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Ali Abbasi: in Iran non più protesta ma rivoluzione

Il regista iraniano in lizza all’Oscar per la Danimarca con “Holy Spider”, film sulla storia vera di un serial killer, espressione «della società killer e della misoginia profondamente radicata all’interno» del Paese degli ayatollah

L’Iran è nel caos, scosso da disordini a livello nazionale in seguito alla morte della ragazza curda iraniana Mahsa Amini lo scorso 16 settembre, dopo essere stata arrestata dalla polizia morale: una delle più forti sfide alla Repubblica islamica dalla rivoluzione del 1979. Oggi i negozi delle città iraniane hanno abbassato le saracinesche per aumentare la pressione sulle autorità: in diverse città del Paese è cominciato lo sciopero di tre giorni invocato dai manifestanti che ormai chiedono apertamente la caduta del regime.

Il regista iraniano naturalizzato danese Ali Abbasi

«Non si tratta più di un movimento di protesta, ma di una rivoluzione, e penso che cambierà il volto di quella regione per sempre», è convinto il regista iraniano naturalizzato danese Ali Abbasi. «Quello che sta succedendo è la conseguenza di ciò che è accaduto nel Paese negli ultimi cinquant’anni. Non avrei mai pensato di vedere un giorno donne che marciano sulle strade iraniane, con dietro di loro anche gli uomini, consapevoli che se le cose cambieranno sarà un beneficio per tutti». 

Abbasi parla di quanto accade in Iran durante gli incontri in streaming di Deadline Contenders dedicati ai titoli in lizza per l’Oscar come miglior film internazionale. Il cineasta, dopo essere stato in gara per la Svezia alla statuetta nel 2019 per Border, torna in corsa per la Danimarca con Holy Spider, nato dalla vera storia del serial killer iraniano Saeed Hanaei, operaio e padre di famiglia, che tra il 2000 e il 2001 ha ucciso sedici prostitute nella città sacra di Mashhad, convinto così di compiere il lavoro di Dio. Il film (che arriverà  in Italia a febbraio) ha debuttato a Cannes, dove ha vinto il premio per la migliore attrice protagonista, Zar Amir-Ebrahimi, interprete iraniana rifugiata in Francia dal 2008, dove nel 2017 ha ottenuto la cittadinanza.

«Noi chiaramente conoscevamo bene il contesto, sapevamo della profonda misoginia nel regime e nella società iraniana, ma quando Holy Spider è uscito alcuni non hanno considerato quell’aspetto e hanno pensato fosse il solito film noir che sfruttava reali fatti drammatici in un contesto esotico/mediorientale», spiega Abbasi. «Vedendo però quello che sta succedendo, ora molti comprendono di più ciò che il film racconta».

Zar Amir-Ebrahimi a Cannes ha vinto il premio per la migliore attrice protagonista

Zar Amir-Ebrahimi, interprete nella storia di Rahimi, una giornalista che si mette a rischio per indagare sul serial killer, si è chiesta «quali fossero le motivazioni del personaggio. Oggi, alla luce dei fatti a cui assistiamo, considero il film e il mio personaggio in maniera diversa. Vedendo le donne iraniane protestare in strada e rischiare la propria vita per cambiare la società mi sono resa conto che, allo stesso modo, Rahimi rischia per ottenere la libertà. A lungo nel mio Paese, in quanto donne, siamo state sistematicamente fermate o ostacolate, qualcosa che ti spinge alla rassegnazione. È ciò contro cui si combatte oggi in Iran, dove è realmente in atto una rivoluzione perché donne e uomini stanno chiedendo insieme il rispetto dei loro diritti civili».

Non volevo fare un film su un serial killer, ma su una società killer, sulla misoginia profondamente radicata all’interno dell’Iran, che non è specificamente religiosa o politica ma culturale

Una immagine tratta dal film “Holy Spider”
Ali Abbasi

Abbasi, che ancora viveva in Iran (si è trasferito in Europa vent’anni fa) all’epoca dei fatti, ha pensato per la prima volta a realizzare un film su Saeed Hanaei, quando dopo il suo arresto (è stato condannato nel 2001 e giustiziato nel 2002) una parte del Paese e dei media più conservatori iniziarono a celebrarlo come un eroe. L’intento del regista con Holy Spider «non era fare un film su un serial killer, ma su una società killer, sulla misoginia profondamente radicata all’interno dell’Iran, che non è specificamente religiosa o politica ma culturale». Il cineasta sottolinea anche di non essersi mai impegnato tanto nella promozione di un suo film: «Stavolta sento una responsabilità più forte, perché so che parlando di Holy Spider ogni volta si parla anche dell’attuale situazione in Iran e della misoginia che ancora sussiste. Visto che non posso tornare in Iran, questo è il mio modo di combattere».

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