Storia

«Battisti non era fatto per essere una rockstar»

Pietruccio Montalbetti dei Dik Dik parla del suo amico e dei Dik Dik ancora “on the road”: giovedì 28 settembre a Canicattini Bagni 
«Mi piaceva tenere dei diari dei miei viaggi, raccogliere appunti. Ho fissato nella memoria tutto quello che ho vissuto»
«La nostra generazione è partita da zero e non abbiamo alcuna intenzione di abdicare. Le nuove generazioni sono messe male…»

Cielo grigio su/ Foglie gialle giù/ Cerco un po’ di blu/ Dove il blu non c’è/ Sento solo freddo/ Fuori e dentro me/ Ti sogno California/ e un giorno io verrò

Pietruccio Montalbetti
(Sognando California, 1966)

Pietruccio Montalbetti la California l’ha trovata, ma è ancora alla ricerca di un po’ di blu. Negli anni Sessanta, con i Dik Dik, fu tra i primi esploratori dei nuovi suoni che provenivano da oltre Manica o dall’America, scoprendo e portando in Italia canzoni dei Mamas and Papas, Beatles, Dylan, Procol Harum (la leggendaria Senza luce, cover di A whiter shade of pale). In solitario, invece, insegue le orme di viaggiatori e scrittori come Chatwin o von Humboldt, esplorando mondi lontani e ancora selvaggi, ma, soprattutto, andando alla ricerca di sé stesso.

«Da bambino mi piaceva molto il mare», ricorda. «Ho ammirato sempre i grandi viaggiatori, mi appassionavo alle imprese di sir Chichester, il navigatore solitario. Casualmente sono invece diventato un musicista. E, sempre casualmente, incontrando Battisti e Mogol, i Dik Dik hanno raggiunto il successo. Ma io mi sono ritagliato sempre dei momenti per me stesso, ho viaggiato in solitario, spinto sia dal desiderio di conoscere Paesi lontani, sia per conoscere meglio me stesso».

Adesso, come i suoi veri eroi, Montalbetti ha raccolto queste sue esperienze e avventure in sei libri. Il primo, nel 2010, I ragazzi di via Stendhal – ritratto di una generazione, poi Sognando la California scalando il Kilimangiaro nel 2011, Io e Lucio Battisti nel 2013, Settanta a Settemila. Una sfida senza limiti d’età (2014), Amazzonia. Io mi fermo qui. Viaggio in solitaria tra i popoli invisibili (2018) Enigmatica bicicletta (2020), Il mistero della bicicletta abbandonata (2021). «Mi piaceva tenere dei diari dei miei viaggi, raccogliere appunti. Ho fissato nella memoria tutto quello che ho vissuto», spiega. «Con i Dik Dik suonavamo musica pop, e io volevo fare libri pop, facili da leggere, semplici».

Il racconto parte dagli ultimi anni della seconda guerra mondiale, in un’Italia tra due fuochi: quelli degli Alleati e quelli dei tedeschi. Un Paese senza cibo, povero, devastato. «Io vivevo in via Stendhal, che allora era in periferia, oggi è invece al centro di Milano», racconta Montalbetti. «Attraverso la musica, io, Pepe e Lallo, che eravamo amici sin da piccoli, abbiamo cercato di trovare un modo per affrancarci dalla povertà. La nostra generazione è partita da zero e, come scrivo nel libro, non abbiamo alcuna intenzione di abdicare. Al contrario, le nuove generazioni sono messe male…».

Lucio Battisti e Pietruccio Montalbetti

Nel libro si ritrovano le aspirazioni, i fermenti, i sogni di una generazione che diede anima ai cosiddetti “favolosi” anni Sessanta. Dalla scoperta della “nuova musica” attraverso Radio Luxemburg, alla collaborazione spontanea e istintiva con Lucio Battisti. 

Com’era Lucio Battisti?

«Molto timido, molto cocciuto, molto innamorato della musica. Scriveva delle canzoni veramente brutte e ogni volta mi chiedeva: “A Pie’ che te pare?”. Io cercavo sempre di eludere la risposta, ma un bel giorno non ce l’ho fatta e gli dissi che non erano per niente belle. Lui ci rimase male, ma non si arrese. Intanto era diventato chitarrista del gruppo I Campioni e si esibiva nei locali di Milano. In quel tempo abitava in una pensione non da una stella, da mezza!».

Come si spiega, allora, il suo successo?

«L’incontro con Mogol ha cambiato la vita di Lucio e la musica italiana. Come ti ho detto, Battisti non aveva scritto capolavori, ma Mogol capì che c’era del buono. Intuì, insomma, che all’interno di quel ragazzo c’era un tesoro, ma bisognava trovare la chiave giusta per aprire la cassaforte. Mogol possedeva quella chiave. Noi Dik Dik e Lucio finimmo così sotto contratto con la Ricordi. Mogol divenne nostro produttore e ci fece seguire da Lucio».

