– Analisi del nuovo album della regina del pop, che non è certamente uno dei suoi lavori migliori, né nella produzione né nello storytelling. Riflette solo quello che è lo stato d’animo della cantautrice americana: una ritrovata serenità interiore in attesa dei fiori d’arancio il prossimo anno
Che Miss Taylor Swift sia un genio del marketing e una calcolatrice di tutto rispetto – d’altronde ci ha persino scritto una canzone (Mastermind in Midnights, 2022) – direi che. beh, è cosa nota persino a chi non la segue. Perciò, easter eggs su easter eggs, avendoci abituati ad annunci di qualunque tipo nel corso della sua carriera, non è stato poi così sorprendente che abbia scelto proprio New Heights, il podcast del fidanzato Travis Kelce e del fratello Jason per annunciare l’imminente uscita di TS12. Inoltre, anche a detta sua, qual è il modo migliore per far arrabbiare ancor di più gli americani fanatici del football che già non la tollerano quando viene inquadrata alle partite?
All’annuncio due sono le questioni che mi sono corse alla mente: la prima, se avesse mai anche solo contemplato l’idea di prendersi una meritata pausa; la seconda, se entrambe in una giornata viviamo lo stesso numero d’ore. Perché, sinceramente, dove diamine ha trovato il tempo materiale per scrivere, produrre e pubblicare due album a poco più di un anno di distanza mentre il tour del secolo era ancora in corso? Da fan di lunghissima data, ho sempre ammirato questo suo stacanovismo.
Alla fine dei conti, dunque, probabilmente ci stiamo chiedendo tutti la stessa cosa: se The Tortured Poets Department è uscito ad aprile 2024, questo nuovo disco era davvero necessario? Credo che la risposta, se la tua vita (sentimentale) cambia radicalmente in un anno, sia assolutamente sì. Anche se avremmo fatto a meno di alcune lyrics non proprio un must di raffinatezza.
L’amore, l’Eras Tour, la riacquisizione dei masters

Per la cantautrice questi ultimi anni sono stati un vero e proprio roller coaster di eventi e soprattutto di emozioni: in primis, la rottura dopo sei anni con l’attore inglese Joe Alwyn, fonte di ispirazione per gli album Reputation, Lover, Folklore, Evermore, Midnights (per questi ultimi tre l’attore ha persino collaborato sotto lo pseudonimo di William Bowery) e The Tortured Poets Department (So Long, London rimane una tra le sue tracce più lancinanti); la breve frequentazione con il problematico frontman dei 1975 Matty Healy su cui si basa una piccola parte dell’album dello scorso anno; fino all’endgame con Travis Kelce, il giocatore dei Chiefs con cui da settembre 2023 fa coppia fissa.
A questo proposito, nella puntata del podcast, in cui è stata ospite, Taylor non solo ha definito il compagno come «un punto esclamativo umano», ma ha anche scherzato sul fatto che, quando nel luglio del 2023 non gli era stata data la possibilità di incontrarla nel backstage del tour, in modo da consegnarle anche un friendship bracelet con il suo numero, «ne ha fatto un problema di tutti». Aggiungiamo poi che l’annuncio del loro fidanzamento su Instagram raccoglie più di 37 milioni di likes, 2,8 mln di repost e 10 mln di condivisioni; ed è stato inserito all’ottavo posto nella classifica tra i post con più mi piace.
L’uomo dei sogni che, come dichiarato da lei stessa in una delle recenti interviste per la promozione dell’album, ha disegnato l’anello insieme a Kindred Lubreck, avendo preso mentalmente appunti quando lei gli ha mostrato il profilo della designer di gioielli un anno e mezzo fa.
Tuttavia, oltre alla ritrovata serenità in ambito privato, sul piano pubblico la sua stella continua a brillare più che mai. Il The Eras Tour è stato infatti il tour con il maggior incasso di sempre e si è posizionato davanti a quello dei Coldplay, una delle band di maggior successo di questo secolo, e di un colosso della musica qual è sir Elton John.
