– Il cantautore siciliano pubblica “U pisu di nenti”, album in dialetto sospeso tra elettronica e suoni acustici, fra momenti intimi e tematiche sociali. Carlo Muratori, Mauro Cottone, Patrizia Capizzi e Daniele Guastella fra gli ospiti
– «Noi siciliani tendiamo sempre a sdrammatizzare, con frasi del tipo: “Chistu nenti è!”. Da qui parte l’idea del titolo. Quel “niente”, in realtà, a volte nasconde e racchiude diverse preoccupazioni, diverse bugie… ha un suo peso»
– «La musica, e soprattutto la canzone d’autore, dovrebbe essere portatrice di contenuti volti a far riflettere. Il compito dell’artista è quello di provare a scuotere le coscienze, pur sapendo che spesso il messaggio non sarà recepito»
Una boccata di aria fresca e pura è questa la sensazione che si prova ascoltando le dieci canzoni di U pisu di nenti, il nuovo album di inediti di Luca Di Martino, cantautore siciliano di grande sensibilità. Un lavoro uscito oggi, appena un anno dopo Non importa la meta, disco che segnò l’esordio da songwriter, sintomo di una urgenza nel raccontare storie calde, idee ed opinioni, che arrivano all’ascoltatore in maniera quasi discreta, senza la benché minima traccia di invadenza. Canzoni discrete, ma non per questo meno belle, anzi – proprio per questo – ancora più toccanti.
Se nel precedente disco, il cantautore madonita viaggiava a ritroso nel tempo, questa volta U pisu di nenti tende a essere più profondo, intimo e collettivo allo stesso tempo.

«È vero. È un disco partorito in poco tempo. Le canzoni sono nate spontaneamente, spinte dalla voglia di raccontare il mio mondo e quello che mi circonda», commenta Luca Di Martino. « U pisu di nenti rappresenta un viaggio sonoro, poetico e affascinante nella magica Sicilia, un racconto della propria terra attraverso la lingua madre, il dialetto. Un lavoro che musicalmente mantiene viva la tradizione della canzone d’autore, fondendo sonorità pop con influenze world mescolandoli sapientemente ad ambientazioni classiche, elettroniche e contemporanee. È un album che riflette sul dare la giusta importanza, il giusto peso al susseguirsi degli eventi. Noi siciliani siamo un popolo sempre con la battuta pronta, qualsiasi cosa ci succeda tendiamo sempre a sdrammatizzare, con frasi del tipo: “Chistu nenti è!” (Questo niente è). Da qui parte l’idea del titolo. Quel “niente”, in realtà, a volte nasconde e racchiude diverse preoccupazioni, diverse bugie… ha un suo peso. È il niente compagno della rassegnazione, della pazienza, delle frustrazioni, dei silenzi. È un album che tratta diverse tematiche sociali, ma allo stesso tempo riserva spazio per momenti intimi e personali».
Un disco sincero. Un disco che non travolge, ma in cui bisogna immergersi. Un disco delicato, per nulla artificioso, mai forzato o presuntuoso. Un disco pieno zeppo di idee, concetti filosofici e storie. Mai retorico, mai eccessivo, sempre essenziale e misurato. Una musica complessa e minimalista, fatta di suoni elettronici e di cantautorato, quello italiano (Niccolò Fabi), come quello folk americano (il primo Bon Iver), nonché la tradizione popolare siciliana.
Accompagnato dal fido Aldo Giordano (piano, fisarmonica, elettronica, nonché arrangiatore), Luca Di Martino si muove alternando abilmente momenti elettrici, perfino rock come in Siti o i lampi di chitarra che proiettano una luce spettrale in Antùra, ad altri acustici. Momenti ritmici, percussivi, come in Accusì è, ad altri molto intimi, come nella title-track, chiusa da un recitativo.