A un certo punto Battisti scompare dalle scene. Come te lo sei spiegato?

«Lucio era spaventato dal fanatismo della gente. Mi ricordo quando ci fece da autista a noi Dik Dik a un Cantagiro. Io mi trovavo a mio agio nel ruolo della rockstar, lui no. E lo stesso vale per la tv. Per esempio, l’esibizione con Mina: finché si trattava di cantare tutto bene, ma farlo parlare in televisione era veramente un problema. Il suo ritiro dalle scene è figlio del suo carattere. Lui viveva benissimo appartato nella sua villa in Brianza; andavo a trovarlo spesso e non si parlava mai di musica, ma delle nostre famiglie, dei figli, di cose normali. Io sognavo una barca a vela e un viaggio fino alle isole Fiji. Lui mi disse: “Petrù, io voglio una casa, una famiglia e un giardino”. Non era fatto per essere una rockstar. Quando sei famoso, non appartieni più solo a te stesso, ma al pubblico».

Un’epoca difficilmente ripetibile. E non perché i Dik Dik furono tra i protagonisti, ma perché c’era voglia di realizzare qualcosa di nuovo, c’era curiosità, c’erano idee, voglia di ribellarsi, entusiasmo. Oggi altri Dik Dik non potrebbero nascere, perché ora conta l’apparire non l’essere

Pietruccio Montalbetti

Dalle carovane del Cantagiro ai Festival di Sanremo, sino alle prime tournée in giro per l’Italia e il mondo.

«Un’epoca difficilmente ripetibile. E non perché i Dik Dik furono tra i protagonisti, ma perché c’era voglia di realizzare qualcosa di nuovo, c’era curiosità, c’erano idee, voglia di ribellarsi, entusiasmo. Oggi altri Dik Dik non potrebbero nascere, perché ora conta l’apparire non l’essere».

Eppure, quei “vecchi” Dik Dik ancora calcano le scene, programmando nuovi tour, altri concerti – come quello che terranno giovedì 28 settembre a Canicattini Bagni (Sr), alle ore 22:00 in piazza XX Settembre – «senza giovanilismi, perché siamo uomini di ottant’anni, ma riproponendo i brani storici, con uno spettacolo descrittivo». Magari suonando undici volte consecutive Senza luce, come avvenne in un concerto a Campomarino in Puglia a grande richiesta del pubblico. Poi, Pietruccio Montalbetti, cappello di paglia in testa, ray ban inforcati e zaino sulle spalle, riprenderà “a fare il vagabondo/girando Paesi e città/ dimenticando la sua povertà”. «Chissà, forse in qualche Paese del Centramerica».

6 Comments

  • carmelo rotunno (Jeff) Settembre 28, 2023

    A volte non si nasce perché si vuol diventare una rockstar ,ma,forse il PRINCIPALE,designa qualche uomo , x raccontare,forse,le sue esperienze di vita,ricca di avventura,significati, e tanti altri valori, che accompagnate da una buona musica può diventare un veicolo importante da trasmettere agli altri arrivando attraverso l’udito, dritti al cuore e,forse rimanere nella storia.

  • Maria Luisa Boccanera Settembre 28, 2023

    Mmmh! Sessanta anni? Io ne ho 66 e quando ero bambino voi eravate già i Dik Dik. Non mi tornano i conti (cit. da Per qualche dollaro in più). Diciamo 70-75?

    • Giuseppe Attardi Settembre 28, 2023

      Un errore a forza di parlare di anni Sessanta. Corretto. Grazie per la segnalazione

    • Gigi Gioretti Settembre 28, 2023

      Si si. 60 anni di carriera.

  • Angelo Mancinetti Settembre 28, 2023

    Ho letto il primo libro scritto da “Pietruccio” su Battisti ed ho notato (sono di Rieti) una sua inesattezza nel definire Battisti “ciociaro”; non era affatto ciociara, ma “sabino”.

  • alberto bergonzi Ottobre 4, 2023

    Sono passati tantissimi anni….
    I Dik Dik hanno circa 8-9 anni piu’ di me….le loro canzoni hanno “definito ” un’epoca. Musicalmente una grande epoca . Hanno lasciato un segno . La nostalgia canaglia fa semore capolino, come è normale quando si pensa alla giovinezza, andata ormai da tempo….bella musica , belle canzoni …che ogni tanto ascolto sempre con inalterato piacere e che sempre mi danno un brivido e mi fanno provare senzazioni uniche che il tempo che passa non riesce a scalfire . Grandi Dik Dik.

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