Lettera di fuoco di Grazia Letizia Veronese contro il «ragionier Giulio Rapetti». «Ancora non ti riesce di separare il suo nome dal tuo… Mio marito è diventato il tuo passepartout». Bugie sulla sua malattia, ma un medico conferma la versione del paroliere
La storia di Lucio Battisti la conosciamo soltanto da una unica fonte. Dal «ragionier Giulio Rapetti, imprenditore, in arte Mogol, paroliere». Tra l’altro poco credibile. Perché, dopo una lunga e fruttuosa collaborazione che ha prodotto moltissimi successi indelebili, fra i due è avvenuta una separazione con una scia di veleni e cause. Più scandaloso è che, dopo la scomparsa di Battisti, a avocare a sé l’eredità e il testimone sia stato Mogol, che ha speculato senza vergogna.
Ogni libro, qualsiasi documentario, sono basati sul racconto di una sola voce. Quella di Mogol. Più qualche altro musicista che non ha avuto mai un forte legame di amicizia con Battisti. Oggi, finalmente, si è levata una voce che per troppo tempo è rimasta in silenzio. Quella di Grazia Letizia Veronese, vedova di Lucio Battisti. Che ha preso carta e penna ed ha scritto al «ragionier Giulio Rapetti, imprenditore, in arte Mogol, paroliere».
«Eccomi qui. Sono passati venticinque anni da quando Lucio Battisti non è più fra noi. Noto, caro Giulio, che non perdi occasione pubblica per spargere il tuo miele su Lucio, dichiarando di averlo amato tanto: io credo che tu abbia ragioni per amarlo molto di più adesso, visto che ancora oggi, dopo un quarto di secolo dalla sua morte, non ti riesce di separare il suo nome dal tuo». Inizia così la lettera aperta che Grazia Letizia Veronese, i cui rapporti con Mogol sono stati sempre ai minimi termini da anni, visto il veto della famiglia Battisti a usare in qualsiasi modo l’eredità musicale del cantautore e le accuse a Mogol di sfruttarne la memoria.
La lettera prosegue così: «Noto anche che, in queste occasioni non fai mai alcun cenno alle innumerevoli cause che hai intentato dopo la morte di Lucio: tre gradi di giudizio per una questione di confini, due gradi di giudizio per un risarcimento danni, per “perdita di chanche”: una causa che, visto l’esito, ha costretto in liquidazione le Edizioni Acqua Azzurra. Ed ecco ora, dopo sette anni dalla sentenza del 2016, una nuova identica causa, questa appena nata, ma ancora per “perdita di chanche”. Ti ricordo (fra parentesi) che sono ancora in attesa di una risposta alla lettera che ti ho scritto il 10 giugno del 2020, quando eri Presidente effettivo della Siae. Sono passati tre anni e hai ritenuto di ignorare quella lettera ma, nel frattempo, hai continuato a produrre programmi che hanno al centro Lucio Battisti (che, consentimi il termine, è diventato il tuo passepartout)».
Proprio pochi giorni fa, in occasione dei 25 anni dalla morte, Battisti è stato rievocato su Rai1 con il docufilm Lucio per amico. Ricordando Battisti. E Grazia Letizia Veronese tiene a evidenziare: «Per quanto riguarda la salute di Lucio e le cause della sua morte, ti chiedo gentilmente di lasciar perdere le tue infondate supposizioni e ogni altra illazione. Ti chiedo soltanto di rispettare la sua dignità di uomo, dopo avere tanto lusingato la sua figura di artista. A tal proposito, ti invito a non raccontare più la commovente storia della “lettera consegnata di nascosto a Lucio”, ora da un’infermiera, ora da un medico, ora da un non meglio identificato “professore”; voglio precisare, una volta per tutte, che mio marito in quei giorni lottava per la sua vita, che nessuno ha mai ricevuto una tua lettera, che Lucio in quegli stessi giorni non è stato mai lasciato solo e che non ha mai pianto, tantomeno ricordando la vostra “amicizia”. Ti rammento che il vostro “sodalizio artistico” si era interrotto nel lontano 1980. Sono passati ormai 43 anni, Giulio! Senza rancore. Grazia Letizia Veronese Battisti».
A sostenere però la posizione di Mogol è arrivato ora il medico che aveva avuto in cura Battisti nei suoi ultimi giorni, Antonio Del Santo, medico dell’ospedale San Paolo di Milano, specialista in medicina interna e ematologia. Intervistato da La Stampa, ha ripercorso quei giorni del 1998, rivelando: «Ho consegnato io stesso il biglietto di Mogol a Battisti durante una delle tante visite di controllo che gli facevo». E ancora: «A me lo diede la collega di un altro reparto. E io lo portai subito in camera di Battisti… gli dissi che arrivava da Mogol e che potevo allungarglielo, leggerlo ad alta voce per lui o stracciarlo. Stava a lui, e soltanto a lui, scegliere». Contrariamente a quanto riferito da Mogol, non si trattava di una lettera, bensì di un biglietto: «Era giusto un bigliettino, due o tre righe al massimo e un numero di telefono in fondo. Mogol desiderava fargli sapere che lo pensava e che era a sua disposizione per qualsiasi cosa… quelle parole semplici colpirono Battisti al punto da commuoverlo. L’ho detto e lo ribadisco. Sono l’unico a poterlo fare: ero lì». Il biglietto restò quindi nelle mani di Battisti: «Riuscì, non so come, a nasconderlo alla moglie. Non ho davvero idea di che fine abbia fatto».
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