– Da tutto il mondo gli auguri per il compleanno dell’ormai leggendario studio catanese guidato da Daniele Grasso e Rosy Galeano: «Hey ragazzi, 25 anni di rock’n’roll a Catania, bellissimo»
– Manifestazioni d’affetto da Manuel Agnelli, Twilight Singers, Diego Mancino, Roberto Dell’Era, Giuliano Sangiorgi e Cesare Basile. Fu quest’ultimo a inaugurarlo con il disco “Closet Meraviglia”
– «Abbiamo un piede nella tradizione e uno nell’innovazione. E abbiamo una linea: facciamoci in casa una scena e degli artisti». Dai NiggaRadio e RadioSabir agli emergenti Tooma Elettrica e Nedo
– «Rispetto a quando siamo nati, oggi c’è più tv nella musica che musica nella tv. Prevale l’estetica, manca la cultura. Chi cerca altre strade non trova spazi. Si è perso il concetto dell’ascensore sociale»
Gli auguri sono arrivati da ogni parte del mondo. «Hey ragazzi, 25 anni di rock’n’roll a Catania, bellissimo», ha scritto Giuliano Sangiorgi dei Negramaro. «Le manifestazioni di affetto che ci sono pervenute ci hanno sorpreso. Venticinque anni di esistenza, nel panorama musicale nazionale, facendo scelte differenti dal normale e musiche “altre” non è un anniversario da poco: è una testimonianza di resistenza culturale e dedizione artistica. Siamo felici e anche un filo orgogliosi», commenta Daniele Grasso, produttore e sound engineer dell’ormai leggendario The Cave Studio, che il 7 febbraio del 2000 emetteva il primo vagito, diventando ben presto una fucina di creatività indipendente.
Fra gli auguri giunti non potevano mancare quelli di frequentatori eccellenti dello studio etneo, come Manuel Agnelli, Twilight Singers, Diego Mancino, Roberto Dell’Era e Cesare Basile. Proprio quest’ultimo “battezzò” The Cave registrando l’album Closet Meraviglia. «Pretese di iniziare a registrare il 7 febbraio perché è il giorno del suo compleanno», ricorda sorridendo Daniele Grasso. «C’erano Hugo Race, Marcello Caudullo, tutto il gruppo di lavoro di questa prima avventura che mi porterà molti feedback positivi».

Ma facciamo prima un flashback. Torniamo qualche anno indietro, quando Daniele Grasso, messinese «nato da mamma americana yankee e papà siciliano filopalestinese», dopo una adolescenza trascorsa da nomade fra New York, Norvegia, Danimarca, Svezia, torna in Sicilia per «pagare un debito a mio padre». Che, come tanti genitori, avrebbe voluto vedere il figlio laureato in filosofia, ma che si arrese quando Daniele gli dimostrò di poter vivere con la musica. Inizi come turnista, poi piccoli tour da solista, prima di far ritorno oltre Oceano per studiare corsi di improvvisazione e girare negli studi di registrazione per apprendere il ruolo del produttore. «A Filadelfia sono stato ospite di Quincy Jones», ricorda. «Lo seguivo al lavoro e gli portavo il caffè», ride. In America si immerge nelle roots, nelle radici del blues del Mississippi.
Verso la fine degli anni Novanta, rientra a Messina dove apre il suo primo studio di registrazione. E nel 1999 Taormina Arte gli ordina un’opera. «Quell’anno aveva commissionato dei lavori a tre musicisti differenti: Franco Battiato, Zubin Mehta e, con tutte le distanze del mondo, e il sottoscritto», racconta. «Ho fatto quest’opera in surround con un supporto teatrale. Finito il lavoro, penso di non restare più in Sicilia, quando mi chiama Enzo Velotto, caro amico di vecchia data. “Vieni a Catania che facciamo uno studio”, mi propone. Io avevo investito molti soldi in uno studio con vista sullo Stretto in una vecchia villa dell’Ottocento, però la città di Messina non rispondeva. Così ho accolto l’invito di Enzo».
Trovano uno spazio che si rivela ideale in pieno centro a Catania, in via Luigi Capuana. «Un seminterrato, anticamente usato come stalla, di un palazzo che era stato distrutto dall’eruzione di fine Seicento. Tiriamo subito su lo studio e un giorno incontro Cesare (Basile, ndr) che mi dice che stava facendo un disco. Ne parliamo e scopriamo di avere idee comuni sul tipo di suono. Ed è lui a fissare la data di apertura dello studio».
Sin dalla prime scelte, il progetto di Grasso segue percorsi alternativi. «Non volevo uno studio commerciale, ma che fosse in sintonia con alcune tendenze della nuova scena italiana», spiega. «Nei primi cinque anni abbiano avuto un grande riscontro che è continuato fino a oggi». Afterhours, Greg Dulli, Twilight Singers, John Bonnar, Hugo Race, John Parish, Roy Paci, Diego Mancino, Roberto Dell’Era e molti altri hanno scelto di scendere a Catania per registrare al The Cave, consolidando la sua reputazione come crocevia di suoni e visioni artistiche.

