Storia

Geolier: dal rione al tetto del mondo

– È una delle scritte apparse nel quartiere dove è cresciuto il rapper che a Sanremo canterà in napoletano e «per questo ho già vinto». «Il sogno? Portare Napoli oltre i confini italiani»
– La polemica sulla lingua, sollevata da scrittori e puristi: «L’hip hop è slang, gergo, linguaggio di strada… Mi capiscono in tutta Italia». In estate in tour da Messina a Milano con triplete al Maradona
 – «Prima di me e dei musicisti miei coetanei e prima di Gomorra e Mare Fuori, ci sono stati Eduardo, Totò, Pino Daniele, Massimo Troisi, Gigi D’Alessio, che hanno spianato la strada»

«A Sanremo canto in napoletano: per questo ho già vinto», ripete come un refrain Geolier, il rapper in pieno decollo verso il grande pubblico. Gli fa eco uno striscione apparso nel rione Gescal di Napoli: «Da rione al tetto del mondo». E questa, dice il ragazzo che lo ha appena affisso, «è già una vittoria. Poi quello che viene ci prendiamo».

Qui tra le strade che dividono i quartieri periferici di Miano e Secondigliano, è nato e cresciuto Emanuele Palumbo, in arte Geolier, ultimo di cinque figli che vivono ancora, nonostante la popolarità del rapper, in una delle tante modeste abitazioni della zona. 

Un quartiere intero fa il tifo per lui

«È qui che Emanuele veniva per i videogame», ricorda il gestore di una sala giochi, Giuseppe, indaffarato su una scala con altri a stendere da una parte all’altra della strada decine di bandierine con le foto del rapper. Tutti ricordano Emanuele e ora che è diventato per tutti Geolier le sue foto attaccate anche sui pali dei segnali stradali, tolgono spazio alle immagini dello scudetto e di Maradona di cui lui è un grande fan. «Quello lo ha regalato lui al quartiere», dice uno dei ragazzi impegnati con i festoni, indicando un murales di Maradona alto quattro piani. E un altro, che verrà inaugurato nei prossimi giorni, è praticamente già finito, lì accanto: raffigura ancora una volta Maradona che bacia sulla fronte Geolier ed è opera del giovane writer napoletano Filospry. 

«Andare al Festival di Sanremo, cantando in napoletano, la mia lingua, la considero già una vittoria. Sarà il mio punto di forza. Tutto quello che arriverà, sarà un di più», ribadisce Geolier. «Se mi avessero detto che a Sanremo non avrei potuto cantare in napoletano, non ci sarei andato». Parola dello schiettissimo trionfatore delle classifiche dell’anno appena concluso con l’album Il coraggio dei bambini, cinque dischi di platino e dopo Sanremo in giugno una tripletta – primo artista in assoluto – allo Stadio Diego Armando Maradona a Napoli (oltre ad altri tre concerti a Messina, Roma e Milano). I bookmakers lo danno tra i favoriti, ma lui glissa: «La responsabilità maggiore è portare Napoli sul palco dell’Ariston. E poi è un ritorno alle origini, perché il festival della canzone italiana è stato inventato proprio a Napoli», sostiene. Eppure, un sogno nel cassetto ce l’ha: «Portare Napoli oltre i confini italiani. All’Eurovision? Magari».

La polemica sulla lingua

L’orgoglio di cantare nella sua lingua è stato tuttavia ferito dalla levata di scudi di intellettuali, scrittori e puristi del napoletano che sono insorti leggendo il testo della canzone I p’me, tu p’te, con la quale il rapper è in gara. Capofila della “rivolta” contro un napoletano «straziante», lo scrittore Maurizio De Giovanni, quello de I Bastardi di Pizzofalcone e de Il Commissario Ricciardi, che tira in ballo Pino Daniele, Eduardo De Filippo e perfino i Neoborbonici per bocciare il rapper in lingua napoletana. 

