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L’America premia le cantanti italiane

– Snobbate in patria, si prendono la rivincita all’estero, dove le voci femminili sono più apprezzate da tempo. Annalisa riceve il Global Force Award, Simona Molinari insignita con il Callas Tribute Prize, Carmen Consoli attesa in tour con lo spettacoloTerra ca nun senti
– «Nell’industria musicale italiana, essere una donna è ancora dura», dice la cantante di “Sinceramente”. E l’interprete napoletana aggiunge: «Devono esserci sempre più esempi di donne alla pari con gli uomini»

Le artiste italiane trovano all’estero i riconoscimenti che, paradossalmente, non ricevono in patria. Snobbate in patria, si prendono la rivincita oltre Oceano, dove da tempo c’è più attenzione alle voci femminili, che – non a caso – dominano le classifiche.

«Nell’industria musicale italiana, essere una donna è ancora dura, abbiamo ancora molto lavoro da fare. ma siamo sulla buona strada e riconoscimenti come questo danno forza», commenta Annalisa. La cantante di Sinceramente giovedì sera a Los Angeles ha ricevuto il Global Force Award, in occasione del Billboard Women in Music. La regina del pop nostrano, nata a Savona nel 1985, è la prima italiana ad entrare nella Top 100 Billboard Global, la classifica dell’autorevole rivista musicale.

Annalisa alla cerimonia di Los Angeles per la consegna a Los Angeles dei Global Force Award

Ieri è toccata ad un’altra apprezzata interprete italiana, Simona Molinari, ricevere a New York un altro prestigioso premio, addirittura il Callas Tribute Prize. «Sono davvero contenta e commossa, è un riconoscimento che arriva del tutto inaspettato. Lo considero un premio all’impegno, alla passione e alla perseveranza che metto in tutto quello che faccio. Maria Callas non era una mera esecutrice, ma una grandissima professionista che sul palco conosceva le parti di tutti gli altri musicisti. In questo mi sento un po’ affine a lei», è la prima reazione della cantante napoletana in un’intervista a “La Ragione”. Quello di Maria Callas fu un modo rivoluzionario di fare questo lavoro, perché di solito – specialmente da donna – non si ha voce in capitolo: ti mettono lì e fai quello che ti dicono di fare. Lei fu davvero molto moderna».

E, a proposito del problema del gender gap nella musica italiana, Molinari dimostra di avere le idee chiare: «Devono esserci sempre più esempi di donne alla pari con gli uomini. Da piccola pensavo che per una cantante fosse importante soltanto avere una bella voce, una grande tecnica e un bellissimo vestito. Ma in realtà questa non è che una piccola parte della mia professione».

Simona Molinari

Dall’esordio nel 2009 a Sanremo ha cantato il pop, il jazz, l’electrojazz, Carosone, Gilberto Gil, Ella Fitzgerald, Luttazzi e vinto una targa Tenco, due anni fa, come miglior interprete per l’album Petali allo spettacolo di arte e musica al fianco di Cosimo Damiano Damato, intitolato El pelusa y la negra e dedicato alla storica attivista argentina per i diritti civili Mercedes Sosa e all’indimenticabile Diego Armando Maradona. Da questa esperienza è nato il disco Hasta Siempre Mercedes: «Cosimo mi aveva chiesto di occuparmi della parte musicale dello spettacolo con un repertorio argentino. Così gli ho detto che mi sarebbe piaciuto raccontare la figura di una donna di quel Paese che rispecchiasse in musica la personalità di Maradona. È stato inevitabile prendere come riferimento proprio Mercedes Sosa», ricorda Molinari. «È stata una donna così moderna. Molte sue canzoni sono per la pace, per la libertà e per i diritti, contro ogni forma di ingiustizia. Poi ho pensato di fermare quelle sensazioni in un disco».

