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Brian Eno: il mio film diverso ogni sera

– Al Sundance Festival presentato il documentario sul geniale artista. Attraverso l’uso dell’intelligenza artificiale, cambia ad ogni proiezione
– «Ogni visione è unica, presenta scene, ordine e musica differenti ed è pensata per essere vissuta come uno spettacolo dal vivo», spiega il regista Gary Hustwit. «È un’esperienza cinematografica innovativa quanto l’approccio di Brian alla musica e all’arte»
– Il musicista: «Odio i film sugli artisti, questo è diverso. Non ho paura dell’IA, ma di chi la possiede e non mi fido di Mark Zuckerberg, Elon Musk e della confraternita della Silicon Valley. Internet deve tornare a essere una comunità»

Londra, tra l’inizio e l’oggi ci sono dieci chilometri, 53 anni e una serie letteralmente impressionante di pietre miliari del rock. Bisogna attraversare il Tamigi, Hyde Park e le ultime cinque decadi di arte. Bisogna sovrapporre il Brian Eno ventiduenne che, nei primi mesi del 1970 alla fermata metro di Elephant and Castle, dice «sì, ok, entrerò a far parte dei Roxy Music», al signore di 75 anni e che, nel suo studio di Nothing Hill, continua, notte dopo notte, a scolpire suoni. Tra l’inizio e l’oggi c’è una delle carriere più feconde della musica contemporanea. Perché tra quelli ideati, quelli realizzati e quelli prodotti, il numero di capolavori su cui c’è impresso il nome di Brian Eno è letteralmente sconfinato. Il glam, la “sua” musica ambient, i dischi realizzati con David Bowie, Devo, Talking Heads, U2, Coldplay. Niente male per chi continua a definirsi un “non-musicista”.

La storia di questo “mago del suono” viene adesso ricostruita e destrutturata dal documentario Eno, diretto da Gary Hustwit e presentato in anteprima al Sundance Film Festival 2024 fino al 28 gennaio. È un ritratto insolito di un artista, realizzato utilizzando un motore di intelligenza artificiale generativa che seleziona e modifica il materiale d’archivio in modo che il film sia diverso ogni volta che viene mostrato.

Il documentario attinge da circa cinquecento ore di immagini e interviste dagli archivi dell’artista. Hustwit ha lavorato con il tecnico Brendan Dawes nella creazione del motore che ha generato il film da ciò che è stato inserito all’interno. L’ordine e la selezione del materiale possono cambiare ogni volta che viene generata una nuova versione. Un filmato su Eno con i Roxy Music arriva dopo 10 minuti o 30 e lo spettatore è libero di elaborare quelle informazioni all’interno della storia più grande. Inevitabilmente, qualcosa potrebbe risultare mancante o lasciata fuori.

Il regista ha creato file diversi per ciascuna delle proiezioni del film. Nuovi filmati saranno aggiunti al motore anche dopo la prima, quindi il docufilm continuerà ad evolversi. «Mi stavo solo annoiando con la forma del cinema e mi chiedevo perché non potesse essere più simile alla musica, più performativo», ha detto Hustwit al Los Angeles Time. «Dopo aver incontrato Brian e lavorato con lui, vedendo come sta usando anche la tecnologia generativa, il documentario ha cominciato a prendere senso. Ogni proiezione di Eno è unica, presenta scene, ordine e musica diversi ed è pensata per essere vissuta come uno spettacolo dal vivo».

La collaborazione di Hustwit con Eno è cominciata nel 2017, quando il musicista ha creato la colonna sonora originale per il film di Hustwit sul designer tedesco Dieter Rams. Hustwit. «Gran parte della carriera di Brian è stata quella di favorire la creatività in se stesso e negli altri, attraverso il suo ruolo di produttore ma anche attraverso le sue collaborazioni su progetti come le Oblique Strategies o l’app musicale Bloom. Penso a Eno come a un film d’arte sulla creatività, che ha come materia prima il risultato di cinquant’anni di carriera di Brian. Quello che abbiamo cercato di fare è stato creare un’esperienza cinematografica che sia innovativa quanto l’approccio di Brian alla musica e all’arte».