Eletto “tour del secolo”, il guadagno che solo negli USA è stato di oltre 2 miliardi di dollari, l’ha resa, insieme agli incassi del film concerto (una smart businesswoman che ha bypassato le case di produzione, autoproducendosi il film, per poi venderlo direttamente alle catene cinematografiche) e al merchandising, l’unica artista ad essere diventata miliardaria solo ed esclusivamente grazie alla musica. Nessun profumo, nessuna linea di make-up o di abbigliamento.
Conseguenzialmente, proprio da questi profitti, la vittoria più grande che ha sancito la fine della faida con la sua ex casa discografica e con il manager Scooter Braun: la riacquisizione dei primi sei masters nel maggio di quest’anno, alla cui contrattazione con la Shamrock Holdings hanno preso parte Andrea e Austin Swift, rispettivamente madre e fratello minore della popstar. Un agognato e tortuoso traguardo che ha temporaneamente bloccato l’uscita degli ultimi due re-recordings, Reputation (2017) e Taylor Swift (2006); ma la cui battaglia è stata innalzata a portavoce per altri artisti internazionali che, ispirati dalla stessa Swift, si sono imposti per ricontrattare il possesso della loro arte con le case discografiche, le quali, smaniose di guadagno, ne ricavano un’altissima percentuale. Un altro punto a favore per la cantautrice che da anni si batte per i diritti degli artisti: basti pensare alla lettera inviata nel giugno del 2015 ad Apple Music o all’intera rimozione del suo catalogo da Spotify per tre anni.
Il sodalizio ritrovato con Max Martin e Shellback

Tutto questo culmina in questo nuovo disco, The Life of a Showgirl, uscito venerdì 3 ottobre – giorno perfetto per chi come me sa a memoria ogni singola battuta di Mean Girls – che mostra il dietro le quinte della sua vita durante il tour: fuori la showgirl per l’appunto, dietro una normale donna il cui unico desiderio è sempre stato quello di trovare l’amore vero e mettere su famiglia. L’artista stessa l’ha definito «il lavoro di cui va più fiera», spiegando come il suo mood attuale sia lo stesso felice e sereno di un anno fa, quando ha composto il disco in Svezia durante la leg europea. Sì esattamente, in Svezia. Perché, grazie al cielo, ci ha ascoltati e si è presa una pausa dagli storici collaboratori e amici Jack Antonoff e Aaron Dressner, i quali hanno scritto e prodotto insieme a lei gli ultimi album, tra cui lo stesso The Tortured Poets Department. E vi prego, lasciatemelo dire: seppur i testi siano sublimi e rientrino tra i suoi migliori capolavori, la produzione, per mio gusto personale, la trovo noiosa e piatta. Insomma, uno dei suoi dischi che mi piacciono di meno.
La produzione di The Life of a Showgirl è stata invece affidata al duo di produttori svedesi suoi mentori Max Martin (il maestro dietro ai primi pezzi di Britney Spear) e Shellback, con cui aveva già collaborato in Red (2012) – il mio album del cuore, quello con cui l’ho scoperta è che il mio preferito -, quel gioiellino di 1989 (2014) – la svolta definitiva al pop dopo il country – e in quello che a mio avviso è stato il suo progetto migliore in termini di marketing e strategia commerciale, Reputation. La conferma indiretta è arrivata dalla creazione di una playlist su Spotify con i loro precedenti lavori: “And, baby, that’s showbusiness for you”.
Questo sodalizio ritrovato, nonostante in parte abbia un pelino deluso le mie aspettative, ha portato ad una svolta fresca, leggera e finalmente ballabile: via la tristezza, via il cuore spezzato, basta (più o meno) con le insicurezze e le incertezze. Specifichiamo, tuttavia, che non c’è un pieno ritorno al pop sfavillante di 1989, poiché, dopo dieci anni, in mezzo ci sono altri lavori che hanno portato una diversificazione di questo progetto rispetto al resto. D’altronde, Taylor Swift ha fatto Taylor Swift: ogni album è una sorpresa e non sai mai cosa aspettarti.
