La nuova star della musica black ha aperto la settima edizione del Festivalle di Agrigento. Una voce che sbalordisce e canzoni di forte impatto emotivo e sociale fra jazz e soul. Gran finale di serata con il divertente e travolgente funky di Fred Wesley
Lady Blackbird è la star che speri non diventi una supernova per tenerla segreta. I paragoni con Tina Turner sono inevitabili, ma non ha la stessa energia e sensualità della compianta “regina del rock”. Blackbird è un’artista più dolce e piena di sentimento, più vicina a Gladys Knight. La sua voce sbalordisce, rara e inconfondibile. Quando si presenta sul palco del Festivalle di Agrigento, all’ombra del Tempio di Giunone, indossando un mantello e un copricapo di piume nere su una parrucca bianca, sembra una dea venuta dal futuro, un supereroe. E attacca subito con Blackbird, il brano che l’ha lanciata e le ha dato il nome.
Prima di diventare Lady Blackbird, Marley Munroe, trentottenne di Los Angeles, ha fatto di tutto, dai concerti di cover nei bar degli hotel al rock, r&b e soul. «Ho avuto così tanti momenti in cui ho pensato che stesse accadendo qualcosa di importante e poi il tappeto è stato tirato fuori da sotto di me. Continuavo a chiedermi: “Quando cambierà?”».
Accade nel 2020, solo pochi giorni dopo l’omicidio di George Floyd. Marley Munroe ha appena pubblicato la cover di Blackbird di Nina Simone. Sostenuta solo da un contrabbasso acustico e trilli di pianoforte, la potenza vocale struggente di Munroe trasporta l’inno per i diritti civili della Simone del 1963 sotto una nuova luce. Sebbene la tempistica dell’uscita fosse una coincidenza, il messaggio di resilienza di Blackbird di fronte all’oppressione rispecchiava un altro momento della resa dei conti per l’America nera, diventando l’inno della protesta.
L’album di debutto, Black Acid Soul, pubblicato nel 2021, è accolto con grandi elogi dalla critica. Il disco contiene la cover di Blackbird, che la cantante californiana ha nel frattempo preso come nome d’arte, così come riletture jazz, soul e folk e alcuni inediti. Ma è la voce roca di Marley Munroe che avvince l’ascoltatore. Seguono tour sold-out e, lo scorso ottobre, l’apparizione al Graham Norton Show, dove ha ricevuto elogi dagli altri ospiti Bono e Taylor Swift.
«L’intero percorso è stato come tornare a casa perché la musica soul è quella con cui sono cresciuta», dice, riferendosi al suo amore per i grandi della voce come Gladys Knight, Ella Fitzgerald e Billie Holiday. Marley Munroe, cresciuta nella piccola città di Farmington, nel New Mexico, ricorda di aver cantato quella musica piena di sentimento non appena ha potuto camminare. «Mia madre si è resa conto delle mie capacità vocali e ha iniziato a formarmi come artista. Mi proponeva di cantare l’inno nazionale alle partite di basket locali. Avrebbe persino provato a convincere Sears o JC Penney (grandi magazzini americani, nda) a sponsorizzare il mio vestito! È stata la mia prima manager».
A 12 anni, Munroe aveva firmato un contratto con un’etichetta discografica cristiana con sede a Nashville e aveva iniziato a lavorare con il gruppo crossover rap-rock DC Talk. Ma a 18 anni si è resa conto che «la religione non mi stava bene e non volevo più fare musica in quella direzione, quindi me ne sono andata». Il viaggio nella musica continua come cantante e autrice di canzoni per altri artisti, tra cui la cantante pop Anastacia. Nel 2013, un’altra svolta: firma per la Epic e pubblica due singoli pop. Avrebbe dovuto segnare l’inizio della sua carriera, ma il contratto non dura a lungo. «Abbiamo avuto alcune divergenze musicali», spiega. «Mi aspettavo che la mia carriera andasse davvero avanti una volta che avessi firmato per una major, ma si è schiantata e bruciata».
Dieci anni dopo, le cose sono molto diverse. Lady Blackbird si è imbarcata per un tour europeo, con due date italiane, la prima giovedì 3 agosto ad Agrigento con la sua band per la settima edizione del Festivalle e la prossima, martedì 8 agosto, a Locorotondo accompagnata dall’Orchestra della Magna Grecia per il Locus Festival. E ogni volta che sale sul palco è sempre sorpresa di suonare davanti a una platea gremita come giovedì sera sotto il Tempio di Giunone. «Penso sempre che ci saranno solo una trentina di persone», dice. «Fare questi spettacoli e avere tante persone che mi applaudono e mi portano fiori sul palco, mi fa sentire come se stessi vivendo nel film biografico di Lady Blackbird!».
Una meraviglia che rivela anche sul palco, quando sembra mettersi all’ascolto dei suoi musicisti, come se fosse lei a un concerto, e non l’evento principale. Ogni sua canzone è vissuta. Fix It, costruita su un brano strumentale del leggendario pianista jazz Bill Evans, è intima, introspettiva, molto sentita, accompagnata dal basso jazz di Johnny Flaugher e dal pianoforte di Kenneth Crouch. Quando è la volta di una versione rocciosa e sfacciata di Come together dei Beatles, si toglie la corona di piume nere, per restare con la sola parrucca bianca.
Un secondo album è in lavorazione, mantenendo il suono pieno di sentimento ed essenziale che Lady Blackbird e il produttore Chris Seefried hanno creato, aggiungendo nuove canzoni con un messaggio decisivo. «Il nuovo disco sarà sull’emancipazione delle donne», annuncia. «Si tratta di avere la libertà di essere chi cazzo vuoi senza bisogno di spiegazioni, dato che è così che mi sento ora».
È quello che canta in Woman, un inno all’emancipazione femminile; una risposta a chi oserebbe provare a dire a una donna cosa dovrebbe fare del suo vestito, del suo corpo, della sua vita. Sentirsi libera di essere se stessa significa cantare la musica più vicina al cuore di Marley Munroe, oltre a poter scegliere di indossare ciò che vuole sul palco. Fa sembrare le sue esibizioni di Lady Blackbird come uno spettacolo jazz intimamente equilibrato fuso con la teatralità della rockstar che aveva inizialmente cercato di essere.
Se Lady Blackbird ha acceso i cuori del pubblico del Festivalle, Fred Wesley con la sua band The New JBs ha infiammato la serata con il suo grande senso dello spettacolo rodato sui palchi di tutto il mondo come bandleader di “Mr. Dynamite” James Brown. Ogni esibizione è all’insegna del divertimento e del funky. E, nonostante alcuni problemi tecnici sul palco, giovedì sera il pubblico ha gioito e ballato ascoltando classici dell’ottantenne trombonista come Pass the Peas e House Party, mescolati a cover di James Brown e Parliament.