Immagini

Al cinema. Hunger Games, Loach, un De Sica horror

–  Questa settimana tocca all’ultimo capitolo della saga hollywoodiana lanciare la sfida al film di Paola Cortellesi
– Il regista inglese affronta il tema dei rifugiati; Emma Dante racconta «una realtà squallida, intrisa di povertà» in “Misericordia”
– Il debutto di Brando De Sica con “Mimì – Il principe delle tenebre” fra Dracula e neomelodici. La storia del Blackberry. Nicolas Cage entra nei sogni di tutti 

HUNGER GAMES: LA BALLATA DELL’USIGNOLO E DEL SERPENTE fantasy, diretto da Francis Lawrence, con Tom Blyth e Rachel Zegler. Durata 165 minuti. 

Il tempo che passa tra essere preda e diventare predatore è davvero troppo breve. Questa la filosofia della saga di Hunger Games tanto più del suo ultimo capitolo. E questo perché, in quest’ultima parte, si va indietro nel tempo all’origine del male, ovvero quando il diciottenne Coriolanus Snow (Tom Blyth) ancora non è diventato il tirannico presidente di Panem.

Tutto inizia quando il giovane, ultima speranza della sua casata in declino nel dopoguerra di Capitol City, è nominato mentore di Lucy Grey Baird (la Rachel Zegler di West Side Story), la ragazza del miserabile Distretto 12. Siamo esattamente nella decima edizione degli Hunger Games. Ma quando questa ragazza magnetizza l’intera nazione di Panem cantando con aria di sfida alla cerimonia della mietitura, Snow comprende che questa donna, verso la quale prova inizialmente anche dell’affetto, potrebbe ribaltare la situazione a suo favore. Ma per Snow e Lucy quello che conterà infine nel mondo malato distopico e postapocalittico di Panem e dei suoi dodici distretti è solo la sopravvivenza. Per entrambi c’è solo l’eterna lotta tra bene e male o, come indica il titolo, per capire chi è l’usignolo e chi il serpente.

Questa la filosofia di Hunger Games che non è altro che una sorta di crudelissimo reality i cui partecipanti vengono prelevati ogni anno nei dodici distretti dove vivono i paria, i ribelli, per combattere fino all’ultimo sangue all’interno di un perimetro molto ampio chiamato “arena”. E tutto questo in diretta tv. Al termine dell’evento rimane un solo sopravvissuto.

Le persone coinvolte nella manifestazione sono selezionate durante una cerimonia chiamata “Giorno della mietitura”, che consiste nell’estrazione di due nomi (una femmina e un maschio) fra tutti quelli degli adolescenti residenti in una data regione (età compresa tra i 12 e i 18 anni).

Un franchise quello di Hunger Games, che ha incassato 1,45 miliardi di dollari a livello nazionale e si sta avvicinando a un box office globale di tre miliardi di dollari. Tutto ha origine dal fenomeno editoriale – con oltre cento milioni di copie vendute – della trilogia di Hunger Games di Suzanne Collins (Mondadori). Questo quinto capitolo mette insieme un cast del tutto nuovo, oltre Tom Blyth e Rachel Zegler, troviamo il vincitore di quattro Emmy Peter Dinklage (Il Trono di Spade), Hunter Schafer (Euphoria), Josh Andrés Rivera (West Side Story), Jason Schwartzman (Rushmore) e il Premio Oscar Viola Davis.

Una considerazione generale: questa saga ha il merito di mettere in campo il tema più generale di sempre, ovvero la lotta tra il bene e il male, in una chiave filosofica e originale. L’iniziazione al male di Coriolanus Snow è lenta e inesorabile, quasi sadiana, d’altronde gli esergo della Williams al suo ultimo libro parlano chiaro sulla matrice culturale della scrittrice Suzanne Collins. La scrittrice cita Thomas Hobbes, John Locke, Rosseau, William Wordsworth e Mary Shelley. Per citare il solo Hobbes, si legge dal suo Leviatano: “Da ciò appare chiaramente che quando gli uomini vivono senza un potere comune che li tenga tutti in soggezione, essi si trovano in quella condizione chiamata guerra: guerra che è quella di ogni uomo contro ogni altro uomo». Voto: 3.5 su 5

MISERICORDIA drammatico, diretto da Emma Dante, con Simone Zambelli e Simona Malato. Durata 95 minuti.

«Il film racconta una realtà squallida, intrisa di povertà, analfabetismo e provincialismo, esplora l’inferno di un degrado terribile, sempre di più ignorato dalla società», spiega la regista palermitana. «Racconta la fragilità delle donne, la violenza che continua a perpetuarsi contro di loro, la loro disperata e sconfinata solitudine». 