Il film “The Official Realise Party of a Showgirl”
Il disco all’uscita è stato inoltre accompagnato anche da un film, presente nelle per tutto il weekend appena passato, che in Italia lunedì 29 settembre ha subito mandato in crash i siti di UCI Cinema e The Space. Nella pellicola ritorna l’intero cast del The Eras Tour, a partire dai ballerini che accompagnano l’artista nel music video di The Fate Of Ophelia, pubblicato su YouTube il 6 ottobre. In 89 minuti, insieme alla sola Taylor, si affronta un viaggio musicale in cui si canta e si spiega la creazione del disco e di ogni singola traccia. Appunto, il behind the scenes.
La recensione

Di questo album la prima sorpresa è certamente la diminuzione delle tracce: dai 23 pezzi di Midnights, alle 31 di The Tortured Poets Department The Anthology, a sole 12 canzoni. Da più di due ore di ascolto, a circa quaranta minuti. Niente versioni deluxe: per lei «è perfetto così com’è».
All’apertura, il primo singolo The Fate of Ophelia, una rivisitazione dell’Ofelia di Amleto. Nella tragedia shakespeariana Ofelia, figlia del ciambellano Polono, impazzisce per la morte del padre ad opera dell’amato Amleto e affoga in un corso d’acqua; al contrario Taylor, pur con alcune inesattezze narrative, paragonandosi alla donna, rivela gratitudine e sollievo al suo amato per averla salvata dal destino di Ofelia. Un espediente già utilizzato per Love Story (Fearless, 2008) dove Giulietta e Romeo hanno il loro lieto fine.
Tutto questo si concentra in un video musicale che alterna momenti di alta drammaturgia (il quadro di John Everett Millais o la sequenza della nave in tempesta ne sono un esempio) in un’estetica showgirl dagli anni ’20 e ’30 fino ad oggi, per poi posare nell’ultima scena in una vasca da bagno in riferimento alla morte del personaggio della tragedia di Shakespeare. A detta sua, adesso che ha molto più tempo libero, tra una sfornata di pane e un’altra (hobby che «avrebbe una donna del ‘700»), vorrebbe creare più videoclip.
I sei pezzi successivi che ne seguono risultano essere anch’essi tra i punti forti.
Elizabeth Taylor (attualmente la mia preferita), in cui confida come dietro il glamour si celi la paura di non riuscire a trovare il per sempre; e Opalite, che forse risulta quella più incisiva dopo la traccia d’apertura, un inno alla rinascita in cui «il fallimento porta alla libertà».
Father Figure, invece, è un esempio lampante della sua solidissima cultura musicale, poiché contiene un’interpolazione di Father Figure di George Micheal, a cui si riconoscono i crediti. Il pezzo è quasi certamente un riferimento a Scott Borchetta, proprietario della sua vecchia casa discografica, il quale aveva promesso alla giovanissima Taylor di essere una figura paterna, visto che, al momento della firma del contratto, era appena un’adolescente. La storia la sappiamo: lui l’ha tradita vendendo i master dei primi sei dischi a Scooter Braun che a sua volta li ha rivenduti alla Shamrock Holdings.
Eldest Daughter (in ogni suo album la traccia 5 è sempre quella più intima e introspettiva) e Ruin The Friendship risultano due piccoli fiori all’occhiello, specie nel significato che celano. Nella prima, tramite la rappresentazione di cosa significhi essere la figlia maggiore, racconta di come la percezione esterna del pubblico e dei giornali abbiano influenzato la sua vita sentimentale, portandola per lungo tempo a non credere persino più nel matrimonio. La seconda, in un ritorno ai tempi dell’adolescenza, una profonda riflessione sul rimpianto di non aver baciato la sua cotta del liceo per il timore di rovinare il solido rapporto di amicizia: forse un tributo, come in quel capolavoro di Forever Winter (Red, 2012), per il suo migliore amico del liceo che si è tolto la vita nel 2010.