Il disco – almeno per ora – non sarà sulle piattaforme di streaming: «È una scelta precisa. Per come è stato costruito, pensato e anche suonato», spiega Simona Molinari. «Ho pensato che lo streaming, almeno in prima battuta, non gli rendesse giustizia. Anche per il modo in cui penso debba essere ascoltato e raccontato: con lentezza. Non volevo che finisse subito: assaporare davvero le cose importanti prevede un tempo di attesa».

Una scelta in controtendenza con la logica dei numeri che sempre più domina il mondo della discografia: «È facile scoraggiarsi perché sembra sempre che si debba essere super produttivi, avere la super prestazione. E se non siamo primi, quasi non esistiamo. Ma non è vero. Ci sono i primi, ma esiste una miriade di sfaccettature intorno a tutti i mestieri e si può non essere primi e vivere benissimo perseguendo le proprie passioni», riflette. «Il format che più conta è quello della canzone, che non passa di moda perché regala in pochi minuti sogni, emozioni, dolori, felicità, che ognuno può fare suoi, portare in classe, al lavoro, sotto la doccia, in spiaggia, in miniera, in corteo, a letto… Non c’è forma d’arte così democratica. Io, poi, resto affezionata alla completezza di narrazione, di espressione che ti dà un album».

Carmen Consoli durante il concerto di sabato sera “Terra ca non senti” lo scorso luglio al Teatro greco di Siracusa (foto Angela Platania)

Adesso l’America aspetta Carmen Consoli che in maggio sarà in tour per presentare lo spettacolo Terra ca nun senti, presentato l’anno scorso a Siracusa, progetto di valorizzazione degli strumenti e del patrimonio musicale siciliano nel quale interpreta brani della sua tradizione insieme ad alcune canzoni scritte da lei stessa in siciliano. Oltre la musica, Carmen racconterà suggestioni e ricordi di paesaggi e personaggi della storia sociale e culturale italiana, suoi conterranei.

Il tour prenderà il via il prossimo 22 maggio a “Le poisson rouge” di New York – splendida struttura polifunzionale nel cuore della Grande Mela, tempio della musica indipendente – per proseguire in Canada, a Montreal, dove Carmen e l’Orchestra si esibiranno il 24 maggio all’interno del Festival Au Galop. Il tour torna poi negli Stati Uniti, con due concerti californiani: il primo il 28 maggio al “Club Fugazi” di San Francisco – venue storica della città, aperta a diverse arti, da quella circense al jazz per estendersi a ogni genere musicale; ha ospitato i grandi intellettuali della beat generation, da Kerouc ad Allen Ginzberg e sul suo palco hanno suonato – tra gli altri – Thelonious Monk e i Grateful Dead. Il secondo concerto californiano sarà il 29 maggio al “Whisky a go go” di Los Angeles, un locale costruito negli anni Cinquanta su una vecchia centrale di polizia, di cui conserva immutato il fascino.

Il 31 maggio l’ultima tappa del tour è in Florida, all’Istituto di Cultura Italiana di Miami, dove testimonierà una volta di più l’alto valore artistico del patrimonio tradizionale siciliano, prima di tornare in Italia e prepararsi al grande evento all’Anfiteatro Romano di Pompei l’8 giugno.

Non è la prima volta della “cantantessa” oltre Oceano. Dopo le primissime esibizioni nel 2004 al South By South West Festival di Austin, nei locali di Chicago e al Joe’s Pub di New York, Carmen è tornata a suonare negli States per più di cinquanta concerti. Memorabili i tre sold out consecutivi a New York e quello al Festival di Central Park, oltre a quello all’Hit Week Festival, davanti al pubblico sterminato di Los Angeles. Jon Pareles, grande critico musicale del New York Times, la definì «una magnifica combinazione tra una rocker e un’intellettuale…una voce piena di dolore, compassione e forza». Gli fece eco il New Yorker, scrivendo che Carmen Consoli «ha una voce bellissima e le sue canzoni appassionate non hanno bisogno di traduzione».

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