– Il nuovo anno cinematografico si apre nel segno della musica e della bellezza anche con il ritratto intimo della Callas realizzato da Pablo Larraín con una interpretazione appassionata dell’attrice
– «Nel nostro lavoro è importantissimo trovare la propria voce. Credo che essere un artista significhi questo: da una parte scavi dentro te stessa ma soprattutto cerchi di capire che cosa puoi dare»
Insieme con Better Man c’è un altro film che inaugura il 2025 nel segno della musica e della bellezza, è Maria, il lavoro nel quale Angelina Jolie dà la sua «interpretazione della vita». Lo potremo vedere in Italia dall’1 gennaio. Pablo Larraín ha realizzato un ritratto intimo di Maria Callas e raccontato la sua storia, rivissuta e re-immaginata durante gli ultimi giorni di vita, nella Parigi degli anni Settanta.
Maria è il terzo biopic di Larraín della sua trilogia su grandi donne (dopo Jackie e Spencer) ed è il migliore dei tre per una semplice ragione: la sua protagonista, Maria Callas, affronta il conflitto più pieno di suspense, il tentativo di ricominciare la sua carriera di cantante dopo una lunga assenza dal palco. Gli altri due film sono principalmente storie private incentrate su celebrità le cui vite private contrastano con le loro identità pubbliche. In Spencer, la principessa Diana (Kristen Stewart) lotta contro i tentativi di controllo della famiglia reale e del marito; in Jackie, Jacqueline Kennedy (Natalie Portman) cerca di mantenere la sua privacy in mezzo al dolore pubblico per la morte del marito. Ma, a parte la mera celebrità, il posto di Jackie Kennedy nella storia si è ridotto dopo aver lasciato la Casa Bianca, e la monarchia britannica ha avuto poco significato storico dalla seconda guerra mondiale.
Al contrario, il dramma di Maria (scritto da Steven Knight) coinvolge Maria Callas (interpretata da Angelina Jolie), una delle grandi musiciste del suo tempo, alle prese con un’arte che ha un’esistenza e un posto indipendenti nella storia. Nessuno è stato più diva di Maria Callas, in quei sommessi e turbolenti anni Cinquanta, quando i miti erano scarsi ma fulgenti e per travolgere la gente bisognava possedere doni eccezionali, essere uniche, inimitabili, dispotiche nel talento meraviglioso ed eccentrico. Oggi una cantante d’ opera anche fatata non potrebbe diventare una icona popolare proprio per la sua estranea genialità. Ma Maria Callas, pur così relegata nella sua epoca, avrebbe colpito al cuore anche le folle di fine secolo con la sua storia tuttora esemplare: ragazza americana di origine greca, grassa, malvestita e faticona, provvista di voce sublime, sposa anziano industriale italiano, diventa magra, bella, celebre, chic, al centro della curiosità e della passione del mondo, si innamora di odioso magnate greco che la maltratta e sposa, senza dirglielo, una più elegante celebrità; disperata, non più in grado di cantare, ha qualche amore ancora una volta incerto e sbagliato, si esilia in un appartamento parigino, si dimentica con gli psicofarmaci e muore in solitudine e mistero.
Callas, la cui carriera di cantante era finita nel 1965 (l’anno della sua ultima performance operistica), rimase, nel bene e nel male, una cantante fino alla fine. Il film è basato sulle implicazioni emotive del contrasto fra la sua devozione alla musica e l’abbandono delle scene, la perdita di molte delle migliori qualità della sua voce. Maria, che inizia con la morte di Callas, è ancorata all’ultima settimana della sua vita, nel settembre 1977. Maria (il personaggio) vive in un sontuoso appartamento a Parigi, con uno staff di due persone: il suo cosiddetto maggiordomo, Ferruccio (Pierfrancesco Favino), più simile a un factotum, autista, personal shopper, guardia del corpo, persino un aiutante di campo su cui si affida per un consiglio finché, quando non le piacciono i suoi suggerimenti, lo mette crudelmente in quello che considera il suo posto. La sua chef e governante, Bruna (Alba Rohrwacher), è timida e venerante, ma in grado di intraprendere azioni decisive e silenziose quando necessario.
