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Carmen Consoli: combattere la cultura della violenza

– Le iniziative per la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. Cortei, corse, passeggiate, flash mob, sit in, concerti. E, soprattutto, tanto rumore
– La “cantantessa”: « Andiamo oltre al maschilismo ed al femminismo. Dobbiamo combattere la subcultura che autorizza il più forte a sovrastare il più debole»
– I video di Women in Jazz Unite! Italy e di Manutsa. Caterina Caselli: «Ci sono dei testi della trap che sono indicibili, inascoltabili, ma dobbiamo cercare di capire perché questi ragazzi dicono quelle cose»

“L’assassino non è malato, è figlio sano del patriarcato”. “Amati, viviti e non permettere a nessuno di spegnerti”. “D’amore si vive, non si muore”. “Evita la violenza come l’ananas sulla pizza”. Sono alcuni degli slogan che oggi, sabato 25 novembre, hanno scandito le manifestazioni organizzate in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, a pochi giorni dal femminicidio di Giulia Cecchettin che ha scosso tutto il Paese. Una marea viola e rossa riempie le piazze d’Italia Cortei, corse, passeggiate, flash mob, sit in, visite ginecologiche gratuite, rassegne. E, soprattutto, tanto rumore.

Il mondo della musica ha aderito partecipando alle manifestazioni, a convegni, sostenendo iniziative, pubblicando video. 

Andiamo oltre al maschilismo ed al femminismo. Fare del male al più debole è un atto di violenza che va al di là del matriarcato o patriarcato. Possiamo parlare anche di questo, però prima dobbiamo combattere la cultura della violenza

Carmen Consoli

«Questo Paese ha perso una figlia e speriamo non debba perderne altre. Dobbiamo combattere la subcultura che autorizza il più forte a sovrastare il più debole», ha commentato Carmen Consoli che a Catania ha partecipato all’iniziativa “GenerAzione RiBELLE”, voci unite contro la violenza di genere attraverso la legalità e la giustizia, la moda e la bellezza, l’arte e la creatività. «Andiamo oltre al maschilismo ed al femminismo», ha proseguito la “cantantessa”. «Fare del male al più debole è un atto di violenza che va al di là del matriarcato o patriarcato. Possiamo parlare anche di questo, però prima dobbiamo combattere la cultura della violenza».

«Bisogna investire nell’amore, che significa dare il tempo di vivere, di gioire, dare i valori giusti, non correre continuamente verso il profitto. Avere il rispetto verso gli altri. L’arte salverà il mondo. È la chiave della felicità», è sicura l’artista siciliana.

Nelle vesti di ambasciatrice dell’associazione Telefono Rosa, Carmen Consoli alcuni anni fa aveva riunito cinque colleghe – Gianna Nannini, Elisa, Irene Grandi, Emma e Nada – per cantare insieme La signora del quinto piano, brano contro la violenza sulle donne estratto dall’album L’abitudine di tornare, che parla di un marito-stalker che aspetta l’ex moglie con un martello per ucciderla, le forze dell’ordine che ripetono che «non c’è alcuna ragione di avere paura» e infine l’omicidio annunciato che poi si compie.

Nel mirino di Carmen Consoli «le canzoni che hanno contenuti che incitano alla violenza». Tema evidenziato anche da Caterina Caselli, intervenuta alla trasmissione #NonRestiamoInSilenzio. «Ci sono alcuni testi della trap che sono indicibili, inascoltabili, ma dobbiamo cercare di capire perché questi ragazzi dicono quelle cose», denuncia l’ex “caschetto biondo”. «Il discorso è ampio, ma la censura non è la strada secondo me. Come editore, io posso dire “questo non lo pubblico” ed è successo, ma ci sarà qualcuno che lo farà, quindi bisogna andare a monte». 

«Dobbiamo chiederci perché questi ragazzi parlano così, con quel disprezzo nei riguardi delle donne», sostiene Caterina Caselli. «C’è tanto lavoro da fare e bisogna riuscire ad ascoltarli» aggiunge. A 19 anni lei cantava Nessuno mi può giudicare «e ancora oggi c’è una cultura patriarcale di giudizio dalla quale spesso non riusciamo a prendere le distanze. Questo lo capiscono soprattutto le donne, che possono venire colpite anche attraverso l’eloquio.  Ci vuole un grande impegno da parte di tutta la società, per prendere coscienza che il rispetto è importante, da persona a persona e che le donne non sono da meno degli uomini».

Alla stregua di Carmen Consoli e di altre iniziative simili, quest’anno Rossana Casale ha riunito sotto la sigla Women in Jazz Unite! Italy venticinque tra le più importanti cantanti italiane di jazz e pop-jazz per celebrare, attraverso una canzone e un video totalmente realizzato da loro, la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

«Abbiamo cantato e registrato, ognuna nel proprio home studio, poi io ho creato un mix delle voci e successivamente ho chiesto alle mie colleghe di riprendersi col cellulare mentre ricantavano il brano in playback sul fondale più bello», racconta Rossana Casale. «Belle anche noi, eleganti, truccate, positive e soprattutto unite. Tutte con una rosa in mano, il simbolo dell’iniziativa, come una spada fatta di petali rossi. Francesca Beltrami, la video maker, ha poi assemblato tutto per creare un video divertente ed al contempo emozionante, guidato dallo scat vocale».

