– Il libro di Angelo Carotenuto esplora i lati oscuri dei protagonisti di competizioni canore, raccontando il disagio di una società di adulti fragili, convinti che invece la fragilità sia dei giovani
Chissà se mai qualcuno dei tanti giurati che ruotano attorno ai vari talent, fuori dalla banale curiosità agli obblighi professionali, si è mai posto una domanda: che fine fanno i ragazzi che vengono bocciati? Perché i talent sono una meravigliosa fabbrica di illusioni e, nello stesso tempo, un generatore automatico di disillusione. Quanti, anche vincitori, si sono persi per strada? Tanti. Si contano sulle dita di una mano quelli che sono riusciti ad emergere. E tutti gli altri? Tutti quelli che non hanno superato una selezione, quelli che sono arrivati secondi o terzi, quelli che vengono bocciati con frasi fatte come: «Io penso che tu sia un grande talento, ma non sono sicuro che tu abbia la forza per stare dentro questo gioco». Sono le parole di Gabriele Purotti, a tutti noto come “il Puro”, il leader cinquantenne dei Dorita, storica rock band della scena indie italiana, nelle vesti di giurato al talent “VIL”, acronimo di Viva il lupo, che è anche il titolo del libro di Angelo Carotenuto. Un lavoro con il quale l’autore si addentra nei meandri dei talent, in un’analisi psicologica dei protagonisti, giudici e cantanti. Un romanzo che racconta il presente nei desideri e nelle sconfitte, nella violenza della competizione e nella dolcezza dell’amicizia, capace di rappresentare lo smarrimento della vecchiaia che incombe, lo struggimento di un’adolescenza che pare non aver fine, il disagio di una società di adulti fragili, convinti che invece la fragilità sia dei giovani.
Punto di partenza è la morte di una concorrente, una giovane ragazza di 16 anni, di nome Tete, che, dopo aver presentato una toccante interpretazione di Ciao amore, ciao di Luigi Tenco, era stata eliminata in seguito al giudizio e al voto negativi di Purotti. La ragazza muore due giorni dopo. Viene travolta da un treno a un passaggio livello incustodito mentre è su un monopattino, indossando le cuffie e ascoltando musica ad alto volume. Incidente o suicidio?
In seguito a questa notizia Puro perde la voce. Non può partecipare alle puntate finali del programma. Inoltre, il senso di colpa lo travolge e non gli dà pace. Ad aggravare la percezione dell’uomo sull’accaduto è l’arrivo per posta di una chiavetta usb con un file audio nel quale è registrato un messaggio della ragazza: «Hai detto che non mi hai visto pronta, ma pronta per cosa, non dovevi decidere se posso fare la star domani o il mese prossimo, dovevi solo dire se ti è piaciuto come canto». E poi, nelle ultime parole l’affondo più duro: «Dicono che in punto di morte ti scorre la vita davanti agli occhi. Meno male. Quando ti vedrò passare, potrò dirti di nuovo che sei stato stronzo».
Comincia così a condurre una sua indagine personale sulla morte di Tete. Trascorre le sue giornate con l’obiettivo di conoscere ogni aspetto possibile dell’esistenza della ragazza. È in particolare l’incontro con Ardo, il fratello di Tete che passa la sua giornata chiuso nella sua camera a suonare e che si esprime solo citando brani di canzoni italiane del passato, a dargli la possibilità di rimettersi in gioco e provare ad accantonare l’abisso del rimorso che gli morde la coscienza.
L’indagine del Puro consente all’autore di osservare il mondo, i tormenti da e la fragilità di una generazione. Puro intraprende «una faticosa esplorazione delle pareti della vita, a tentoni, per scoprire ciascuno il proprio tesoro, finché non se ne rintraccia un altro, più forte, che lo scalza»: a tutto ciò dà il nome di gioventù.