nella classifica EarOne e Sony Music Italy con 5. Solo un posto a un’etichetta discografica indipendente, ma straniera. Ma basterebbe dare uno sguardo alla Top 100 settimanale della FIMI per notare che 43 posti sono occupati da dischi dell’Universal, 26 da artisti Sony e 20 dalla Warner. I restanti undici posti sono divisi fra società di distribuzione, alcune delle quali collegate alle Major, come Self e The Orchard.

Insomma, per la musica indipendente l’orizzonte è pieno di nuvole. Molto probabilmente anche perché molti hanno subito il richiamo magico delle major discografiche, delle grandi agenzie Live e di progetti ad hoc in grande stile. Lo dicevano anche i latini “pecunia non olet”, ossia “i soldi non hanno odore”. La scia “magica” esplosa nel 2015 si sta forse già esaurendo. Calcutta lo aveva annunciato già nel 2018: «La musica indie è morta». 

C’è tuttavia un underground che è rimasto nelle cantine, al buio, lontano dai riflettori dei mass media, in particolare delle televisioni e delle radio, bersaglio dell’atto di accusa del Coordinamento Stage & Indies. «Serve un intervento urgente del Governo che attivi un’azione del Made in Italy musicale per una presenza costante delle produzioni musicali delle aziende italiane nelle radio e tv italiane», rivendicano gli indipendenti che chiedono al Mic di farsi portatore di un incontro con la Rai, con le Radio e con le Tv private e con gli altri media interessati a costruire un percorso di valorizzazione delle produzioni italiane che rappresentano oltre l’80% delle produzioni realizzate in Italia e che «devono trovare, anche all’interno degli imminenti decreti attuativi del nuovo Codice dello Spettacolo dal Vivo, quote in radio, come in Francia e nei Paesi più avanzati». 

È necessario, continuano, fornire ad «ogni esordiente l’accesso all’ascolto nel servizio pubblico, sgravi fiscali alle radio e tv private interessate a valorizzare le produzioni italiane, sostegni per i tour all’estero, un credito d’imposta per i live delle piccole realtà musicali».

Sotto accusa sono in particolare le radio, prone alle richieste dell’industria discografica. «Ormai sono tutte le stesse, passano brani identici», commenta il catanese Giuseppe Strazzeri della Mhodì Music Company. «Delle 500 radio alle quali mando le mie proposte soltanto in 10 mi rispondono, spiegandomi che se passano il brano del mio artista rischiano poi di non ricevere il disco di Alessandra Amoroso. Tutto è in mano all’airplay che fa da tramite fra le radio e l’industria discografica, determinando i flussi e le classifiche. Inoltre, molti network sono diventati anche editori che promuovono le proprie produzioni. Le radio libere di un tempo non esistono più».

Le preoccupazioni riguardano anche il settore live. I grandi concerti segnalano un +676% di incassi rispetto al 2022, ma non è così per le piccole realtà musicali dei club e dei festival che segnano un aumento di appena il 25% circa. E che rispetto all’era pre-Covid continuano a segnare un segno negativo del 40% circa. «Questo è dovuto alla chiusura di un festival su tre negli anni del Covid, ai rincari ma anche a una politica live che meriterebbe una maggiore sinergia tra agenzia dei big e agenzia degli indipendenti». I promoter di grandi eventi, infatti, hanno ricevuto un importante sostegno dal governo, mentre alle piccole realtà non sono andate neanche le briciole.

«Servirebbero sgravi fiscali, incentivi e scontistica sui biglietti come si fa per il cinema italiano e una maggiore attenzione della Rai come servizio pubblico a dare ampi spazi radio e tv ai festival e contest sparsi in giro per l’Italia», concludono gli indipendenti, aspettandosi un segno di discontinuità da questo Governo. D’altronde, già nel 2011, AudioCoop aveva già lanciato un identico grido di allarme, caduto nel vuoto. È un malcostume diffuso anche nella sinistra di uccidere l’identità creativa dei musicisti italiani, di perdere tutti quei valori di una cultura popolare che fa della nostra musica ancora oggi uno dei riferimenti più importanti nel mondo. Si lasciano ai margini migliaia di band e di artisti, centinaia di produttori e di festival e una filiera della produzione creativa italiana che rischia di scomparire non trovando spazi di visibilità e promozione nei grandi media tv e radio del nostro Paese, con particolare riferimento alle giovani produzioni indipendenti.

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