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A Berlino premiato l’italiano “Disco boy”

Il film del regista tarantino Giacomo Abruzzese vince l’Orso d’argento per il Miglior Contributo Artistico. Toni psichedelici, sciamanici, musica elettronica, discesa agli inferi e redenzione, protagonista un migrante con sensi di colpa e che si identifica troppo con il nemico. Nelle sale dal 9 marzo

In una scena del film, chi sta valutando il protagonista, Aleksei, gli chiede: come hai imparato il francese? E lui risponde: con i film. La voce che fa la domanda è proprio quella del regista, Giacomo Abbruzzese, al primo lungometraggio, Disco boy. Pellicola sognata e inseguita per anni, quasi dieci, questo esordio nasce da e si nutre di cinema. Presentato in concorso alla Berlinale 2023, dove è stato premiato con l’Orso d’Argento per il Miglior Contributo Artistico, assegnato in particolare per la straordinaria fotografia di Hélène Louvart, il film del regista italiano è un ambizioso racconto per immagini che mostrano tutto il suo talento visivo.

Toni psichedelici, sciamanici, musica elettronica, discesa agli inferi e redenzione, protagonista un migrante con sensi di colpa e che si identifica troppo con il nemico. Girato tra Europa e Africa e con la colonna sonora firmata dalla star della musica elettronica Vitalic, il film racconta la storia di Alex, Franz Rogowski, un giovane che fugge dalla Bielorussia insieme a un suo amico ed entra clandestinamente in Francia. È ormai un sans papier e cosi’  sposa l’inferno della legione straniera francese che dopo cinque anni gli garantisce la cittadinanza. Ora lontano dalla Francia, nel delta del Niger, il guerrigliero Jomo combatte contro le compagnie petrolifere che minacciano la sopravvivenza del suo villaggio mentre sua sorella Udoka, nel frattempo, sogna di fuggire. È destino che la vita di queste tre persone si intrecceranno cambiando la loro vita. Disco boy sara’ distribuito in Italia dal 9 marzo.    

«Siamo abituati a vedere la guerra raccontata da un unico punto di vista», dice il regista a Berlino. «L’altro, il nemico, raramente esiste come entità complessa. Credo che il cinema sia, soprattutto, una questione di sguardo e di punti di vista mutevoli. In questo film, raccontare la storia di entrambe le parti è  una questione politica oltre che narrativa e messa in scena. Voglio mostrare l’orrore della guerra dando la stessa dignità  emotiva a entrambi i campi. Volevo allontanarmi dagli stereotipi di virilità e violenza che caratterizzano molti film di guerra. Mi piace l’idea che la forza fisica possa essere accompagnata da una certa fragilità e da uno sguardo tormentato. È questo contrasto che mi interessa».

E ancora il regista: «Il film inizia con un’estetica naturalistica che scivola progressivamente in un registro psichedelico e sciamanico. Mi piace iniziare da una realtà documentata, attingere dal reale e poi riscriverla».

 Hélène Louvart, che ha curato la fotografia, e il regista Giacomo Abruzzese

Giacomo Abruzzese, nato a Taranto 39 anni fa, è la dimostrazione che farcela non è  impossibile: «Vengo da una famiglia popolare e ho fatto, prima di Disco boy, tanti corti ma sempre in un’ottica internazionale. Mi sono laureato in scienze della comunicazione all’Università degli Studi di Siena, poi ho fatto un master in Cinema, Televisione e Produzione multimediale all’Università di Bologna e, dopo due anni come fotografo tra Israele e Palestina, mi sono diplomato a Le Fresnoy – Studio National des Arts Contemporains di Tourcoing. Comunque, per fare questo film fatto in soli 32 giorni ci ho messo dieci anni e grazie a tutta una serie di cose che oggi sarebbe impossibile riprodurre».

Registi preferiti? 

«Tsai Ming-liang, Fassbinder, Pasolini, Kubrick, Godard, tutti quei cineasti che vanno oltre la storia».

Due progetti italiani nel futuro di Abbruzzese: «Il politico che si svolge negli anni Sessanta a Taranto, un film molto personale legato alla mia famiglia, e un altro che avrà come titolo Disorder». 

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