Interviste

Tim Robbins: suono per ritrovare il dialogo

– L’attore hollywoodiano ospite del Magna Graecia Film Festival di Catanzaro nelle vesti di musicista. Le prove nel Teatro di Soverato del concerto che terrà venerdì 2 agosto con la sua Rogues Gallery Band
– «L’energia che si crea con il pubblico è qualcosa di unico e appagante. Al cinema non hai la reazione diretta con gli spettatori. Hal Wilner mi ha riportato alla musica, nella mia famiglia, che io avevo ignorato»
– «No comment» sulla corsa alla Casa Bianca: «Mi sono messo in pensione dalla politica». Ma lancia una velenosa frecciata a Kamala Harris e s’indigna per il paragone fra il suo film “Bob Roberts” e l’attentato a Trump
– «Con il Covid ci siamo isolati non solo nelle nostre case, ma anche nelle opinioni personali. Bisogna tornare allo scambio di opinioni senza criminalizzare chi è di una idea contraria». «Basta con gli esperti, torniamo a imparare»

Tim Robbins, insieme con la sua ex moglie Susan Sarandon, non ha mai fatto mistero delle sue idee politiche: oltre ad essere contrario alla pena di morte, nel 2003 ha fortemente contestato l’invasione dell’Iraq. Nel 2008 ha sostenuto attivamente la campagna elettorale presidenziale del democratico John Edwards e, dopo il suo ritiro, ha comunque supportato Barack Obama. Con la sua compagnia teatrale è impegnato nel settore delle carceri. Ma quando gli si chiede un commento sull’attuale campagna elettorale americana, si trincera dietro a un «no comment», precisando: «Quest’anno ho compiuto 65 anni e negli USA una volta era l’età per andare in pensione. Così ho deciso che da qualcosa dovevo andare in pensione. Dal fare campagne elettorali per candidati politici. Farò solo arte».

Inutile insistere. Anche se poi, quando gli si chiede un giudizio su Kamala Harris, la sfidante democratica del repubblicano Donald Trump, dopo aver ribadito il suo «no comment», lancia una frecciata velenosa: «Rivolgete la domanda ai detenuti americani». 

Il riferimento è alla fama di procuratrice dal pugno di ferro che la Harris si è conquistata negli anni in cui in California il numero di persone condannate è salito con una percentuale a due cifre e per aver bloccato nel 2014 il rilascio dei detenuti non violenti dal carcere dopo due proteste per il sovraffollamento, appellandosi al fatto che il loro rilascio avrebbe comportato una perdita di forza lavoro per le tante attività economiche avviate nelle carceri. Insomma, molto probabilmente, Robbins non andrà a votare.

Lo scambio di battute avviene nel corso della conferenza stampa tenuta a Catanzaro, dove Robbins è ospite del Magna Graecia Film Festival che gli consegnerà la Colonna d’Oro, e dove, soprattutto, venerdì 2 agosto si esibirà nelle vesti di musicista alla guida della Rogues Gallery Band. 

Noto al grande pubblico per i ruoli sul grande schermo e per l’impegno sociale, meno conosciuto è il background di Tim Robbins come musicista e compositore. Figlio di due musicisti folk, il padre Gil (membro del gruppo The Highwaymen) e la madre Mary, «anche lei musicista», è cresciuto negli anni Sessanta nel Greenwich Village di New York, fucina della controcultura americana che ha influenzato tutta la seconda metà del XX secolo. «Avevo 6 o 7 anni quando mio padre mi fece salire sul palco», ricorda. «La musica è stata sempre una parte integrante della mia vita. Da adolescente, quando ho cominciato a suonare la chitarra, scrivevo canzoni».

Tim Robbins in concerto con la Rogues Gallery Band

Raggiunta la fama internazionale come attore, regista e autore cinematografico e teatrale, Tim Robbins ha continuato a coltivare nel privato la sua passione per la musica folk e rock. Fino al 2009, quando «in un momento difficile della mia vita, ero depresso dopo un paio di progetti di regia andati male, decisi di registrare quelle canzoni che avevo scritto. Volevo che esistessero». La svolta accadde al funerale dell’amico regista Robert Altman, con il quale aveva lavorato in tre film (I protagonistiAmerica Oggi Prêt-à-Porter). «Dopo la cerimonia funebre siamo andati a casa della vedova per confortarla e tenerle compagnia. Lì ho incontrato Hal Wilner (grande produttore musicale che ha lavorato con Lou Reed, Leonard Cohen e molti altri, ndr), che mi dice: “Che cosa stai combinando?”. Comincio a parlargli di sceneggiature, film, ma lui mi interrompe: “No, che hai fatto dal punto di vista musicale”. “Ho registrato alcune canzoni”, gli dico. “Le voglio ascoltare”, replica. Gli sono piaciute e mi fa: “Possiamo fare un album”. Avevo più di 50 anni, è stata una sfida. Mi ha fatto conoscere Lou Reed, Leonard Cohen, Tom Waits, Shane McGowan… E anche la Rogues Gallery Band con cui ho fatto il disco e un tour mondiale per nulla glamour: dopo i concerti partivamo per la tappa successiva dormendo sul bus. Ma l’energia che si crea con il pubblico è qualcosa di unico e appagante. Al cinema non hai la reazione diretta con gli spettatori, non sei con loro in ogni sala. Hal mi ha riportato nella mia famiglia, che io avevo ignorato fino a quel momento». 

