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I “Pistols” in tv, il punk diventa una fiaba

Dal prossimo 7 settembre su Disney+, in sei episodi, il regista Danny Boyle ricostruisce la storia della band che ha influenzato il corso della storia del rock. Si sorvola sul contesto sociopolitico e si punta sulla drammatizzazione

Sfrattata dalle classifiche di vendita dei dischi dal dilagare dell’hip hop, la musica rock si prende la rivincita sbancando i botteghini. Non solo dei concerti (con i Rolling Stones e Bruce Springsteen), ma anche dei cinema. La diffusione del fenomeno dei biopic musicali con film su Madonna, Whitney Houston, Amy Winehouse, Janis Joplin, Courtney Love, Billie Holiday, stimolata dal successo di film come A Star Is Born di Bradley Cooper con Lady Gaga, Rocketman su Elton John e, soprattutto, Bohemian Rhapsody di Bryan Singer ha rinvigorito la tendenza. D’altronde, la vita delle star della musica (rock, pop ma non solo: Amadeus di Miloš Forman è un esempio ante litteram) offre spunti avventurosi e insoliti, in grado di creare un’epica esaltante e un po’ nostalgica anche alla luce dell’attuale penuria di storie originali.

Anche la tv scopre le storie rock. Su Netflix abbiamo visto The Dirt, ritratto non troppo lusinghiero dei Mötley Crüe, che condivide con Bohemian Rhapsody la volontà di “assolvere” i protagonisti. Ben più nichilista il messaggio di Lords of Chaos, film di Jonas Åkerlund che combina tragedia e commedia per raccontare la violenta parabola della scena black metal norvegese anni Novanta, che raggiunse le cronache per una scia di roghi di chiese e di omicidi. Dal 7 settembre su Disney+ vedremo invece Pistols, il tentativo da parte del regista Danny Boyle di raccontare la storia della nascita del punk basandosi su Lonely Boy: Tales from a Sex Pistol, il libro di memorie del chitarrista Steve Jones, ambientato nella Londra dei Seventies.

I Sex Pistols, quelli veri, ai loro inizi. Sotto i Sex Pistols nella serie tv diretta da Danny Boyle

La storia è, quindi, raccontata in gran parte attraverso gli occhi del chitarrista Jonesy (interpretato da Toby Wallace), come Steve Jones è chiamato nella serie televisiva, ed è priva di prospettiva storica. Il regista sorvola sul contesto sociopolitico che ha acceso la furia iconoclasta del punk: la crisi del laburismo, la recessione, per la prima volta la Gran Bretagna aveva dovuto chiedere un prestito al Fondo Monetario internazionale, il tasso di disoccupazione era il peggiore dal 1940 e la violenza per le strade macchiava di sangue i fiduciosi discorsi di Margaret Thatcher. Tra il 1975 ed il ‘79 il punk è il nuovo fenomeno globale, l’ultima grande, storica, esplosione del rock: capelli cortissimi e colorati, spille da balia conficcate nelle guance, giubbotti di pelle e pantaloni stracciati, diventano la divisa di un nuovo esercito di giovani, disperati e ribelli, che non vogliono più confondersi con l’establishment, che vogliono vivere «fuori dalla società», come canterà Patti Smith.

Il punk è il rock’n’roll di una generazione senza sogni, senza speranze, che non vede la possibilità di un futuro migliore e prova a cantare la propria rabbia senza timore, mettendo da parte le buone maniere, scardinando le regole del business e dello spettacolo. Non era più un mondo in grado di sognare e tra i sogni infranti c’era anche quello del rock.

Saltando tutta questa premessa, Danny Boyle svuota il movimento di quel contenuto anarcoide, nichilista e ribelle che lo rese una minaccia per l’establishment. Il racconto scorre in modo frenetico e superficiale in sei puntate, nelle quali il regista punta più alla drammatizzazione, piuttosto che alla ricostruzione storica, dilungandosi su episodi secondari.

I Sex Pistols accesero la miccia che avrebbe fatto esplodere quel movimento. Ma il “cervello” o “l’uomo che inventò la grande truffa del rock’n’roll” fu un agitatore artistico di nome Malcom McLaren. La serie tv parte proprio dalla boutique estremista “Sex”, al 430 di King’s Road, di proprietà di McLaren e Vivienne Westwood, stilista allora poco conosciuta. È in quel negozio che Jonesy, ragazzo con una traumatica infanzia e ladro incapace viene preso con le mani nel sacco. «I furfanti come te mi eccitano», lo avvicina il predatore Malcolm McLaren (Thomas Brodie-Sangster). «Sei un prodotto dell’oppressione statale». 

Un altro episodio decide di girare attorno alla nascita della canzone Bodies, in cui John Lydon canta tutto il dolore e la frustrazione di una giovane ragazza costretta all’aborto dopo uno stupro. Sebbene per anni sia stata considerata una canzone anti-abortista, oltre che scandalosa per la crudezza delle immagini evocate, il cantante ha più volte dichiarato che il brano non vuole essere né pro, né contro l’aborto, ma desidera solo riportare, in chiave realistica, tutta la confusione, la rabbia, la tristezza e la sofferenza che molte donne provano in una situazione del genere. È una storia controversa, ma nell’economia di sei episodi per descrivere nascita e fine dei Sex Pistols, appare eccessivo darle così tanto spazio. Come nel caso della storia d’amore tra Chrissie Hynde (una bravissima Sydney Chandler) e Jonesy.

Una fantasia borghese. La Disney ha rubato il passato e ha creato una fiaba, che ha poca somiglianza con la verità

Johnny “Rotten” Lydon

Anson Boon interpreta Jonny Rotten, che si è sempre opposto alla serie tv, perdendo poi la causa in tribunale. Quando è uscito il trailer, Lydon l’ha definito «una fantasia borghese». Aggiungendo: «La Disney ha rubato il passato e ha creato una fiaba, che ha poca somiglianza con la verità». 

Non ha tutti i torti. Il giovane Rotten, eppure, non ne esce male: è semplicemente trasformato in un personaggio dei cartoni animati, un roditore animato. 

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