Immagini

Al cinema. Disney vs Bellocchio

Le uscite in sala. Direttamente da Cannes arriva “Rapito”, ma dovrà vedersela con “La Sirenetta”, fra le cui voci c’è quella di Mahmood. Ben Kingsley è uno straordinario Salvator Dalì, Nicolas Cage è Dracula da commedia horror. Finalmente sul grande schermo “Cuntami”, documentario di Giovanna Taviani sui cantastorie siciliani

LA SIRENETTA fantasy, diretto da Rob Marshall, con Halle Bailey e Jonah Hauer-King. Durata 135 minuti.

È la trasposizione in live-action del classico d’animazione Disney del 1989 e ispirato alla fiaba di Hans Christian Andersen. Racconta la storia di una sirena di nome Ariel, dotata di una bellissima e melodiosa voce. Tra i doppiatori c’è Alessandro Mahmood, che, da bambino, quando tornava in vacanza in Sardegna, la regione di origine della madre, andava sugli scogli insieme ai cugini a cantare le canzoni e rifare le scene de La Sirenetta. Adesso per lui è «un cerchio assurdo che va a chiudersi e ad aprirsi», dando la voce al granchio consigliere Sebastian. «Ho sempre avuto da bambino un legame molto forte con l’acqua, con il mare e tra i cartoni Disney La Sirenetta è stato subito quello che mi ha conquistato di più. Io sono ancora scioccato e incredulo da questa chance. Se mi avessero chiesto da piccolo se mi sarebbe piaciuto doppiare il film, avrei detto che questo era un sogno… e me l’hanno regalato». «Ci ho dovuto lavorare molto, ho rivisto tante volte l’originale, anche prima di andare in studio», aggiunge Mahmood. «Io un po’ mi sento Sebastian, anche perché è sempre stato il mio personaggio preferito». Per il film, che ha per protagonista la giovane attrice e cantante afroamericana Halle Bailey, in un cast che comprende Jonah Hauer-King (principe Eric), Javier Bardem (Re Tritone), Melissa McCarthy (Ursula), una delle location è stata proprio la Sardegna. Un’emozione, quella di Mahmood, condivisa dalla cantante Yana_C, nome d’arte di Cristiana Cattaneo, nata in Angola, da mamma angolana e papà italiano, trasferitasi in Italia a 13 anni. «Quando mi è arrivata la chiamata non ci credevo, ero in Angola con mia mamma e ci siamo messi a piangere tutti», racconta. «Poi è diventata una sfida, perché con il mondo disneyano non mi ero mai cimentata e il modo di cantare per i loro film è molto più vicino al musical». Voto: 3,5 su 5

RAPITO drammatico, diretto da Marco Bellocchio, con Paolo Pierobon e Fausto Russo Alesi. Durata 125 minuti.

Direttamente dal Festival di Cannes nelle sale italiane. Racconta un fatto vero, la storia di un bambino ebreo, Edgardo Mortara (Enea Sala), che nel 1858, all’età di 7 anni, è stato prelevato dallo Stato Pontificio e tolto alla sua famiglia per essere cresciuto come cattolico. Il bambino era stato segretamente battezzato quando aveva solo sei mesi. Secondo le rigide regole della legge papale, il sacramento ricevuto dal neonato gli impone un’educazione cattolica. Trasferito da Bologna a Roma, il bambino sarà allevato secondo i precetti cristiani sotto la custodia di Papa Pio IX (Paolo Pierobon). Nonostante le disperate richieste della sua famiglia per riaverlo indietro, il pontefice si oppone e Edgardo cresce nella fede cattolica. La battaglia dei coniugi Mortara (Barbara Ronchi e Fausto Russo Alesi) riceve un riscontro importante nella comunità ebraica e assume ben presto una dimensione politica. Sullo sfondo di un’epoca in cui la Chiesa sta perdendo parte del suo potere e le truppe sabaude conquistano Roma, una famiglia sta lottando per ricongiungersi. Voto: 4 su 5

DALÌLAND drammatico, diretto da Mary Harron, con Ben Kingsley e Barbara Sukowa. Durata 104 minuti.