Il film è ambientato in Sicilia, in un piccolo borgo marinaro di casupole in pietra grezza, in mezzo a rifiuti e rottami.  Sembra un presepe da bidonville quello che vede il neonato Arturo piangere nudo sulle rocce, sorvegliato da una pecora incuriosita. Ma non ci sono santi né doni di re Magi attorno a questo bambino irrimediabilmente diverso: la mamma è morta per le botte, le due vice-mamme fanno le prostitute e Polifemo, pappone con un occhio cieco, è così laido da fare paura. Qui cresce Arturo (Simone Zambelli), figlio della miseria e della violenza, qui muore la sua mamma mettendolo al mondo. Betta, Nuccia e la giovane Anna (Simona Malato, Tiziana Cuticchio e Milena Catalano), prostitute come lo era sua madre, se ne prendono cura come se fosse un figlio, nella misericordia di un amore disperato fatto di carezze e insofferenza, crudeltà e tenerezza.

Ormai Arturo ha 18 anni, in alcuni momenti sembra un bambino, in altri vecchissimo. È nato difettoso, si muove in modo strambo, partecipa al mondo con un animo diverso. Guarda alle persone intorno a sé come alla montagna che scala: senza paura. È un invisibile fra gli invisibili e deve combattere, come tutti a Contrada Tuono, per la sopravvivenza, ma il suo sguardo puro e diverso porta con sé la speranza. Voto: 4 su 5

THE OLD OAK drammatico, diretto da Ken Loach, con Dave Turner e Ebla Mari. Durata 113 minuti.

In un mondo diviso come quello in cui stiamo vivendo, accentuato nell’ultimo mese dalla guerra tra Israele e Hamas, dal nuovo film di Ken Loach arriva un anelito di speranza: il futuro dell’umanità può essere solo nell’accoglienza, nella compassione, nella solidarietà, nel dialogo e nella reciproca conoscenza. Parole che suonano sempre rivoluzionarie, queste del rigoroso regista del cinema del reale, che ci mostra da sempre i drammi sociali offrendoci con storie quotidiane, semplici, emozionanti una lettura profonda del contemporaneo.

L’inglese Loach, 87 anni compiuti a giugno, ne è così convinto da non lasciar mai soli i suoi film una volta finiti e nonostante l’età si mette in viaggio per accompagnare The Old Oak. Scritto da Paul Laverty, il suo fedelissimo sceneggiatore, mezzo scozzese mezzo irlandese, il film è la storia di un pub di uno sperduto villaggio nel nord est dell’Inghilterra, in cui arrivano rifugiati siriani cui il governo ha concesso il visto. Gli abitanti, in crisi economica per il declino di un posto sviluppato intorno ad una miniera ora chiusa, li vedono come usurpatori, nemici, diversi che, anziché tornare al loro Paese, sono lì aiutati dalle ong e non importa se sono bambini, donne sole, anziani che hanno vissuto le violenze del regime di Assad, da quelle parti nel Regno Unito è guerra di povertà e di ignoranza. Una giovane siriana, Yara (Ebla Mari), l’unica a conoscere un po’ di inglese, aspirante fotografa, diventa la molla del cambiamento trovando sponda con il proprietario del pub, un loser, un perdente, Tj Ballantyne (Dave Turner).

«Solidarietà, forza, resistenza sono le parole del nostro tempo», dice Loach riferendosi allo stendardo inglese-siriano che diventa una sorta di manifesto della storia. «Ma ce ne sono anche altre che rievocano la vecchia tradizione sindacalista: aiutare, educare, organizzare. L’ultima è la più importante perché si può vincere solo se c’è coesione su un programma, se si lascia un vuoto è lì che si inserisce la destra come abbiamo visto in Ungheria, Grecia, Italia». 

Loach fa esempi concreti, come il problema del caro alloggi e della sanità pubblica al crollo, «se non c’è un programma chiaro e concreto non si riuscirà ad avere una rappresentanza politica che possa opporsi alla destra». E Laverty aggiunge: «Ci sono scelte che dobbiamo fare e presto per neutralizzare altre tre parole del nostro tempo: sfruttamento, odio, capri espiatori che sono quelle imposte dai potenti. Dovresti cercare di capire chi è il tuo nemico. Cosa sono i migranti oggi se non dei capri espiatori? La propaganda contro “l’invasione” non fa che alimentare le posizioni fasciste, ma invece dovremmo andare alle radici del problema».

Sui migranti Loach è sempre critico con la comunità europea: «Italia e Grecia hanno ragione, il peso di tutto questo non può essere portato solo da loro». Per Loach, marxista all’antica, è «lo strumento sindacale quello che ancora oggi può rappresentare la classe sociale dei lavoratori, costruire comunità e dunque fratellanza». 

