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Un lungo “Stop Making Sense Tour Party”

– Arriva in Italia il film sul concerto dei Talking Heads passato alla storia come uno dei migliori nella storia del rock. Dopo l’anteprima alla Festa del cinema di Roma, andrà in giro nei teatri e l’11, 12 e 13 novembre nelle sale Nexo
– Tina Weymouth: «È classico anche perché non usiamo raggi laser o tutti gli ornamenti di un concerto rock che si vedono oggi. Inizia con un palcoscenico nudo. È uno stile teatrale molto antico che esiste da almeno 150 anni»

Assistere a Stop Making Sense, il film del concerto più importante della carriera dei Talking Heads, è più di una semplice esibizione dal vivo; è assistere a una sinfonia visiva, dove il suono trascende il palcoscenico e il movimento diventa linguaggio. La band non si limita a recitare: costruisce un mondo mattone per mattone, canzone per canzone. È una coreografia di caos e controllo, in cui i gesti di David Byrne, il leader, fanno parte sia della musica che del ritmo che guida ogni nota.

Durante lo spettacolo i costumi si ingrandiscono, gli spazi si restringono e, tuttavia, tutto sembra illimitato. È come se la musica districasse ciò che le parole da sole non possono esprimere: un’esperienza in cui la logica si dissolve e tutto ciò che rimane è la pura e cruda emozione di essere vivi, insieme, in un momento fugace di suono e movimento.

Un momento dello show. Nella foto in apertura David Byrne durante il concerto “Stop Making Sense” (foto Jordan Cronenweth, per cortesia di A24)

Definito come «il miglior film concerto che abbia mai visto» da The Village Voice e «una dose di felicità dall’inizio alla fine» da The New Yorker, Stop Making Sense è stato girato dal regista indipendente Jonathan Demme (Il silenzio degli innocenti) nel corso di quattro notti al Pantages Theatre di Los Angeles, in California, ed è stato presentato in anteprima nel 1984. Da allora è stato considerato uno dei più grandi concerti girati della storia. Nel 2021 è stato selezionato per essere conservato nel National Film Registry della Libreria del Congresso degli Stati Uniti e ora, quarant’anni dopo, è stato riproposto dopo un restauro in alta definizione proiettato in tutto il mondo. 

Jonathan Demme era un grande amante della musica. Aveva visto il concerto, quindi si è avvicinato a noi e ci ha detto: «Penso che sarebbe un grande film». E noi gli abbiamo risposto: «Sì, lo crediamo anche noi»

Demme, morto a 73 anni nel 2017, era attratto dal materiale, ha ricordato Byrne all’anteprima del Toronto Film Festival, perché lo spettacolo che avevano assemblato raccontava una storia, con un inizio, una parte centrale e una fine. Il film inizia, letteralmente, con la formazione della band, quando Byrne viene raggiunto da ogni membro aggiuntivo, uno per uno, e il loro spettacolo viene costruito dal nudo palco su cui inizia. A metà, questo strano ometto e i suoi amici sono diventati una famiglia, e quando Byrne canta il testo gentile e accogliente di This Must Be the Place (“Casa / è dove voglio essere / ma immagino di essere già lì”), è un battito emotivo commovente e sincero come quello di un qualsiasi film narrativo.

«Jonathan Demme era un grande amante della musica. Aveva visto il concerto, quindi si è avvicinato a noi e ci ha detto: “Penso che sarebbe un grande film”», racconta Tina Weymouth, storica bassista dei Talkin Heads, in una intervista su El Pais. «E noi gli abbiamo risposto: “Sì, lo crediamo anche noi”».

L’impatto viscerale del film è stato sconcertante. Le straordinarie scelte di illuminazione e le composizioni ravvicinate di Demme lasciano a bocca aperta sul grande schermo, e Byrne si presenta ancora più simile a una star del cinema, dalla sua prima rivelazione nell’iconico Big Suit, la giacca bianca e i pantaloni di proporzioni oversize che sono diventati un fenomeno culturale e un emblema degli anni Ottanta («Volevo che la mia testa apparisse più piccola, e il modo più semplice per farlo era ingrandire il mio corpo», spiega Byrne) al suo strisciare serpentino durante Life During Wartime

Il film è diventato iconico e, guardandolo oggi a distanza di quarant’anni dall’uscita, sembra attualissimo. «È classico, anche perché non usiamo raggi laser o flash o tutti gli ornamenti di un grande concerto rock che si vedono oggi. In effetti, inizia con un palcoscenico nudo», spiega Tina Weymouth. «Non c’è niente che dica: “Oh, sembra molto degli anni Ottanta”. Tutto ciò che abbiamo usato erano vecchie cose teatrali che avrebbero potuto essere utilizzate nel Bataclán ai tempi di Jean Cocteau. È uno stile teatrale molto antico che esiste da almeno 150 anni. Ma non eravamo attori, siamo persone reali che si divertono. E penso che questo sia parte della magia. È l’incredibile chimica dei membri e il modo in cui Jonathan Demme e la sua telecamera andavano da un musicista all’altro, senza concentrarsi troppo su dove erano le nostre dita, ma guardando i nostri occhi».

Stop Making Sense ha debuttato in Italia oggi alla Festa del Cinema di Roma per poi passare all’Alcatraz di Milano, dove è in programma il 24 ottobre all’interno del calendario della nona edizione di JAZZMI 2024. L’evento segnerà l’inizio dello Stop Making Sense Tour Party che si trasferirà il 26 ottobre al Vida Club di Cesena, l’indomani al Museo del ‘900 di Mestre, il 29 ottobre al Teatro Grande di Brescia e il 30 ottobre all’Estragon di Bologna.

Il film arriverà anche nelle sale italiane, ma soltanto l’11, 12 e 13 novembre, in 4K e audio Dolby Atmos 7.1 con la Cinema Experience (elenco su nexostudios.it). L’invito per il pubblico sarà quello di partecipare a tutti gli appuntamenti con un dress code ispirato al film e alla musica degli anni Ottanta per reimmergersi nelle atmosfere di quell’ottobre 1984 quando il film fece il suo debutto internazionale.

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