Debutta a Catania domenica 2 luglio il “Sailboat tour” dell’artista irlandese. In scaletta brani inediti e un duetto con Sílvia Pérez Cruz, la cantante catalana che ha voluto come compagna in tre concerti
Chiunque sia mai stato innamorato ha trovato un amico in Damien Rice. Le sue canzoni sono malinconiche elegie di coloro che sono scomparsi dalle nostre vite e di ricordi, a volte rilassanti, a volte ossessionanti, lasciati sulla loro scia. La maggior parte sarà a conoscenza dei suoi primi lavori O del 2002, 9 del 2006 e My Favourite Faded Fantasy del 2014 con canzoni come Cannonball, The Blower’s Daughter e 9 Crimes. Canzoni che facevano sentire bene pur essendo tristi.
Se c’è una sola parola per descrivere Damien Rice, è intimismo. Tanto la sua musica, quanto le sue esibizioni. L’artista irlandese, che in dicembre compirà 50 anni, è coerente come la sua musica. Che, quasi sempre, coinvolge un pianoforte o una chitarra sconsolati, ma confortati da qualche loop: strumenti che sanguinano nella sua caratteristica voce sognante, dando all’ascoltatore la sensazione di essere dentro.
Rice è famoso per evitare la pubblicità. Come molti che sono venuti prima, non ultimi Kurt Cobain ed Eliot Smith, è noto per vedere l’industria musicale come un male necessario. E a volte, visto il suo stile di operare al di fuori del sistema, come solo un male. Cosa combina allora Rice? Suona per strada. Si esibisce in concerti improvvisati nelle città europee. Nessuna stampa, nessun annuncio. L’ideale sorpresa dietro l’angolo. Esibizioni scoperte attraverso video traballanti a bassa risoluzione pubblicati online.
Nel frattempo, Rice ha perso per strada Lisa Hannigan: una collega musicista irlandese e stretta collaboratrice dei suoi primi due album, fidanzata di una volta e musa perenne. A sostituirla adesso c’è Sílvia Pérez Cruz, cantante catalana con una voce inquietante e potente, un perfetto complemento di quella di Rice, capace di influenzare le armonie femminili dei suoi primi lavori. Un talento unico perfettamente in controllo; un umile interprete capace di coinvolgere il pubblico. Una presenza che fa bene allo stesso Rice, tant’è che l’ha voluta con sé nelle prime tre tappe del Sailboat tour che salperà il 2 luglio da Catania inaugurando la stagione dei concerti alla Villa Bellini.
Nel concerto Rice e Sylvia interpretano 9 Crimes con uno squisito duetto. L’artista irlandese invita poi uno spettatore sul palco per eseguire Cold Water, e chiede al pubblico di fornire l’accompagnamento in loop alla fine di Volcano.
Ascoltando Rice, qualcuno ha definito la sua musica come “sussurrante”, paragonabile, per esempio, a quella di James Blunt o James Morrison. Cantanti con voci da serenate, la cui musica ha fornito la traccia per i primi appuntamenti sentimentali goffi e maldestri. Invero, Damien Rice è un artista molto diverso. Canzoni come Rootless Tree e I Remember sono immense in quanto suonano come un’onda che lambisce dolcemente, e poi ti sorprendono come un torrente in piena. È la sua combinazione di dolcezza e severità che lo contraddistingue; un riflesso più vero e autentico della connessione umana, della sua turbolenza e precarietà.
La sua musica non è musica triste, anche se scherza dicendo che alla fine «saremmo tutti depressi». È potente. Innervante e riverberante. Musica che brama, che attrae qualcosa di profondo e universale. Nell’esplorare il suo passato, la sua musica ci permette di vedere le nostre storie come più belle, più significative di quanto probabilmente fossero.
Adesso sembra che Damien Rice sia finalmente pronto a guardare al futuro con un nuovo album. In scaletta appare un pezzo senza nome, che lui presenta dicendo «che è la canzone più piena di speranza che ha». Non è un capolavoro, ma suona alla grande, così come le altre due aggiunte più recenti al suo catalogo: Astronaut e Song for Berta. Sembra che Damien Rice abbia una nuova musa ed è pronto a portarci in nuovi viaggi a bordo della sua barca a vela.