L’uso di questa nuova forma è stato l’unico motivo per cui Brian Eno ha accettato di lasciare il suo studio per realizzare il documentario. «Perché disprezzo i film sugli artisti», commenta. «Sono sempre spazzatura, secondo me. Quasi tutti i documentari sugli artisti sono orribili. Chi decide la visione da offrire della vita di quella persona? E naturalmente se si tratta di musicisti rock, è sempre glamour e pieno di cose affascinanti e sfarzose. Penso di conoscere molti musicisti e conosco com’è la loro vita, e generalmente non è così. Quindi questo è il motivo per cui ho sempre resistito alle proposte di fare un documentario, perché non riesco proprio a sopportarli. Inizio a lanciare cose contro il televisore quando li vedo. Questo sembra un approccio migliore per fare effettivamente un pezzo generativo che sarà diverso ogni volta. Che è così anche nella memoria. È solo se tieni un diario regolarmente, cosa che faccio io, che ti rendi conto di quanto sia fallibile la tua memoria. Hai un ricordo di un momento della tua vita e poi guardi indietro al diario e ti rendi conto di aver avuto un’esperienza completamente diversa da quella che immaginavi di avere avuto. Sono contento che le persone in diverse proiezioni otterranno versioni diverse della mia storia. Non voglio che ce ne sia una definitiva».

Nel documentario viene data particolare attenzione all’amore per la natura da parte di Eno. Ci sono poi un po’ di filmati e interviste. In una di queste, David Bowie dice: «Non sono del tutto sicuro di cosa faccia Brian». 

«È difficile, in effetti, indicare il mio contributo nel particolare», spiega Eno al Los Angeles Times. «A volte è un tocco piuttosto leggero su qualcosa che lo trasforma in qualcos’altro. In altri momenti si possono verificare cambiamenti significativi. Quindi a volte il mio contributo può essere stato minimo, altre invece ha provocato quel tipo di shock che stravolge tutto. E poi, naturalmente, altre volte lavoro come un musicista normale». 

Da sperimentatore di linguaggi e tecniche, Brian Eno non vede un nemico nell’intelligenza artificiale. Tutt’altro. «Ormai dovremmo essere abbastanza abituati all’idea che la maggior parte dei sistemi che usiamo siano al di là della nostra comprensione», tiene a sottolineare. «Pensa solo alle compagnie aeree. Ci fidiamo completamente del funzionamento del sistema. Ma non abbiamo idea di come funzionino. Siamo seduti in qualcosa che è stato costruito da forse centomila persone. Si pensi a quanti diversi tipi di intelligenze sono coinvolte nella progettazione di un aereo e nel farlo volare e nel gestire un aeroporto e nell’assicurarsi che tutte le comunicazioni che vanno da velivolo a terra siano sicure e così via: nessuno ha un quadro completo. E questa è una delle obiezioni all’IA: “Oh, non possiamo capire come funziona. Non sappiamo come si arrivi a certe decisioni”. Se pensi dal momento in cui ti alzi la mattina, quando accendi il rubinetto per fare una teiera di tè, non sai da dove viene l’acqua, non sai come viene elaborata, non sai come funzionano i sistemi idraulici. Non sai da dove viene il tè. Non sai come funzionano le organizzazioni di vendita al dettaglio, e così via e così via. Quindi dovremmo essere completamente abituati all’idea di non avere il controllo di tutto. Quindi questa è un’obiezione all’IA che penso possiamo ignorare».

«L’altra obiezione è quella di vedere un rivale: “Se prenderà il sopravvento e ci controllerà, saremo sostituiti”», continua Eno. «Beh, l’unica cosa che mi preoccupa davvero dell’IA è chi la possiede. E se è nelle mani dei ragazzi della confraternita della Silicon Valley, sono seriamente turbato. Se è nelle mani di persone come Mark Zuckerberg ed Elon Musk e tutto quel gruppo di persone, allora penso che siamo nei guai perché non mi fido di loro per prendere le decisioni importanti. L’errore è sociale. Non avremmo dovuto permettere una situazione in cui quelle decisioni molto grandi, che influenzeranno tutti i nostri futuri, siano nelle mani di un numero così piccolo di persone non elette. Non ho votato per Mark Zuckerberg o Elon Musk. Li ammiro per certi versi e penso che siano ragazzi molto intelligenti. Ma scoprire che le nostre società sono praticamente gestite dalle loro particolari preferenze e pregiudizi è preoccupante. L’unica cosa che mi preoccupa davvero dell’IA è chi la possiede». 

La soluzione di Brian Eno, che si definisce «un socialista», è «che tutte queste cose dovrebbero essere una specie di beni comuni. Voglio vedere un internet che sia una specie di commons invece di una serie di campi recintati». 

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