Maria sta abusando del farmaco da prescrizione medica Mandrax ed è, di conseguenza, tormentata da incubi e allucinazioni. Ferruccio organizza una visita a domicilio da parte di un medico (Vincent Macaigne). Il medico le ordina di smettere di prendere i farmaci. Maria nasconde le pillole nelle tasche dei vestiti nel suo guardaroba e spetta al suo staff trovarle e smaltirle. Nonostante le sue infermità, Maria persegue un piano ambizioso: organizza un incontro, in una sala concerti vuota, con un pianista di nome Jeffrey (Stephen Ashfield), che diventa rapidamente molto più di un accompagnatore. Dotato di ampio talento, gusto raffinato e una profonda devozione per l’opera e per lei, assume rapidamente il ruolo della sua coscienza musicale, un allenatore e un confidente.
La voce non è decisamente quella di prima, e questo è già evidente all’inizio del film, quando Maria canta a Bruna in cucina, mentre lo chef sta lanciando una frittata. Quando intona “O mio babbino caro”, da Gianni Schicchi di Puccini per Jeffrey, lui dice la verità ma vede le possibilità che, con il lavoro, le sono aperte. Non può fare a meno di parlare del suo amore perduto da tempo, Aristotele Onassis (che l’ha lasciata per sposare Jackie Kennedy e che è morto nel 1975), e la sua confessione dà a Jeffrey un’apertura per quello che risulta essere il miglior riff del film, dicendole di non cantare ma di urlare, in modo che Puccini e il morto Onassis possano sentirla. E lei lo fa, e ci sono lampi di grandezza nella sua furia, ma non può superare l’aria e lui analizza il suo problema in due parti: una, che sta ascoltando Maria e vuole sentire la Callas; due, che per arrivare dove vuole andare, ci vorrà molto lavoro.
Maria Callas era la Billie Holiday dell’opera, con una voce che è unica per non essere eccezionalmente bella; è una bellezza di espressione e originalità che rischia la durezza, ogni interpretazione veniva trasmutata in dramma e le caratterizzazioni rese intensamente personali. La sua era un’arte del pericolo e dell’abbandono; anche se molti cantanti aspirano a tale libertà espressiva, pochi si assumono i rischi che comporta. La performance di Angelina Jolie rende quelle scene ancora più potenti. I momenti musicali sono tanto impressionanti quanto audaci, e Jolie trasmette l’intensa fisicità che il mestiere richiede. Ma senza le scene degli sforzi di Maria per riconquistare la sua voce e tornare sul palco, al film mancherebbe l’elemento drammatico. Ed è nelle scene non musicali, anche nelle più imbarazzanti, che Jolie – una star della passione – rende la sua incarnazione di Maria in modo persuasivo, commovente e operistico.
«Era un’artista, e anche se era famosissima non faceva nulla per esserlo, a lei interessava proprio il suo lavoro», ha spiegato Jolie. «Aveva studiato moltissimo da quando era bambina per dare il massimo, prendeva il suo mestiere molto seriamente. Era una persona disciplinata e dedita al lavoro dei compositori e al suo pubblico».
Maria è anche un film sull’essere artista, perché, come diceva la stessa Callas «qualsiasi cosa accada l’artista resta sempre tale, anche quando la sua voce non è più un fuoco d’artificio. L’artista c’è sempre». «Nel nostro lavoro è importantissimo trovare la propria voce, capire in che modo poter dare il proprio contributo», aggiunge l’attrice americana. «Credo che essere un artista significhi questo: da una parte scavi dentro te stesso ma soprattutto cerchi di ascoltare gli altri, di confrontarti, di capire che cosa puoi dare, anche al di là di quello che gli altri si aspettano da te».