Nel film, tranne la giovane Yara interpretata da Ebla Mari, gli attori non sono professionisti ma veri rifugiati. «Quando ascolti da dove vengono, che cosa hanno visto i loro occhi, quali indicibili violenze hanno subito o che carestie hanno vissuto, capisci che se non vogliamo lasciare i razzisti in Italia come altrove a parlare, se non vogliamo che ciò avvenga ancora, c’è un solo modo: avere un piano chiaro di solidarietà, loro stessi ce lo chiedono, non lasciano che la disperazione prevalga», dice Laverty che è stato sulla rotta balcanica per un po’ di tempo per incontrarli

Un altro mondo è possibile, ripete sempre Ken Loach, «alcune persone pensano che la parola speranza sia oscena, è vero, ma deve esserci, è una questione politica e non possiamo che costruirla». Voto: 4 su 5

DREAM SCENARIO – HAI MAI SOGNATO QUEST’UOMO? commedia, diretto da Kristoffer Borgli, con Nicolas Cage e Michael Cera. Durata 101 minuti.

Racconta la storia di un professore, che diventa un vero e proprio idolo, dopo essere apparso nei sogni di tutti. Paul Matthew (Nicolas Cage) insegna biologia in una piccola università ed è padre di due figlie, che lo considerano goffo e imbranato. È un uomo normale di mezza età con la barba ingrigita e una calvizie incipiente, porta con sé uno zainetto, poggiato sulle spalle di un parka, che lascia intravedere un golf di lana. Perfettamente mimetizzato tra la gente, Paul passa del tutto inosservato. Un giorno, a sua insaputa, l’uomo comincia ad apparire in sogno alle persone, compresi gli estranei. Da questo momento in poi la sua vita cambia drasticamente… Voto: 3.5 su 5

L’ALTRA VIA drammatico, diretto da Saverio Cappiello, con Giuseppe Pacenza e Fausto Verginelli. Durata 98 minuti.

È ambientato negli anni Novanta e racconta la storia di Marcello (Giuseppe Pacenza), un bambino calabrese con un grande sogno nel cassetto: diventare un calciatore. Marcello vive con sua madre Tereza (Vera Dragone) nel quartiere popolare di Catanzaro. Sempre qui vive Andrea (Fausto Verginelli), il capitano della squadra di calcio del posto, l’U.S. Collidoro. 

La vita di quest’ultimo e quella del giovane Marcello si intrecceranno e l’amicizia che nascerà tra loro porterà Marcello ad avvertire il bisogno di quella figura paterna che non ha mai avuto. Il calciatore, dal canto suo, avvertirà in questa vicinanza una spensieratezza che aveva ormai dimenticato, a causa in particolare di alcune partite truccate in cui è stato coinvolto. La loro amicizia si rivelerà necessaria per entrambi. Voto: 3.5 su 5

LA SEDIA drammatico, diretto da Gianluca Vassallo, con Michele Sarti e Angelo Zedda. Durata 104 minuti.

È la storia di Pietro (Michele Sarti), un uomo senza Dio, senza patria e senza famiglia, che si mette alla ricerca di suo fratello (Angelo Zedda). I due non si vedono da diverso tempo, ma Pietro ha bisogno di trovare suo fratello per contendersi le uniche due cose che il padre, morto di recente, ha lasciato in eredità: una sedia e una pistola. Il tragitto, che l’uomo intraprenderà alla ricerca del fratello, sarà una vera e propria via crucis civile, scandita da tappe e incontri nei meandri di una Sardegna trasfigurata. Pietro non dovrà soltanto attraversare l’isola, ma anche i suoi demoni e quelli della contemporaneità. Voto: 3 su 5

BLACKBERRY commedia, diretto da Matt Johnson, con Jay Baruchel e Glenn Howerton. Durata 122 minuti.

È la storia del primo smartphone al mondo. Il BlackBerry fu rivoluzionario per la sua epoca ed ebbe uno straordinario successo, toccando all’inizio degli anni 2000 l’apice della sua popolarità. Ma altrettanto rapido fu il declino. Complice di questo tracollo il deterioramento del rapporto tra Mike Lazaridis e Jim Balsille, i co-fondatori. Questo conflitto finito in tribunale lascerà spazio e terreno fertile alla crescita dei maggiori competitor, Apple e Samsung. Voto: 2.5 su 5

MIMÌ – IL PRINCIPE DELLE TENEBRE horror, diretto da Brando De Sica, con Domenico Cuomo e Sara Ciocca. Durata 103 minuti.