Gala «è il mio ossigeno, con il suo sangue ho creato la mia arte». È una delle frasi con le quali Salvador Dalì, interpretato da uno straordinario Ben Kingsley, delinea il suo rapporto assoluto con la moglie, dittatoriale quanto fragile (Barbara Sukowa) tra amore, arte, ossessione, violenza emotiva, codipendenza, paure, e bisogno continuo di soldi in Dalilanddi Mary Harron, presentato al Toronto International Film Festival poi al Torino Film Festival. È un viaggio nel mondo colorato, scatenato, folle e spesso opprimente di uno dei primi veri artisti mediatici del Novecento, Salvador Dalì, qui raccontato nel suo periodo culmine di successo e di inizio della decadenza, tra anni metà Settanta a New York e inizio Ottanta a Cadaques in Spagna. Nel cast, anche Christopher Briney, Ezra Miller, nei panni del giovane Dalì, Rupert Graves e l’attrice transgender Andreja Pejic nel ruolo di una delle principali muse per l’artista, Amanda Lear. «Ho potuto creare il mio Dalí, il mio ritratto e questo ha evitato che rimanessi ammaliato e mi bloccassi di fronte alla prospettiva di doverne rendere tutti i manierismi fisici e vocali», ha spiegato Ben Kingsley sul personaggio. «Non sono mai diventato lui, c’è una separazione, una distanza che è elettrizzante e terrificante. Un po’ come un acrobata che oscilla sul trapezio avanti e indietro, per poi lanciarsi, girare a mezz’aria e afferrare un altro trapezio». Per raccontare Dalì e l’universo che gli gravitava intorno, la regista (che ha diretto, fra gli altri, American Psycho e Ho sparato a Andy Warhol) si è affiancata come sceneggiatore, il marito, anche lui cineasta, John C. Walsh, in una storia che parte nel 1974 a New York da un personaggio fittizio, il ventenne appassionato d’arte James (Briney), giovane impiegato nella galleria d’arte dove si sta preparando la nuova mostra di Dalì. Il ragazzo, in veste di fattorino per consegnare l’ennesimo anticipo alla moglie dell’artista, entra in contatto con la realtà folle dell’autore di opere come La disintegrazione della persistenza della memoria. Giornate nelle quali la necessità di creare e la crisi di ispirazione di Dalì si univano a un bailamme di muse, come Amanda Lear, party, droga, amici inaspettati come Alice Cooper (Mark McKenna), avventure sessuali (per le quali Dalì si ritagliava il ruolo di voyeur) e i giovani amanti di Gala che la donna riempiva di denaro, come la nuova fiamma Jeff Fenholt (Zachary Nachbar-Seckel), allora interprete a Broadway di Jesus Christ Superstar. Un delirio di coppia, quello tra Dalì e Gala (che vediamo in flashback anche nel loro primo incontro e innamoramento, nel 1929 a Cadaques, quando la donna era la moglie del poeta Paul Eluard, uscita da poco da un menage a trois con Max Ernst), che viene così riassunto nel film dal pittore: «Gala è un segreto dentro un mio segreto. Vidi nel suo cuore la medesima la mia pazzia, trovai la mia metà». Il film che perde un po’ di profondità nel racconto d’insieme, cedendo in alcuni tratti troppo all’aneddotica, si regge soprattutto sulle straordinarie prove di Ben Kingsley e Barbara Sukowa, intensa nel tracciare una Gala tanto severa nell’aspetto quanto consumata dalla fame di giovinezza e riconoscimento. «Dalì amava la passione di Gala e lei gli ha dato completamente la sua vita, anche se ha avuto altre relazioni, soprattutto nell’ultima parte della sua vita», ha spiegato l’attrice. «Era importante mantenere una certa aria di mistero su di lei. Puoi leggerla in molti modi diversi. È dura ed è brutale, ma ha anche un lato vulnerabile. Penso che anche Mary volesse mostrare questo aspetto in piccole parti». Voto: 4 su 5

SANCTUARY – LUI FA IL GIOCO, LEI FA LE REGOLE thriller, diretto da Zachary Wigon, con Margaret Qualley e Christopher Abbott. Durata 97 minuti.

Racconta la storia di Rebecca (Margaret Qualley), che lavora nel settore dell’intrattenimento sessuale come dominatrice. Hal (Christopher Abbott) è il suo miglior cliente, appartiene a una ricca famiglia proprietaria di una catena alberghiera e sta per ereditare una vera fortuna, di conseguenza non può continuare a intrattenere il legame con Rebecca, soprattutto perché lei conosce ogni suo segreto e perversione. È così che Hal decide di farle visita un’ultima volta e dirle che non si vedranno mai più. Rebecca, però, non è d’accordo con la sua scelta e farà ogni cosa per fargli cambiare idea, rendendo il tentativo di Hal di tagliare il legami tra loro alquanto arduo. Seguirà una notte in cui giochi di potere e tensione raggiungeranno l’apice, mentre sia Rebecca che Hal cercheranno di lottare per prendere il sopravvento l’uno sull’altra… Voto: 3 su 5

RENFIELD commedia horror, diretto da Chris McKay, con Nicolas Cage e Nicholas Hoult.

