Storia

Cramps e Re Nudo, tornano gli anni Settanta

Il 6 aprile a Milano un concerto per celebrare l’etichetta discografica che segnò un’epoca. Risorge anche la rivista della controcultura di quel tempo e nel 2024 potrebbe rinascere il Festival del proletariato giovanile. «È un momento molto fertile per l’underground»

Definire la Cramps una semplice etichetta discografica sarebbe riduttivo, oltre che molto lontano dalla verità: fondata nel 1972 da Gianni Sassi, ha infatti segnato un decennio, un’epoca e una scena culturale irripetibili. Ai cinquant’anni della Cramps è dedicato il concerto milanese del 6 aprile al teatro Lirico (sede anche di una memorabile performance di Cage nel 1977): un “come eravamo” ben assortito con Eugenio Finardi, che nel 1975 proprio per la Cramps pubblicò il suo primo 33 giri, Non gettate alcun oggetto dai finestrini, gli Skiantos, Lucio Fabbri, Carlo Boccadoro, Jo Squillo, Patrizio Fariselli, storico tastierista degli Area, la band che più di ogni altra ha incarnato lo spirito della Cramps diventandone immediatamente l’icona e pubblicando il primo disco in assoluto del catalogo, Arbeit Macht Frei.

La copertina di “Arbeit Macht Frei” storico album degli Area

«È stata una sensazionale fucina di creatività musicale», commenta Fariselli. «Gianni (Sassi, nda) l’aveva fondata all’inizio degli anni Settanta sostanzialmente per pubblicare il nostro primo album come Area, Arbeit Macht Frei. Poi gradualmente arrivarono altre uscite con Arti e Mestieri, Eugenio Finardi, Alberto, Camerini, Claudio Rocchi, e naturalmente con gli Area continuammo a incidere per la Cramps anche negli anni successivi. Gianni Sassi, però, non era un discografico, era un operatore culturale che spesso e volentieri interveniva in prima persona anche nell’esecuzione e nella registrazione dei brani».

La Cramps è stata musica senza barriere, senza etichette, fuori dai generi e dagli schemi. Musica per amore della musica e dell’avventura. Non è poco per una etichetta nata in Italia. La Cramps è stata un’esperienza davvero unica nel panorama italiano, perché era riuscita ad essere in perfetta sintonia con le migliori realtà musicali e culturali europee, in sintonia con un movimento sociale, politico e culturale che all’epoca, e non solo nel nostro Paese, provava ad immaginare un mondo diverso. Sotto il segno dell’utopia, nasceva con la Cramps una casa discografica di tipo diverso, una sorta di laboratorio nel quale si ambiva non soltanto a modificare le regole stesse del mercato discografico, provando a vendere musica considerata fino ad allora “invendibile”, ma soprattutto ad inventare nuova comunicazione.

Musica e movimento, arte e spettacolo, intrattenimento e ricerca, erano per Gianni Sassi e per la Cramps un unico insieme, nel quale si potevano e si dovevano mescolare culture e suoni, dando pari dignità all’avanguardia di John Cage ed al rock demenziale degli Skiantos, alla musica popolare degli Stormy Six ed alla ricerca, spiazzando spesso critica e pubblico con progetti che sfuggivano ad ogni possibile definizione. Sulla base dell’esperienza della Cramps nacquero negli anni seguenti molte altre iniziative, diverse ed a loro modo importanti, ma nessuna, fino ad oggi, ha avuto il peso, la forza, l’impatto che l’etichetta di Gianni Sassi ebbe nella scena italiana di allora. 

Un ancora sconosciuto Franco Battiato sui manifesti che pubblicizzavano un divano
Gianni Sassi (foto Fabio Simion)

In programma anche il docufilm Gianni Sassi – l’occhio, l’orecchio, la gola di Roberto Manfredi e Stefano Piantini, prodotto da Redshift Art and Culture Publishing di Stefano Piantini, con la regia di Roberto Manfredi, che racconta a 360 gradi la molteplice e vulcanica attività culturale di Gianni Sassi: art director, fotografo, editore, discografico, pubblicitario, organizzatore di eventi e festival, imprenditore culturale. Il docufilm è suddiviso in tre capitoli: l’occhio che racconta l’arte grafica e pubblicitaria di Gianni Sassi (celebre il manifesto con un Franco Battiato, capellone, basettone e stivaloni, ancora sconosciuto per un divano); l’orecchio che si focalizza su tutta la discografia della Cramps Records e delle sue altre etichette; infine, la gola dedicata alla prima rivista letteraria di cibo e cultura materiale da cui nacque il movimento Slow Food.

Un numero di Re Nudo

In questa riscoperta degli anni Settanta a Milano, s’inserisce anche la rinata iniziativa di Re Nudo, il collettivo che cinquant’anni fa tentò di gettare le fondamenta della controcultura in Italia per poi disperdersi per motivi economici, organizzativi e ideologici. A riprendere la testata e gli archivi della rivista ideata da Andrea Majid Valcarenghi, sono adesso Stefano Piantini e Luca Pollini, che proprio nelle scorse settimane hanno ripreso le pubblicazioni con un primo volume distribuito nelle librerie con l’intenzione di restituire dignità e visibilità alle istanze dell’underground ancora sopravvissuto.

In cantiere per il 2024 anche lo storico Festival del proletariato giovanile che si svolgeva al Parco Lambro sempre negli anni Settanta. «L’intento è di offrire uno spazio ai ragazzi, per parlare dell’oggi, della loro arte, non per celebrare epoche e miti del passato», spiega Pollini. «Si parlerà di musica, anche classica, ma soprattutto di arte, libri, poesia. Tutto quanto è espressione di una controcultura giovanile oggi molto fertile».

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