Dopo le diverse esperienze oltreoceano in ambito pubblicitario e le collaborazioni familiari, il figlio d’arte Brando De Sica giunge alla sua prima pellicola per il grande schermo, interamente diretta e scritta da lui medesimo. Più che un semplice horror è un film “marziano” tanto è pieno di generi e sfumature: dal musical al fantasy, dal melò camorristico al musicarello neomelodico. Protagonista Mimì (Domenico Cuomo), un adolescente orfano nato con i piedi deformi, cuore puro e corpo sottile che lavora in una pizzeria a Napoli. Un giorno incontra Carmilla (Sara Ciocca), una ragazza molto dark convinta di essere una discendente del conte Dracula e che ama appassionatamente il Nosferatu di Murnau. Tra loro nasce subito qualcosa e per il ragazzo dai piedi deformi e bullizzato un giorno sì e un giorno no da piccoli delinquenti locali appassionati di brani neomelodici, inizia una nuova vita da aspirante vampiro. Ora Mimì ha finalmente uno scopo, per la prima volta ama ed è riamato. 

Da qui il film e il bravissimo protagonista si agitano tra tenerezze, fiumi di sangue, citazioni cinefile e brani di Johnson and Johnson. Un Mimì marziano per i tanti generi. «Il fatto è che la vita è piena di sfaccettature», commenta il regista. «È una discoteca di bellezza e bruttezza così noi raccontiamo sia la fuga dalla realtà sia l’importanza dei sogni, ma anche la ricerca d’identità. E in questo caso si cerca anche un’appartenenza visto che si tratta di giovani che un giorno possono venire vestiti da metallari e un altro giorno da hippy. Stiamo parlando poi comunque anche di un coming of age, insomma tutto questo si è riversato naturalmente in questo film senza che ne fossi davvero consapevole, inconsciamente». 

E ancora Brando De Sica: «Questo film è diventato per me quasi un’analisi. All’inizio era tutto molto inconscio, probabilmente stavo cercando la mia identità come regista alle prese con la sua opera prima. I personaggi così avevano tante sfaccettature, non erano fatti di bianco e nero. Hitchcock, ad esempio, era molto bravo a mettere nei suoi lavori sempre un po’ di commedia anche per stemperare». 

Perché la scelta di Domenico Cuomo? «Lui per me è una sorta di rockstar, uno capace di suonare il trombone e la chitarra. Chissà forse un giorno diventeremo una coppia come Tim Burton e Johnny Depp e lavoreremo sempre insieme». Dice lo stesso Cuomo che in Mare fuori interpreta Gianni: «Cerco sempre, quando affronto un personaggio storico, di guardare il meno possibile a questo personaggio per non farmi condizionare.  Ho sempre voglia di portare le mie verità. Mimì è un ragazzo che dimostra meno dell’età che ha per la sua ingenuità e la sua purezza. La cosa difficile per me è stato raggiungere da questa condizione l’esatto opposto». 

Perché questo amore per l’horror da parte di Brando? «Il primo film horror che vidi fu proprio Dracula il vampiro di Fisher, me lo fece vedere mio zio Manuel perché lui e mio padre sono sempre stati appassionati di horror.  Poi ho visto La notte dei morti viventi di Romero e rimasi completamente affascinato da questo mondo non convenzionale. Poi passai alla letteratura fantastica come Edgar Allan Po e Lovecraft e a quel punto i giochi erano fatti». Voto: 3.5 su 5

THANKSGIVING horror, diretto da Eli Roth, con Rick Hoffman e Gina Gershon. Durata 107 minuti.

È incentrato sulla figura di un serial killer. Dopo che alcuni tragici incidenti hanno segnato la giornata del Black Friday, un misterioso assassino la cui maschera è ispirata al Giorno del Ringraziamento, arriva nella cittadina di Plymouth, Massachusetts, il luogo d’origine della nota celebrazione americana, per trasformare la festività in un bagno di sangue. Voto: 2 su 5

TRENQUE LAUQUEN thriller, diretto da Laura Citarella, con Laura Paredes e Ezequiel Pierri. Durata 120 minuti.

Si svolge a Trenque Lauquen, una città della Pampa argentina. Laura (Laura Paredes) è una classificatrice di piante e fiori e vive immersa nei boschi sempre a contatto con la natura. Un giorno le sembra di vedere un fantasma che si aggira tra gli alberi ed è convinta di essere testimone di un mistero da risolvere. Inizia così la sua ricerca che va a scavare in un passato dimenticato, e che in parte si intreccia con la ricerca di se stessa. Laura decide di partire per inseguire il suo mistero senza lasciare tracce e da quel momento, il fidanzato Rafael (Rafael Spregelburd) e il suo collega Ezequiel (Ezequiel Pierri) si mettono a loro volta sulle sue tracce. Li seguiamo nel loro viaggio attraverso i paesaggi dell’Argentina, ognuno in cerca delle proprie risposte. Voto: 2 su 5

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *