– Il cantautore texano diventato un’icona in America si racconta nelle 400 pagine dell’autobiografia “My Life: è una lunga storia…”
– Il suo viaggio verso il successo è stato irto di difficoltà, attraverso turbolenti storie d’amore, tragedie e disastri personali e finanziari
C’è una frase in una vecchia canzone di Merle Haggard, Footlights, che avrebbe quasi potuto essere scritta pensando a Willie Nelson: “Vivo il tipo di vita che la maggior parte degli uomini può solo sognare / Vivo scrivendo canzoni e cantandole”.
Willie Nelson è ovviamente un uomo che non ha bisogno di presentazioni. Il suo volto e la sua immagine di vita libera sono conosciuti in tutto il mondo, e le sue canzoni sono diventate inni, consegnati direttamente al cuore dell’ascoltatore in quel tono da baritono assolutamente distintivo ed espressivo, la definizione stessa di una voce vissuta, accartocciata, graffiata come i paesaggi del Texas che ama così tanto. A 91 anni, dopo diversi decenni di successi, si è più che guadagnato il suo vantato status di icona americana. Eppure, il suo viaggio verso il successo è stato irto di difficoltà, attraverso turbolenti storie d’amore, tragedie e disastri personali e finanziari. Lo racconta in My Life: è una lunga storia…, titolo dell’autobiografia del cantautore statunitense in uscita per la prima volta in Italia per Il Castello marchio Chinaski Edizioni.

Vincitore di 12 Grammy Awards, chitarrista, attore, scrittore e attivista, Nelson è considerato un’icona della cultura mainstream, come di quella alternativa, ha venduto oltre 100 milioni di dischi. Texano di nascita, già da bambino si diletta con la musica country, tra svariati lavori, tra cui venditore, insegnante e dj. Debutta con la sua prima canzone Family Bible nel 1960. Tra quattro mogli, otto figli, concerti e contratti discografici, Nelson comincia a manifestare una certa riluttanza verso i canoni del country tradizionale.
Durante la sua lunga carriera verrà inserito in una rosa di generi che vanno dal progressive country al western swing. La raccolta Wanted! The Outlaws del 1976, oltre ad aver venduto un milione di copie, diventa il primo disco country di platino della storia. Gli anni Settanta consacrano Nelson super star, che domina le classifiche country e rock. Proprio in quegli anni fu invitato a Washington dal suo amico neopresidente Usa Jimmy Carter: dopo il concerto per l’insediamento accadde che si ritrovò sul tetto della Casa Bianca a fumare una canna. Nello stesso periodo, consolidata l’amicizia con Ray Charles, quest’ultimo lo invitò a giocare una partita a scacchi al buio.
Tra tutti i manager assunti e licenziati, Mark Rothbaum, è quello a cui Nelson è più legato. Mark non faceva uso di droghe ma si fece arrestare con l’accusa di spaccio, per salvare due cari amici di Nelson. Rothbaum, che nel frattempo era diventato manager anche di Miles Davis, ha gestito così il suo lavoro dal carcere nel periodo di detenzione.
Il 1980 è l’anno di On The Road Again, probabilmente il suo pezzo più famoso, nato per il film Accordi sul palcoscenico prodotto da Sydney Pollack. Proprio in quegli anni Nelson si cimenta quasi per gioco come attore, finendo per diventare anche una star di Hollywood con decine tra film e serie tv.
Fu Robert Redford a spingerlo verso la carriera cinematografica. Molte anche le collaborazioni dal vivo e in studio con colleghi tra i più svariati, da Johny Cash a Bono Vox, da Bob Dylan e Julio Iglesias. Quest’ultimo, noto per la sua formalità, non si scompose quando incontrò per la prima volta Nelson che lo accolse con in bocca «un bel cannone».
Forte il suo impegno sociale, tant’è che partecipa alla hit mondiale We Are the World al fianco di Michael Jackson, Stevie Wonder e Bruce Springsteen. Nello stesso anno organizza il Farm Aid (sulla falsa riga del Live Aid di Bob Geldof) per aiutare i coltivatori del Midwest. Nel ’92 diventa celebre il suo album The Irs Tapes: Who’ll Buy My Memories?, pubblicato unicamente per destinarne i profitti all‘Irs (il fisco statunitense) a cui doveva svariate migliaia di dollari di tasse arretrate.
In quegli anni proseguono poi le collaborazioni con colleghi del calibro di Eric Clapton, Paul Simon e Frank Sinatra. Quest’ultimo gli confessò: «Sei tu il mio cantante preferito, Willie», prima di essere insolitamente assegnato come artista d’apertura a un suo concerto. Politicamente è sempre stato vicino a tutte le cause progressiste, in particolare alla legalizzazione della cannabis e alla critica verso alcool, tabacco e droghe pesanti. Tutti ricordano come fosse intransigente nel vietare l’uso di cocaina tra i membri della sua band. Nelson partecipò alla campagna elettorale di Gatewood Galbraith, un avvocato di Lexington candidato per la carica di governatore del Kentucky, favorevole alla legalizzazione. I due girarono per tutto lo stato su una Cadillac alimentata a carburante di canapa. Sempre in quel periodo disertò un’esibizione ai Grammy di Los Angeles, per presentarsi in tribunale e difendersi in un processo per uso di cannabis.
Di fede cristiana, si è sempre interessato anche di spiritualità in senso lato e di filosofie orientali. Nella sua produzione ha interpretato vari brani di ispirazione cristiana, gospel e spiritual.
Nel raccontare la sua vita in modo onesto e aperto, senza sensazionalismo o tentativi di autoglorificazione, il libro di memorie di Willie Nelson è, in sostanza, un libro su tre temi: amore, sopravvivenza e musica. È una lettura affascinante e utile, anche per coloro che non hanno interesse per il suo lavoro. Alla fine di queste quattrocento pagine emerge il ritratto di un essere umano contorto, contraddittorio, vero.