Actually Romantic è stata certamente la più inaspettata, poiché è una lettera d’amore sotto forma di frecciatine verso una persona che della Swift pare ne abbia fatto un’ossessione: Charli XCX. La cantautrice inglese di Apple, che si è da poco sposata con il batterista dei 1975 George Daniel, il compagno di band di Matty Healy (quello di The Smallest Man Who Ever Lived per intenderci), l’avrebbe definita «una Barbie noiosa/quando la cocaina l’ha resa coraggiosa». E se del resto la scorsa estate è stata la protagonista della battaglia demure vs brat, adesso noi fan, consapevoli che nel cassetto teneva ben nascosto questo testo, guardiamo con occhi diversi (e molto divertiti) la nostra beniamina che si scatena insieme a Margaret Qualley sulle note di Von Dutch ai Grammys di quest’anno.
E a proposito di testi, Wi$h Li$t, Wood e Honey sono il motivo per cui credo avrebbe dovuto aspettare un pochino di più prima di far uscire il disco. Le tracks 8 e 11 sono le più deludenti di tutte: sappiamo che lo storytelling è il punto forte, e quindi, francamente, che diavolo è successo? Che voglia mettere su famiglia non mi scandalizza (direi sia anche ora che si smettesse di dire che se una vuole sposarsi e fare figli non è più femminista), anzi: beata lei che finalmente ha trovato l’uomo giusto! È che si deve ammettere che sia le produzioni sia i testi risultano alquanto banali, superficiali e poco curati. A differenza di Wood, una traccia che riprende i Jackson 5 e che, usando la superstizione come pretesto (“knock on wood”), in verità tra le righe nasconde un’allusione all’organo genitale di Travis. “His love was the key that opened my thights” (“il suo amore era la chiave che ha aperto le mie gambe”): da una che ha scritto pezzi di alta letteratura in musica, una frase così poco elegante mi sembra totalmente fuori contesto proprio in tutta la sua discografia.
Fortuna vuole che ci sia CANCELLED!, il cui beat del ritornello ricorda tantissimo Yellow Flicker Beat di Lorde (che pezzo, mamma mia), a cui credo si sia ispirata. Non solo, il sound è miscelato anche ad uno dei pezzi più iconici di Reputation, I Did Something Bad, tanto che potremmo dire che CANCELLED!, se non fosse stato inserito in The Life of a Showgirl, avrebbe potuto benissimo essere una vault tracks della Taylor’s version dell’album del 2017. Chissà se lo vedremo mai alla luce, almeno le vault tracks.
Ultimo e non per importanza, il titolo che dà il nome all’album, in collaborazione con un’altra grande showgirl dell’attuale industria, Sabrina Carpenter. Piantini a parte per via del sottofondo con i saluti dell’ultima tappa del tour a Vancouver nel dicembre dello scorso anno (vi prego riportatemi al mio 14 luglio), trovo sia stata un’occasione sprecata da ambo le parti: il testo, nella sua integrità e nel racconto di una showgirl fittizia di nome Kitty, è un buon spunto di riflessione sui lati oscuri della fama, e su quanto una donna debba sacrificare per rimanere in auge nello spietato mondo dello showbiz. Peccato però che il sound in sé non slanci e non prenda mai troppa vita, rimanendo stantio più su un’aria quasi nostalgica che, per altro, non rende molto distinguibili le voci delle due artiste.
In sintesi, non è ciò che ci si aspettava: il cambiamento è presente, si fa sentire ed è più vivo che mai. Le critiche, tuttavia, sono sempre alle porte: dov’è la Taylor storyteller che siamo abituati a conoscere, e perché il contenuto non rispecchia l’estetica scintillante e sfarzosa delle copertine? Eppure, il punto è proprio quello: l’esteriorità è ciò che pubblico e critica sono stati abituati a vedere durante le tre ore e venti del concerto, sul palco l’esagerazione di una star che sempre più è in ascesa; ma che dietro, invece, rivela e vive tutt’altro.
The Life of a Showgirl non è certamente uno dei suoi lavori migliori, non un capolavoro né nella produzione né nello storytelling. Riflette solo quello che è lo stato d’animo della cantautrice americana: una ritrovata serenità interiore in attesa dei fiori d’arancio il prossimo anno. E che soprattutto adesso è pronta a prendersi una bella lunga pausa così da ricaricarsi e rinnovare la sua arte.
