– Sabato sera al Medimex di Taranto il debutto nazionale del “Wall of Eyes tour” di Thom Yorke e soci davanti a seimila spettatori. Il fotoracconto
– Appare sempre più lontana l’esperienza Radiohead: la nuova band cresce di numero (sono 4 sul palco) e con nuove composizioni
– Un caleidoscopio sonoro di jazz-rock galoppante, afrobeat nevrotico, terror-synths, punk, epigoni di krautrock, psichedelia e rock
C’è chi insegue il “tormentone”, il ritornello da canticchiare, la canzone per coro da stadio. E c’è chi non cerca riff, melodie ruffiane, non vuole piacere a tutti a ogni costo. Eppure, ai suoi concerti accorrono in migliaia. In ogni parte del mondo. Da New York a Londra, da Atene a Taranto, dove sabato sera, davanti a seimila spettatori che riempivano la Rotonda del Lungomare, ha debuttato il Wall of Eyes tour di Thom Yorke insieme con la sua nuova creatura: The Smile.
La prima sorpresa alla prima italiana (repliche oggi e domani a Roma), fiore all’occhiello dell’edizione 2024 del Medimex, l’International Festival & Music Conference promosso da Puglia Sounds, è che The Smile non solo sta piantando radici più profonde, ma cresce anche di numero. Thom Yorke e Jonny Greenwood hanno cominciato a suonare con Tom Skinner, batterista dei Sons of Kemet, per rimanere occupati durante la pandemia e hanno già pubblicato più musica in due anni di quanto i Radiohead abbiano fatto in quindici. Nel frattempo, si è aggiunto il sassofonista Robert Stillman che, dopo aver esordito nell’album Wall of Eyes, sembra parte stabile del gruppo.
L’irrequieto Greenwood una volta ha detto che desiderava che gli album dei Radiohead fossero «il 90 per cento buoni, ma uscissero due volte più spesso», e The Smile è un modo per esaudire il suo desiderio. Considerato che nello show di Taranto hanno presentato ben tre inediti: Instant Psalm, Don’t Get Started e Zero Sum.
La versatilità a ruota libera di The Smile è doppiamente impressionante dal vivo. Retroilluminati da un megaschermo a LED che sembra una metafora del titolo dell’album Wall of Eyes, mettono insieme jazz-rock galoppante, afrobeat nevrotico, terror-synths, punk, epigoni di krautrock, psichedelia e, sotto la luce stroboscopica di Bending Hectic, un classico inno rock a combustione lenta. Anche la strumentazione cambia da una canzone all’altra. Greenwood strappa un’orchestra di opzioni dalla sua chitarra e salta dal sintetizzatore al pianoforte all’arpa solo sulle sonorità folk di Speech Bubbles. Il sassofonista Robert Stillman aumenta l’intensità, in particolare nella maestosa nuova canzone Instant Psalm.
L’apertura acustica dell’omonima Wall Of Eyes con il cantato di Yorke che sembra lontano, risveglia sensazioni decisamente più calme e pacifiche, e a un certo punto pare far sorgere un nuovo mondo fino a frammentarsi in dissonanze crescenti. C’è la voce di Yorke che geme come un angelo nel limbo e stride come un punk che si è svegliato dalla parte sbagliata del letto. Ci sono sintetizzatori e svolazzi orchestrali obliqui di Greenwood che segnalano la fine dei tempi. C’è il battito afro, funk e jazz di Tom Skinner. In Thin Thing, Skinner stabilisce un ritmo più esplicitamente jazzistico mentre Yorke abbaia in un microfono che storpia la voce su riff maniacali e bassi tremolanti. Under the Pillows è un altro splendido esempio della fusione della voce di Yorke e dell’impeccabile musicalità: la chitarra di Greenwood si fa quasi arabeggiante.
Mentre i testi di Yorke sono il solito labirinto di sospetti, fobie e vendette, la sua energia tra le canzoni potrebbe quasi qualificarsi come allegra. Scambia qualche parola in italiano con il pubblico (la moglie, Dajana Roncione, è palermitana), si lamenta del caldo, dà il via all’inedita Zero Sum con un ringhio – «cazzo andiamo» – e frusta la folla a ruggire il ritornello finale di Friend of a Friend: è una canzone che porta inaspettatamente qualcosa del fascino rilassato di un album da cantautore dei primi anni Settanta – la splendida melodia è quasi in stile Paul McCartney – sottolineata da corde horror-movie spigolosamente discordanti e accompagnata dal sassofono di Stillman. «Tutti quei soldi, dove sono finiti?», canta Yorke. «Nella tasca di qualcuno. Amico di un amico. Tutti quegli spiccioli. Spiccioli».
Per tutti gli effetti elettronici – i toni spettrali del synth che ruotano intorno a Teleharmonic – il suono degli Smile sembra quello di una band che improvvisa divertendosi. Una sensazione amplificata dalla batteria di Skinner: è straordinario su Read the Room. Si avverte la sensazione che i musicisti si sentono liberi di volare lontano da aspettative, suonando nuovo materiale senza percepire la nostalgia dei fan per il repertorio dei Radiohead. Anzi, rispetto al concerto di due anni fa a Taormina, sembra scomparso dal vivo qualsiasi riferimento alla precedente esperienza. Per molti anni, ogni disco in cui Yorke sembrava una sorta di discussione, ripudio o strategia di fuga. The Smile segna una netta cesura dai Radiohead.
Nei bis vengono ripresi i due brani portanti del primo album, The Same e The Smoke, la seconda delle quali sembra più una canzone dei Sons of Kemet. La cover di Feeling Pulled Apart by Horses, canzone che Yorke scrisse nel 2009, e la ballata beatlesiana You know me!, guidata da un riff di pianoforte e da una batteria elettronica, chiudono due ore di musica riflessiva, sognante, meditabonda, cerebrale, psichedelica, energica, densa di sorprese e di contenuti. E, alla fine, la Musica, con la emme maiuscola, sorride.
The Smile è una band che accoglie ogni buona idea. È una esplosione creativa. È qualcosa di più di un progetto parallelo. È l’evoluzione avvincente dei Radiohead. E, forse, la pietra tombale del gruppo di OK Computer.