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Enzo Jannacci al cinema, veniamo anche noi

Il film documentario di Giorgio Verdelli presentato a Venezia80 per tre giorni nelle sale, dall’11 al 13 settembre. Un viaggio in tram in una Milano senza tempo insieme all’autore di “Vengo anch’io” e di tanti compagni di avventure. Un ritratto unico e appassionato che riporta alla luce le mille sfumature di un mito che a dieci anni dalla sua scomparsa continua a sorprendere ed affascinare

Talento immenso e spesso spiazzante, Enzo Jannacci ha navigato tra tanti generi diversi perché lui stesso era un “genere”. Nel nuovo film di Giorgio Verdelli Enzo Jannacci Vengo anch’io, in uscita nelle sale l’11, il 12 e il 13 settembre, ci si immerge, a bordo di un vecchio tram, in una Milano quasi senza tempo per restituire, grazie ad uno straordinario materiale di repertorio, spesso inedito, e a prestigiose testimonianze di amici e colleghi, un ritratto di quello che Paolo Conte ha definito: «Il più grande cantautore italiano». La sua spiccata sensibilità, artistica e umana, si è tradotta negli anni in una costante invenzione linguistica e musicale che gli ha permesso di muoversi con maestria tra canzone d’autore e cabaret, rock’n’roll e jazz, teatro e cinema.

Grazie a un sapiente uso del montaggio, è lo stesso Jannacci il narratore del film. I momenti topici, le collaborazioni con l’amico Giorgio Gaber, con Dario Fo, l’incontro con Cochi & Renato, ma anche le avventure sui palchi, teatri, cantine e quella vocazione di medico che forse gli sarebbe piaciuto seguire di più, vengono raccontate in prima persona, recuperando le sue parole da un’intervista finora inedita, rilasciata nel 2005 allo stesso Giorgio Verdelli.

Tanti i compagni di viaggio che impreziosiscono la narrazione con aneddoti non conosciuti: da Diego Abatantuono a Cochi Ponzoni, Massimo Boldi e Nino Frassica passando per i racconti di colleghi come Paolo Conte, Roberto Vecchioni e Paolo Rossi. Nel film anche la straordinaria testimonianza di Vasco Rossi. E ancora, l’omaggio affettuoso di J-Ax, i ricordi di Claudio Bisio, Dori Ghezzi, Dalia Gaberscik, Paolo Tomelleri, Gino & Michele, del fotografo Guido Harari, del suo regista abituale Ranuccio Sodi e di Fabio Treves ma anche gli attestati di profonda stima di Francesco Gabbani, Valerio Lundini ed Elio.

Il racconto più intimo e struggente è quello del figlio Paolo davanti al pianoforte del padre. Paolo ha collaborato attivamente al film realizzando anche una bellissima versione strumentale di Vengo Anch’io e una di Lettera da lontano, ed ha messo a disposizione l’archivio personale.

Enzo Jannacci e Paolo Conte

Enzo Jannacci Vengo anch’io è un ritratto unico e appassionato che riporta alla luce le mille sfumature di un mito che a dieci anni dalla sua scomparsa continua a sorprendere ed affascinare con la sua cifra unica, stralunata e surreale. Non è una biografia di Enzo Jannacci, ma un’esplorazione del suo mondo insieme ai suoi amici e i suoi “allievi” di più generazioni.

Più che descrivere la parabola surreale della sua vita in modo sistematico, il film documentario di Giorgio Verdelli mira a raggiungere l’irraggiungibile: dare una definizione dell’artista italiano più difficile da inquadrare. Non a caso, viste le infinite sfaccettature tanto dell’uomo quanto del musicista, il documentario (presentato fuori concorso a Venezia 80) si regge sulle innumerevoli visioni che amici e colleghi avevano di lui, anzi che hanno di lui, se consideriamo che quasi nessuno di loro ne parla al passato. Tra tutte, toccanti, divertenti o nostalgiche, a svettare resta forse quella in apertura di Roberto Vecchioni.

Enzo Jannacci e Paolo Rossi

Seduto su un tram, uno dei motivi ricorrenti nella poetica di Jannacci, dice Vecchioni che «ho sempre considerato Enzo l’unico grande genio musicale della canzone che abbiamo avuto in Italia. Perché, guardate bene, gente grandissima come Guccini o De André rimane comunque su un cliché scontato, cultura e nobiltà della parola, che ha usato in modo eccelso. Invece Enzo fa ciò che non ti aspetti mai, sia nell’umorismo pirandelliano, quello dell’inaspettato, sia nel tragico. Partiva in un modo e tu non sapevi mai dove arrivava e che cosa voleva dire. Però alla fine ti rimaneva qualcosa dentro». 

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