Il napoletano è una lingua antica e bellissima, con la quale sono stati scritti capolavori immensi. È un patrimonio comune, ha un suono meraviglioso, unisce il maschile e il femminile come fa l’amore. Non merita questo strazio. PS. Basta chiamare qualcuno e farsi aiutare. Un po’ di umiltà

Maurizio De Giovanni

«Dispiace che sia nata questa polemica sulla canzone», commenta Marco Quercia, consigliere della settima Municipalità. «Sono sicuro che De Giovanni non volesse attaccare Geolier. Lui per questa periferia rappresenta un momento di riscatto e in questa missione va aiutato. Lo sa quanti del quartiere, quanti ragazzi, dopo che lui è diventato famoso, si son avvicinati alla musica?». E la festa di Geolier è diventata la festa di tutto il quartiere. Scontato che nei giorni di Sanremo il rione Gescal sarà incollato davanti al televisore, anche se per tutti loro l’esito è scontato: Geolier ha già vinto.

La migliore risposta ai puristi è data dal successo nazionale del rapper: Il coraggio dei bambini, tutto in napoletano, si è piazzato in vetta a tutte le classifiche, ascoltato da millennials e generazione Z in tutta Italia. «È il mio dialetto, è il mio rap e… sembra mi capiscano, non solo a Secondigliano, non solo a Napoli, non solo in Campania», arringa. «Nel mio flow, magari un po’ rionale, le vocali sono poche, le parole vengono triturate per correre veloci, per seguire il ritmo, il flusso. L’hip hop è slang, gergo, linguaggio di strada, anche nello scrivere ne devi rispettare le radici». E aggiunge: «Quello che mi piace è l’iconicità che si è creata intorno al napoletano in questi anni. La cosa che mi fa felice è che i ragazzi che non capiscono si vanno a guardare i testi in napoletano e le traduzioni in italiano. Vogliono capire e imparare le frasi in napoletano. Questa per me è la cosa più bella».

Napoli al centro

Napoli al centro, quindi. Nella musica, come in tv e al cinema, ormai da tempo (innegabile il successo di Mare Fuori o di Gomorra). Un nuovo Rinascimento per la città partenopea. «In effetti, in questo periodo storico era quasi d’obbligo portare Napoli sul palco. Sono io, ma poteva essere anche un altro. È il risultato di ciò che è stato seminato in passato e ora è fiorito», commenta Geolier. «Prima di me e dei musicisti miei coetanei e prima di GomorraMare Fuori, ci sono stati Eduardo, Totò, Pino Daniele, Massimo Troisi, Gigi D’Alessio, che hanno spianato la strada. Noi semplicemente stiamo raccogliendo i frutti e siamo fortunati che loro abbiano seminato».

Il brano di Sanremo è stato scritto dallo stesso Emanuele con Davide Simonetta e Paolo Antonacci: «Nella canzone vogliamo dare un messaggio sul rispetto che si deve quando una storia finisce: non bisogna stare insieme per abitudine, andare avanti per inerzia, sapere andare ognuno per la propria strada. È una canzone più melodica rispetto al mio repertorio, ma non mi sono snaturato». I p’me, tu p’te è il primo brano di un nuovo album: «Sì ma tornerò in studio solo dopo Sanremo, abbiamo già delle cose ma è ancora in lavorazione», annuncia.

Strade che s’incrociano nella serata dei duetti

In napoletano sarà anche la serata dei duetti, dove s’incroceranno le “Strade” di Geolier con generi musicali importanti nella sua formazione: da una parte il neomelodico con Gigi D’Alessio, dall’altra il rap e i suoi primi ascolti con Gué. Terzo ospite uno dei membri storici dei Co’Sang, ovvero quel Luchè che è stato uno dei punti focali della rinascita dell’hip hop napoletano e una delle figure di riferimento per Geolier nei primi anni di formazione (si ascolti il primo freestyle del rapper su YouTube sulle note di Int ‘o rione dei Co’Sang). «Sarà un omaggio al mio mondo al rap. Al rap italiano», conferma.

Il suo rapporto con Sanremo nasce da bambino, seduto sul divano accanto ai genitori e ai nonni che seguivano il festival al televisore: «Ho un ricordo bellissimo di mio nonno che tifava per Massimo Ranieri. Io allora lo vedevo perché lo guardavano loro, adesso, grazie ad Amadeus, non è più così. Amadeus ha portato al festival la musica che piace ai ragazzi di oggi. E i ragazzi accendono loro la tv per guardare il festival, votano, seguono. Amadeus ha creato un altro festival nel festival». 

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