«In realtà mi trovo a mio agio in entrambi i mondi sonori», dice Di Martino, «Per questo lavoro non ho deciso prima la direzione sonora, mi sono fatto guidare dall’istinto e da quello che la canzone richiedeva. Per questo motivo credo siano venuti fuori due mondi sonori differenti ma, secondo me, necessari e sinceri. Per il futuro forse mi piacerebbe fare un disco ancora più minimalista, con pad , synth vari e chitarre acustiche».
Nove misi è una ballata in crescendo che si conclude in una festa danzante per l’arrivo di una nuova vita. In Testa o cruci duetta con Carlo Muratori sul tema: siamo figli del destino o siamo noi che lo alimentiamo attraverso le nostre scelte? Si respira l’aria serena della campagna in Paci di sira. Nell’iniziale U me riparu – brano grazie al quale è entrato fra i ventisei artisti qualificati alla prefinale del Premio Pierangelo Bertoli 2025 – l’autore racconta l’importante ruolo che la musica ha nella sua vita: «Un faro nei momenti più bui, un’anima invisibile a cui aggrapparmi, un riparo per proteggermi dalle ingiustizie e avversità, un angolo di pace necessario dove ritrovarmi con me stesso per dare vita a nuove percezioni».
Dove trovare rifugio quando “c’è un munnu suttasupra / a luna sutta a terra / un passu darre l’atru / e semu sempri nguerra / a chi servi pridicari / nuddu po’ ascutari / semu finti surdi / o semu tutti furbi”, come canta in Accussì è! con il featuring di Daniele Guastella. Considerazioni pessimiste anche sulla possibilità che la musica possa contribuire a un cambiamento.
«Più che pessimiste vogliono essere dei versi provocatori», tiene a precisare il cantautore siciliano. «Accussì è! rappresenta un’esclamazione che racchiude in sé uno spirito di rassegnazione; un alzare le braccia in segno di resa davanti al susseguirsi degli eventi che scuotono la nostra vita, siano essi dipendenti o meno dal nostro volere. Semplicemente accettarli a testa bassa, per non avere il coraggio di cambiare le cose, perché non ci toccano personalmente o per comodità. La musica in generale, e in particolar modo la canzone d’autore, dovrebbe essere portatrice di contenuti volti a far riflettere. Il compito dell’artista è quello di provare a scuotere le coscienze, facendo “la morale”, “a predica”, pur consapevoli che il messaggio verrà recepito da pochi o, forse, da nessuno».

Oltre che in Accussì, Luca Di Martino affronta tematiche sociali anche in Siti, una preghiera quasi rock ispirata al canto popolare recuperato da Rosa Balistreri, Signuruzzu chiuviti chiuviti. «Il brano nasce da una riflessione sul problema della crisi idrica che negli ultimi anni, specialmente nel periodo estivo, affligge sempre di più l’isola siciliana», sottolinea. O ancora in Vinnutu amuri, storia cruda e amara di una studentessa universitaria, ragazza madre che, pur di non far mancare nulla al proprio figlio, ogni notte è costretta a prostituirsi, cercando di non far capire nulla al proprio piccolo. Raccontata alla chitarra acustica con la voce di Patrizia Capizzi e le sottolineature del violoncello di Mauro Cottone.
«È una storia vera. Il brano nasce da un articolo che ho letto online. Ho provato a raccontarla a modo mio, attraverso una canzone, coinvolgendo la bravissima cantautrice Patrizia Capizzi, e incentrando la narrazione attraverso un dialogo fra la studentessa (Patrizia) e il figlio (da me interpretato). In sintonia con Aldo Giordano, abbiamo deciso di lasciare l’arrangiamento scarno, semplicemente accompagnato dalla mia chitarra e facendo ricalcare alcune frasi al violoncello di Mauro Cottone, che avevamo coinvolto per registrare Testa o Cruci».
E po Spaisati, aperta dallo squillo di un telefonino e dal dialogo fra due anziani: “Pronto, oh Nicolino comu iamu. Chi fa mi chiamasti ,,,,a ca semu o paisi semu io, Peppe, Totò. Ti pari cu c’e cchiu …i picciotti tutti sinni erono. I chistiani si cuntanu si cuntano inta i ita di manu, Mah chisti semu”. Una ballata triste e sospesa sul lento e continuo spopolamento dei piccoli paesi del sud Italia. Un gran finale per un album di spessore, sorprendente, che lascia il segno. Leggero e profondo allo stesso tempo.