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Albanese: il tema della cultura emergenza in Italia

«Ho notato con dispiacere come alle ultime elezioni nessun politico l’abbia mai citata nei suoi discorsi» commenta l’attore alla presentazione del film “Grazie ragazzi” nelle sale dal 12 gennaio. Il teatro come strumento di riscoperta dell’umanità. È il senso profondo del nuovo film di Riccardo Milani, che vede un gruppo di carcerati mettere in scena Beckett
Antonio Albanese e gli altri protagonisti del film “Grazie ragazzi”

Si ride tanto, e non solo, con Grazie Ragazzi, film di Riccardo Milani in sala dal 12 gennaio, tratto dal fortunato film francese Un Triomphescritto da Emmanuel Courcol e Thierry de Carbonniéres e diretto da Emmanuel Courcol, a sua volta liberamente ispirato alla vera storia di Jan Jonson in un penitenziario svedese. Una gran bella commedia piena di sfumature che mette insieme il potere salvifico della cultura (in questo caso del teatro), le realtà del mondo carcerario, la grammatica dell’attore, una piece difficile come Aspettando Godot di Samuel Beckett e, infine, una vicenda reale già raccontata in Un anno con Godot di Emmanuelle Courcol.

Incipit straordinario con Albanese alle prese con un prolungato orgasmo vocale, fa infatti il doppiatore di film porno. A questo si è ridotto il suo personaggio di Antonio, un attore già dentro il fallimento. Ma ad un certo punto un vecchio amico e collega (Fabrizio Bentivoglio) gli propone di fare l’insegnante di un laboratorio teatrale all’interno di un istituto penitenziario presieduto da una severa quanto illuminata direttrice (Sonia Bergamasco). Antonio mette su così una piccola, rocambolesca compagnia composta da cinque detenuti (interpretati da Vinicio Marchioni, Giacomo Ferrara, Giorgio Montanini, Andrea Lattanzi e Bogdan Iordachioiu) che, una volta presa fiducia, arriva ad interpretare con successo un difficile classico come quello di Beckett. E questo dopo che i cinque detenuti si sono lasciati andare al potere liberatorio dell’arte. Nel cast del film, anche Nicola Rignanese, Imma Piro, Gerhard Koloneci e Liliana Bottone.

«La verità del teatro l’ho vissuta in prima persona quando da giovane sono arrivato per puro caso sul palcoscenico», racconta Antonio Albanese. «Insomma, questo film mi ha ricordato molto i miei inizi». E commenta: «Il messaggio di questo film? Avvicinarsi alla cultura fa bene, anche se ho notato con dispiacere come alle ultime elezioni nessun politico l’abbia mai citata nei suoi discorsi. E questo dall’una e dall’altra parte». 

Dice invece il regista in conferenza stampa: «Non so mai definire quello che faccio, se non che amo raccontare in chiave semplice anche cose complicate e veicolarle a un pubblico più largo possibile». 

Il teatro in carcere? «Non è più una cosa rara. Il carcere di Rebibbia di Roma, ad esempio, da decenni fa attività importanti. Nella pellicola i detenuti non evitano le pene a cui sono stati condannati, né c’è intenzione di assolverli, però è importante che avessero un’opportunità», spiega ancora il regista di Come un gatto in Tangenziale. «Io ho sete di giustizia. Da cittadino di questo Paese soffro nel vedere l’impunità, anche di reati importanti. Parliamo di un senso della giustizia un po’ sbriciolato e diffuso per cui la giustizia è stata quasi delegittimata. Questo senso di mancanza di regole è un tema del Paese, un tema importante. Penso che la certezza della pena sia una necessità, come penso che sia una necessità intervenire su quello che c’è a monte, sui disagi sociali, sulle lacerazioni che vivono le persone che poi in carcere rischiano di finirci. È un’umanità su cui evidentemente bisogna intervenire ma non riguarda il carcere bensì l’aspetto sociale».

Tira le conclusioni Vinicio Marchioni: «Grazie ragazzi è un film soprattutto sugli “ultimi” che mette insieme teatro e cinema, una cosa che tento di fare da anni. E poi una considerazione: qualcuno mi spieghi come mai in ogni piazza principale italiana troviamo un municipio, una chiesa e un teatro. Voglio dire che il fatto che lo spazio teatrale abbia un potere salvifico è una cosa che si sa da 2400 anni, ma in Italia questo conta poco».

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