Il brano scelto è The Dry Cleaner from Des Moines, di Charles Mingus e Joni Mitchell. «Il testo della Mitchell è il racconto autoironico, la visione di se stessa in una sala da giochi, così racchiudendo nel testo il diritto di ogni donna di divertirsi liberamente», spiega Rossana Casale. «Ci è sembrato perfetto. C’è l’assoluta urgenza che cambi un pensiero culturale millenario contro le donne che porta a perpetrare la violenza nelle varie forme. Abbiamo deciso di inserire inoltre, ad un certo punto del brano, la toccante poesia di Alda Merini intitolata Sorridi come simbolo di forza e di coraggio, quel coraggio che ci fa tenere alta la testa e ogni volta risorgere».

Anche Manuela Di Salvo, in arte Manutsa, ha voluto partecipare uscendo con il video di Sula – Ti dissi di no girato nelle sale di Palazzo Alliata di Villafranca, a Palermo, dove è custodita la tela che ritrae Marianna Valguarnera, la protagonista del famoso romanzo di Dacia Maraini La lunga vita di Marianna Ucrìa. La giovane donna venne violentata brutalmente dallo zio, quando era ancora bambina, e poi costretta a sposarlo. A causa del trauma, perdette la facoltà della parola.

Da tempo la cantautrice palermitana è impegnata a far sentire la sua voce sull’argomento, mettendo la questione femminile al centro del suo primo album, Parru cu tia – La voce delle donne, dove racconta storie di ribellione al sistema, alla vita e alla società. Sula – Ti dissi di no trae spunto dalle manifestazioni della scorsa estate, dedicate al drammatico caso della diciannovenne palermitana stuprata da sette uomini e poi abbandonata per strada, che avevano come slogan proprio la frase “Ti dissi no”.

«Da quelle giornate si è rafforzata in me l’esigenza di raccontare il dolore, il male e la forza delle vittime; la consapevolezza di essere, nonostante tutto, vive», racconta Manuela Di Salvo. «Sono convinta che sia necessario essere portatori di un messaggio contro ogni forma di violenza di genere, sia fisica che psicologica. Questo è il mio modo per farlo».

In prima fila alla manifestazione di oggi a Roma c’era Fiorella Mannoia, che si rivolge alle istituzioni perché sostengano i centri antiviolenza. «Le operatrici di questi centri sono precarie, perché aspettano sempre di sapere di bando in bando se ci saranno ancora le risorse», spiega la cantante. «È un grande problema, speriamo in una finanziaria che metta a disposizione del denaro perché questi luoghi sono fondamentali per aiutare le donne a salvarsi».

«La verità è che non abbiamo bisogno di sponsor in maniera astratta ma di combattenti», aggiunge Mannoia. «Le volontarie sono quelle che stanno in trincea, noi mettiamo a disposizione la nostra notorietà per attrarre l’attenzione su questo tema, fare rumore, mai restare in silenzio».

Fiorella Mannoia sarà fra le protagoniste del doppio concerto benefico, il 4 e il 5 maggio 2024 all’Arena di Verona, Una nessuna centomila in Arena. «Stiamo anche parlando di creare un appuntamento magari settimanale, perché di questo problema bisogna parlare tutti i giorni, non solo quando c’è la giornata del 25 novembre o quando succedono disgrazie come quella di questi giorni».

Un appello alle istituzioni è stato lanciato via social da Loredana Bertè. «Non se ne può più, non ne posso più ogni giorno di sentire che qualcuno ha ucciso la sua ex fidanzata. Si devono muovere le istituzioni, perché le donne non possono essere lasciate così».

La società siamo tutti noi e serve in particolare una collaborazione fra insegnanti e famiglie che invece mi pare negli ultimi anni sia venuta un po’ meno. Di questo ne fanno le spese i ragazzi, che non hanno punti di riferimento

Noemi

«Molte donne non parlano per vergogna o perché non sono indipendenti economicamente. Ci vuole una cultura diversa e serve un’educazione alla parola, nelle classi, nelle famiglie, per dire a ragazzi e ragazze che bisogna parlare se si ha un problema e, nel caso soprattutto degli uomini, che bisogna saper ascoltare». A parlare è Noemi, anche lei al corteo di Roma.

«La società siamo tutti noi e serve in particolare una collaborazione fra insegnanti e famiglie che invece mi pare negli ultimi anni sia venuta un po’ meno. Di questo ne fanno le spese i ragazzi, che non hanno punti di riferimento», sottolinea. «Ci vorrebbe anche un’educazione alle immagini, all’empatia, aiutare a comprendere chi abbiamo vicino».

Fra le voci maschili quella di Ermal Meta che spesso, anche con toni molto accesi, si è scagliato contro chi usa violenza nei confronti delle donne. «Bisogna coinvolgere tutti contro questo fenomeno criminale, non possiamo essere due fazioni, e per questo bisognerebbe comunicare in maniera un po’ più costante», commenta l’artista d’origini albanesi- «Bisogna ascoltarci l’un l’altro, con le rispettive sensibilità. Bisogna schierarsi per le cose giuste, non farlo, in generale nella vita, è anche un po’ da vigliacchi. Quando non ti schieri in realtà lo fai ma con la parte sbagliata».

In questi giorni il femminicidio di Giulia Cecchettin sta avendo un impatto maggiore sulla società, «probabilmente perché è l’ennesimo ed è avvenuto nei confronti di una ragazza giovanissima, che stava per laurearsi», osserva Ermal Meta. «Tutta l’Italia ha empatizzato particolarmente stavolta. Da un lato mi dispiace anche un po’ che non sia accaduto prima, perché tutte le vite che si spengono a causa dell’odio e di una follia a volte anche troppo spiegabile, meritano la nostra attenzione. Dovremmo essere tutti più attenti a quello che ci circonda».

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