Provare a liberarsi del proprio status di servitore di Dracula con un gruppo di auto aiuto dedicato alle relazioni distruttive. È la creativa e disperata scelta del protagonista di Renfielddi Chris McKay, la folle e irriverente commedia horror ad alto tasso di violenza cartoonistica e splatter, ambientata nella New Orleans di oggi, che il regista Chris McKay ha basato su un’idea originale di Robert Kirkman (qui coproduttore), creatore di The Walking Dead e Invincible. Al centro del film, lo scontro senza esclusione di colpi tra R.M Renfield (Nicholas Hoult) famiglio da secoli del principe delle tenebre e il conte Dracula reso da Nicolas Cage in una trascinante performance, unita all’omaggio, a colpi di citazioni cinefile, a tanti interpreti passati del personaggio, da Max Schrenk a Bela Lugosi, passando per Christopher Lee e Gary Oldman. Cage è rimasto subito colpito dall’idea di fondo: «L’ho trovata una modalità originale di raccontare la storia, che ci avrebbe permesso di assumere un tono simile a quello adottato in Un lupo mannaro americano a Londra, che mi piace da sempre. Essere in grado di realizzare un film che metta insieme commedia e horror presuppone una sensibilità accattivante e straordinaria». Il Renfield del film di McKay, riunisce le caratteristiche del paziente in un manicomio inglese, che si ciba di mosche, ragni e altri animali per diventare forte e immortale, immaginato da Bram Stoker, e altre “incarnazioni” del ruolo come nei film di Tod Browning e Coppola, dove a interpretarlo c’era Tom Waits. Qui l’iperstressato e pallido servitore del vampiro è stanco di portare vittime innocenti (tra quelle suggerite, turisti inconsapevoli, molte suore o un pullman di cheerleader) al suo signore, che dopo l’ennesima lotta con “cacciatori” e preti armati di paletti e croci, è in fase di recupero di energie e ricostruzione del corpo. Renfield prova così a cavarsela portando a Dracula i corpi degli uomini colpevoli di aver fatto soffrire le persone nel suo gruppo di auto aiuto. Il vampiro però non gradisce, e ancora meno accetta l’ammutinamento del suo famiglio. I cattivi però non mancano mai così Dracula trova valenti alleati nella famiglia di criminali più potenti della città, I Lobo, mentre Renfield, che diventa invincibile, o quasi, quando mangia insetti, si fa aiutare da Rebecca (Awkwafina), poliziotta di sani principi ma con un problema di controllo della rabbia. Ne nasce uno scontro a colpi di ironiche, e truculente scene di combattimenti, fughe e rese dei conti, delle quali resta soprattutto l’ironia del protagonista. Il mix di generi comunque non ha convinto il pubblico americano: costato circa 65 milioni di dollari, Renfield ne ha incassati solo 17 al botteghino nordamericano cui se ne aggiungono altri sette incassati finora nel resto nel mondo. Voto: 3 su 5

WINTER BROTHERS drammatico, diretto da Hlynur Pálmason, con Elliott Crosset Hove e Simon Sears. Durata 90 minuti.

L’odissea vissuta da due fratelli, ambientata in una cava di gesso durante un rigido inverno. Il minore dei due, Emil (Elliott Crosset Hove), combatte contro la noia del lavoro in miniera con la vendita di alcol contraffatto ai colleghi, finché uno di questi un giorno non muore. La cosa porterà allo scoppio di una violenta faida tra i due fratelli e un’altra famiglia. Voto: 3 su 5

CÙNTAMI documentario, diretto da Giovanna Taviani, con Gaspare Balsamo, Giovanni Calcagno, Mimmo Cuticchio, Mario Incudine, Youssif Latif Jarallah, Vincenzo Pirrotta. Durata 70 minuti.

Road movie che racconta di alcuni uomini che, saliti su un furgone rosso, decidono di girare la Sicilia in lungo e largo alla ricerca di qualcosa di antico che sembra perduto: i narratori orali. Questi novellatori rievocano la tradizione dei cantastorie, esperti del “cuntare” (raccontare), una pagina della storia letteraria italiana che si perde nelle origini e che ha permesso a poesie, filastrocche, racconti e storie di giungere fino a noi proprio grazie alla tradizione orale tramandata di generazione in generazione. Lo scopo del viaggio è raccontare la Sicilia attraverso le sue storie popolari, che nascono proprio dalle viscere di quella terra soleggiata, in una narrazione del presente, che parte dal passato. Voto: 3,5 su 5

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *