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Alla riscoperta di “Toro scatenato” in 4K

Da lunedì 8 a mercoledì 10 maggio tre giorni per rivedere o apprezzare per la prima volta nella versione restaurata uno dei pilastri della storia del cinema. Forse lo sport della boxe stesso è stato surclassato dalla bellezza disperata del film di Martin Scorsese con un Robert De Niro da Oscar

Da lunedì 8 maggio fino a mercoledì 10, per celebrare il restauro in 4K di “Toro Scatenato” di Martin Scorsese, Lucky Red riporta in sala uno dei pilastri della storia del cinema. Tre giorni per riscoprire o apprezzare per la prima volta nella versione restaurata un film che ha alle spalle più di quarant’anni, ma che a vederlo sembra sia uscito ieri. 

Per la prima volta sugli schermi nel 1980, il film segnò la quarta collaborazione tra il regista e Robert De Niro, che qui veste magistralmente i panni di uno dei più grandi pugili di sempre, il tormentato pugile LaMotta, nella sua parabola di ascesa e caduta, ruolo che gli è valso il suo secondo Oscar. Una storia fatta di sconfitta e resistenza, luce e buio, sofferenza e speranza, capace di diventare sul grande schermo universale ed eterna.

I film sulla boxe parlano tradizionalmente della redenzione e del ritorno del perdente. Solo l’anno prima, Rocky II di Sylvester Stallone – prodotto, come Toro scatenato, da Irwin Winkler – raccontava proprio questo tipo di storia. Ma Toro scatenato era un racconto più brutalmente nichilista: il protagonista è un combattente rissoso e misogino che si tuffava per i soldi a corto raggio (come Marlon Brando in Fronte del porto), la cui vittoria del campionato è stata irrimediabilmente compromessa dalla corruzione della mafia, il cui declino è stato segnato dall’ingratitudine e dall’abuso, e che alla fine diventa un mostro in gabbia che colpisce il muro con disperazione. (Gli spettatori all’epoca percepirono un’eco con The Elephant Man di David Lynch.) E tutto questo viene mostrato in una serie di episodi stupefacenti e onirici dentro e fuori dal ring, mentre LaMotta si confronta fanaticamente con vari avversari, ha scontri di testate con Joey, si innamora della sua seconda moglie, Vickie, (Cathy Moriarty) per poi odiarla, trascinato alla pazzia dalla sua stessa paura possessiva e insicurezza e abbattuto dal suo machismo tossico.

Oltre ad essere basato sull’autobiografia di LaMotta, il film di Scorsese si è ispirato a Champion (1949) di Mark Robson con Kirk Douglas e Magnet of Doom (Lo sciacallo,1963) di Jean-Pierre Melville con Jean-Paul Belmondo. Ma l’energia cinetica di quelle scene di boxe da incubo sono assolutamente uniche, come nessun film di boxe prima o dopo. Forse lo sport stesso è stato surclassato dalla bellezza disperata di questo film.  Ci si continua ad emozionare ogni volta che, sulle note della Cavalleria Rusticana di Mascagni, l’ombra di LaMotta comincia a saltellare in ralenty sul ring, ogni volta che si consuma un episodio di violenza, catturati dalle brutali immagini intrise di dolore e l’avvolgente fotografia in bianco e nero di Michael Chapman, ogni volta che ci si sofferma sul montaggio di Thelma Schoonmaker, vincitrice del suo primo Oscar per questo film.

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