– Il concerto di venerdì sera al Troxy Theatre di Londra per la presentazione del nuovo album “Songs of a Lost World”
– Quasi tre ore di musica: nella prima parte le otto tracce del disco, poi un crescendo trascinante di successi
– Una parte dedicata ai 45 anni dell’album “Seventeen Seconds” e una lunga serie di bis per la gioia dei tremila spettatori
Gli Shows of a lost world saranno, anzi, sono stati soltanto due: il primo mercoledì presso la sede britannica della BBC, mentre il secondo venerdì sera ha avuto per scenario il Troxy Theatre, storico locale art déco nell’East London, addobbato per l’occasione con un tempo cupo e nuvoloso, con lampi e tuoni. E il suono di un temporale echeggiava nella sala già un’ora prima dell’orario concordato per lo spettacolo nel quale il sestetto dei Cure ha ripassato in ordine tutti i brani del nuovo album.
In tempi di prezzi dinamici, i tremila spettatori in sala hanno sborsato 56 sterline per l’ingresso (66 euro), poca roba in una città dove il costo della vita è molto alto. Altri 70mila (già oltre i 535mila sabato mattina) hanno seguito l’evento in diretta streaming gratuita su YouTube (dove è ancora visibile).
Gli otto brani del nuovo album hanno aperto una serata, divisa in tre parti, dove non sono mancati i più grandi successi della band. Un crescendo, dalla malinconia e dall’oscurità di Songs of a Lost World alla energia e alla brillantezza di Plainsong, Pictures of you, Just like heaven, Burn, Friday I’m Love, Boys Don’t Cry.
La band è salita sul palco con tutta la sua compostezza, e Robert Smith ha allargato le braccia prima di dare l’ordine di suonare Alone, la fine di tutte le canzoni che cantiamo, seguita da And Nothing is Forever e dal potente ritmo al basso di A Fragile Thing, mentre il pubblico seguiva lo spettacolo in reverente silenzio.
A 65 anni, cespuglio di capelli grigi, nero vestito e ombretto sugli occhi di ordinanza, Smith mantiene la stessa presenza sul palco senza bisogno di spostarsi. Spetta al suo compagno Simon Gallup, che per l’occasione indossa un cappotto leopardato, saltellare per il palco come un folletto. Al loro fianco la consueta formazione con Jason Cooper alla batteria, un portentoso Reeves Gabrels alla chitarra, tastiere nelle mani di Roger O’Donnell e Perry Bamonte, rientrati nel 2022 dopo essere stati espulsi nel 2005.
Se alcuni pezzi del nuovo album sono stati giù “rodati” nel tour dei quest’anno, è la prima volta che si ascolta dal vivo Warsong con una qualità del suono che i teatri più recenti invidierebbero. La batteria ha schiacciato lo spazio affinché la voce di Smith si librasse liberamente accanto a tastiere e chitarre distorte nella rock Dron: No drone. Struggente e ipnotica I Can Never Say Goodbye, il cuore dell’album. Mentre il ritmo torna a salire con All I ever am, avvolta in un accecante gioco di luci. I dieci minuti della stupefacente e drammatica Endsong chiudono la prima parte della serata con la luna rosso sangue che troneggiava sullo schermo gigante e tutto il pubblico in piedi ad applaudire.
Smith, che finora si era limitato solo a cantare, torna sul palco, salutando il pubblico e portando sorrisi con una serie di successi che hanno fatto dondolare la testa del pubblico al ritmo di brani popolari come Plainsong, Pictures of you, High, Lovesong, Burn, Fascination Street, A Night Like This, Push, In Between Days, Just like heaven, Disintegration, per poi aprire una finestra su Seventeen Seconds, album che compie 45 anni, con una selezione di cinque brani, fra cui Secrets, eseguita l’ultima volta dal vivo dal 2011. Un crescendo con una lunga serie di bis – fra cui Lullaby. The Walk e Close to me – che, come è consuetudine della band, hanno prolungato la performance oltre le due ore e mezza.
The Cure, comunque, torneranno sulla scena nel 2025 con un nuovo tour e con due nuovi album che hanno intenzione di pubblicare mentre all’orizzonte si celebra il cinquantesimo anniversario della band nel 2028, quando Robert Smith avrà 70 anni.