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“Io capitano”, un Pinocchio in fuga dall’Africa

Il film di Matteo Garrone, in concorso a Venezia80, racconta la storia di due giovani migranti che inseguono il sogno dell’Europa. Ci sono momenti del viaggio di Seydou e Moussa che somigliano all’evasione fiabesca del libro di Collodi. Richiami anche all’umanità di Vittorio De Sica. Il fenomeno migratorio visto da un’altra ottica, partendo dall’Africa e non dalle barche che approdano sulle spiagge della Sicilia

Raccontando in Io capitano l’odissea degli adolescenti senegalesi Seydou e Moussa dalle loro case di Dakar alle coste dell’Europa, per la prima volta Matteo Garrone non esplora l’Italia dal di dentro ma attraverso gli occhi di chi ne fa la propria destinazione nella speranza di una vita migliore.«Ho provato a cambiare punto di vista», dice il regista in concorso a Venezia80. «È un’inquadratura opposta a ciò che siamo abituati a vedere. Siamo abituati ad avere la telecamera in Europa, a guardare le persone che arrivano via mare, a volte vive, a volte morte. Volevo mostrare la parte che dovremmo sapere ma non sappiamo».

Da quando il numero dei richiedenti asilo per la prima volta nell’Unione Europea ha superato la soglia del milione nel 2015, le storie delle persone che hanno attraversato il Mediterraneo sulle barche sono state raccontate in numerosi documentari ma in meno lungometraggi di quanto ci si potrebbe aspettare. In A Bigger Splash, di Luca Guadagnino, le persone le cui barche approdano sulle spiagge della Sicilia sono semplici figure oscure sullo sfondo. La tendenza sta per cambiare: nella competizione principale a Venezia, Garrone se la vedrà con Zielona granica (Confine verde) della regista polacca Agnieszka Holland, ambientato sul confine bielorusso-polacco dove i migranti dal Medio Oriente e dal Nord Africa cercavano di entrare in Europa nel 2021.

Garrone, tuttavia, ammette il rischio intrinseco di realizzare un «dramma sui rifugiati», di raccontare la storia di categorie piuttosto che di individui, dipingendo le persone come vittime passive o elevandole a eroi sovrumani. «Ero pienamente consapevole del pericolo rappresentato dalla delicatezza di questo argomento e mi ci sono voluti molti anni per elaborare l’approccio che avrei adottato», afferma. «La mia luce guida era quella di essere il più fedele possibile a me stesso e alla realtà, e di mantenerlo semplice, ed è piuttosto difficile mantenere le cose semplici quando si fa arte».

Mentre visitava un rifugio per rifugiati in Sicilia, si è imbattuto nella storia di un ragazzo di 15 anni che era stato incentivato a guidare una barca che trasportava 250 persone attraverso il Mediterraneo senza alcuna esperienza di navigazione, una tattica che i trafficanti di esseri umani hanno utilizzato da quando i procuratori italiani hanno iniziato utilizzando le leggi antimafia per arrestare i timonieri delle navi, i capitani del titolo, al loro arrivo in Europa.

«Stavo entrando in una cultura che non era la mia, e per fare un film dovevo farlo non solo su di loro ma con loro», dice Garrone. «In ogni momento sul set avevo accanto persone che avevano vissuto l’esperienza della tortura in Libia o avevano attraversato il Sahara, così potevano aiutarmi a raccontare la loro esperienza in dettaglio».

Come protagonista, ha scelto Seydou Sarr, un diciassettenne estremamente timido senza esperienza di recitazione ma con una passione per il cinema e la musica. Il suo stravagante cugino Moussa è interpretato da Moustapha Fall, anche lui diciassettenne al momento delle riprese, che aveva seguito alcune lezioni di recitazione a Dakar. I due protagonisti vivono da un anno in casa della mamma di Matteo, a Fregene: «Vogliono restare in Italia»

Iniziare la sua storia nella repubblica dell’Africa occidentale era di per sé una scelta potenzialmente polemica. Solo negli ultimi anni il Senegal è diventato un Paese in cui le persone migrano per l’insicurezza economica piuttosto che la guerra o la carestia. Io Capitano si apre con un’inquadratura di Seydou che osserva con noia le sue sorelle più giovani che si provano parrucche arancioni, si intrecciano i capelli e si dipingono le unghie. Non è l’infelicità che spinge lui e suo cugino a lasciare le loro case, ma il desiderio di avventura. «L’Europa ci sta aspettando», assicura Moussa a Seydou dopo che i loro anziani li hanno avvertiti che il continente non sarà per niente come lo immaginavano.

A volte diamo per scontato che la globalizzazione riguardi solo il mondo occidentale. Beh, è sbagliato. Anche in Africa le persone hanno accesso ai social network, agli smartphone e alla televisione. Hanno una finestra sull’Europa costantemente aperta ed è del tutto umano e naturale che siano spinti a vivere in un luogo che sembra loro più attraente. Vogliono viaggiare e conoscere il mondo proprio come noi.

Matteo Garrone

«La migrazione ha molte ragioni diverse: sfuggire alle guerre, agli effetti del cambiamento climatico, alla povertà assoluta», afferma Garrone. «Il soggetto del film è un altro tipo di migrazione, che è collegata alla demografia dell’Africa – il 70% dell’Africa sub-sahariana ha meno di 30 anni – e alla globalizzazione». Sebbene la migrazione contemporanea dall’Africa all’Europa somigli in qualche modo a quella della generazione dei suoi nonni verso gli Stati Uniti, afferma, ci sono alcune differenze cruciali. «A volte diamo per scontato che la globalizzazione riguardi solo il mondo occidentale. Beh, è sbagliato. Anche in Africa le persone hanno accesso ai social network, agli smartphone e alla televisione. Hanno una finestra sull’Europa costantemente aperta ed è del tutto umano e naturale che siano spinti a vivere in un luogo che sembra loro più attraente. Vogliono viaggiare e conoscere il mondo proprio come noi. Vedono coetanei viaggiare dalla Francia al Senegal e non capiscono perché non possono fare la stessa cosa andando nella direzione opposta. La storia di questo tipo di migrazione non è raccontata molto nei film».

Il capitano della vita reale su cui è basato il film è andato in prigione per sei mesi non appena è arrivato in Italia. In Io Capitano, ci sono momenti del viaggio di Seydou e Moussa che somigliano all’evasione fiabesca della sua versione di Pinocchio: come il ragazzo di legno del racconto popolare ottocentesco di Carlo Collodi, Seydou non si rompe facilmente. «La gioventù ha l’arroganza di sfidare la vita: questa è una qualità che Seydou e Moussa condividono anche con i ragazzi di Gomorra. Ma volevo dare al pubblico la possibilità di respirare, per quanto terrificante possa essere la loro esperienza».

La cover dell’album

Il film riporta all’umanità di Vittorio De Sica. «Il neorealismo è un forte riferimento, e ho avuto la sensazione di ritrovare un’Italia che non ho vissuto, la Napoli del Dopoguerra. Penso alla semplicità, alla vitalità… C’è la scena in cui Seydou si prepara a partire e la sorellina gli dice dove vai, lei dormiva veramente. Questo era il clima, un gioco, e loro recitavano col cuore». Un viaggio eroico, una metafora che diventa «spazio mentale» e ha una trasversalità, perché l’immigrazione è trasversale.

In contemporanea con il film di Garrone, da giovedì 7 nelle sale cinematografiche italiane, domani esce anche la colonna sonora originale, a firma di Andrea Fabbri, edita da Sony Music Publishing.

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