L’album è uscito nel 2010 e rivela l’anima folk del ragazzo cresciuto al Greenwich Village, fra echi di Bob Dylan e richiami a Bruce Springsteen. Canzoni che in questi giorni si possono ascoltare nelle prove che Tim Robbins e la sua band stanno conducendo nel Teatro di Soverato in vista del concerto di venerdì. «È da otto anni che non suoniamo assieme», tiene a sottolineare. «La pandemia ci ha fermati e, nel frattempo, sempre a causa del Covid ci ha lasciati Hal Wilner. A lui vogliamo dedicare questo concerto».

E il Covid, secondo l’attore hollywoodiano, non solo ci ha sottratto affetti e libertà, ma ha stravolto il nostro modo di vivere, è la causa della degenerazione della società. «Una volta c’era la macchinetta dell’acqua o del caffè, dove la gente si incontrava e scambiava due chiacchiere», spiega. «Con la pandemia, ci siamo isolati non solo nelle nostre case, ma anche nelle opinioni personali, nei nostri pensieri e, quindi, ci indigniamo sempre di più, abbiamo un atteggiamento quasi tribale. Dobbiamo recuperare la macchinetta del caffè, le chiacchiere, scambiare e ascoltare opinioni, recuperare la capacità di conversare senza trattare l’altro come un animale, ma come un essere umano». 

Ho visto che ci sono state persone che hanno tentato un parallelo tra quello che è successo e il film dove Bob Roberts inscena un tentativo di omicidio per tentare di farsi eleggere. Mi sono sentito profondamente offeso perché sono due cose completamente diverse. Le persone sono perse nell’odio. Non c’è voglia di ragionare, non ci sono compassione né empatia. È una situazione pericolosa, lacerata. Bisogna tornare al confronto, alla comprensione reciproca, allo scambio di opinioni senza criminalizzare chi è di una idea contraria. Oggi quando guardo i talk show ci sono tanti “esperti” che esprimono opinioni che poi ci portano alla deriva. Ecco, bisogna smettere di essere esperti e di tornare a studiare, continuare a imparare e apprendere dalle esperienze degli altri

E, sebbene sia in pensione sulle questioni politiche, non può fare a meno di allargare lo sguardo a quanto accade nella corsa alla Casa Bianca e al recente attentato a Trump. «Ho visto che ci sono state persone che hanno tentato un parallelo tra quello che è successo e il film dove Bob Roberts inscena un tentativo di omicidio per tentare di farsi eleggere. Mi sono sentito profondamente offeso perché sono due cose completamente diverse», commenta indignato. «Le persone sono perse nell’odio. Non c’è voglia di ragionare, non ci sono compassione né empatia. È una situazione pericolosa, lacerata. Bisogna tornare al confronto, alla comprensione reciproca, allo scambio di opinioni senza criminalizzare chi è di una idea contraria. Bisogna tornare a essere studenti. Oggi quando guardo i talk show ci sono tanti “esperti” che esprimono opinioni che poi ci portano alla deriva. Ecco, bisogna smettere di essere esperti e di tornare a studiare, continuare a imparare e apprendere dalle esperienze degli altri».

Hollywood non sembra rientrare, almeno per il momento, nei piani di Robbins. Nella Mecca del cinema non sembra esserci posto per un attore che era corteggiato dai più grandi registi: Altman, Scorsese, De Palma. «Cosa è successo?», si pone da solo la domanda. «Ci sono ancora bei film, ma è sempre più difficile raccogliere finanziamenti per produzioni che non hanno esplosioni, effetti speciali o supereroi. Ho molte storie da raccontare e sto aspettando il mio mecenate, il miliardario che mi vuole elargire i soldi. Nel mio lavoro il 90% delle decisioni le ho prese basandomi sulla qualità dei progetti, il restante 10% per pagare la scuola ai miei figli e per mantenere la casa dove vivo», ride.

Tim Robbins nella serie AppleTv “Silo” giunta alla seconda stagione

Se gli chiedete quale film preferisce fra quelli che ha girato, non vi risponderà mai Le ali della libertà, del quale quest’anno ricorre il trentennale, ma «con la risposta che mi dava Altman: “Guardo ai miei film come ai miei figli: do più amore a quelli che sono ignorati”». Così ricorderà La vita segreta delle paroleCodice 46 e Catch a Fire, «film di cui sono orgoglioso».

Non vedremo Tim Robbins sul grande schermo, ma sul piccolo sarà fra i protagonisti dei palinsesti di AppleTv, per la quale ha terminato di registrare la seconda stagione della serie Silo, e «spero in una terza». Nel frattempo, con il musical Topsy Turvy concilia le sue abilità di attore e di musicista. «È un musical costruito come una tragedia greca», spiega. «Ho iniziato a scrivere lo spettacolo all’inizio del lockdown più o meno nello stesso periodo in cui i teatri chiudevano. Mi chiedevo cosa avrebbe pensato Dioniso, il dio del teatro, di questo. Una volta che ci siamo isolati, siamo entrati nei nostri silos di pensiero che hanno esacerbato il problema della divisione che già esisteva nel nostro Paese. Quindi, volevamo fare qualcosa che speriamo potesse produrre una sorta di guarigione nel pubblico. E la guarigione avviene attraverso l’esperienza condivisa, la risata, l’emozione e un promemoria della nostra comune umanità».

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