«Manuel Agnelli era rimasto colpito positivamente da alcuni provini di Cesare, dal tipo di idea del suono», ricorda Daniele. «Era sceso a Catania per produrre un brano a Cesare ai tempi di Gran calavera elettrica e mi arrivò la sua chiamata: “Ma tu lo faresti un disco con gli After?”. E io: “Manuel però io non sono un fan”. Non che non mi piacessero, ma non conoscevo bene il loro percorso. “Non ci sono problemi”, fa lui. È nato così Ballate per piccole iene ed è stato un disco fortunatissimo. Era venuto per registrare due o tre brani, poi l’atmosfera dello studio, la città, la qualità del lavoro probabilmente, lo portarono a finirlo tutto qui. E da lì sono arrivati Jon Parish che ha fatto due dischi, poi è venuto Hugo Race, Greg Dulli e così via».
L’idea di The Cave è quello di «uno studio che ha un piede nella tradizione e uno nell’innovazione. Rigorosamente analogico», sottolinea Daniele Grasso. Questa direzione ha dato vita a progetti che fondono con audacia il blues delle radici con la musica gnawa, l’elettronica e le tradizioni dialettali del Mediterraneo. Band come NiggaRadio hanno riscosso unanimi consensi, diventando punta di diamante di un movimento in continua espansione, seguito da formazioni come RadioSabir e Niura. Non è un caso che alcuni critici abbiano coniato per questa corrente musicale l’evocativa espressione “From Simeto to Mississippi”, un motto che è divenuto manifesto della connessione tra radici locali e sonorità globali.

- In questi 25 anni come è cambiata la scena musicale catanese?
«Non vorrei essere disfattista, però la città paga lo stesso prezzo che paga la nazione. Sembra si sia lavorato all’azzeramento delle culture normali, figurati di quelle alternative. Tanti ragazzi hanno molta superficie e poca profondità. Puoi trovare facilmente musicisti che si muovono dalla musica degli anni ‘70 sino a quella del 2030 e che tecnicamente sono estremamente interessanti, ma con il vuoto assoluto alle spalle. Solo un quarto di quello che gira musicalmente ha qualcosa di interessante da dire. Io credo che la scena vada ricostruita. Non perché non ci sia la qualità, quello che manca sono gli spazi per farsi conoscere. Poi c’è la questione dell’estetica che oggi è diventata importante. Ti faccio due esempi e sono le due kermesse italiane più seguite: Sanremo e, in minor misura, il concerto del Primo Maggio. Tutte e due non fanno altro che richiedere personaggi spendibili televisivamente. Una band che sceglie di fare una strada differente incontra gravi difficoltà. E spesso ciò comporta depressione, rinunce. Portare avanti un progetto diventa una grande sfida. E questa città non sempre la sta vincendo».
- Gegè Telesforo in una intervista ha detto che «c’è molta tv nella musica e poca musica in televisione».
«Assolutamente vero. L’ultimo che mi ricordo che in tv faceva musica a un certo livello era Renzo Arbore con “Doc”. Forse c’è ora Enrico Ruggeri con “Gli occhi del musicista” e sembra che sia stato subissato dalle richieste di centinaia di musicisti che cercano uno spazio di quel tipo. È un segnale. C’è chi non vuole arrendersi alle logiche delle cover band, delle tribute band, della canzonetta in una determinata maniera, del finto trapper che non dice nulla e che probabilmente sarebbe stato bocciato alla scuola media di qualche decennio fa. Una volta, Catania mi sembrava nel Meridione una di quelle città che aveva attivato un ascensore sociale per il quale non restavi confinato nella fetta di economia che la tua famiglia aveva messo già in moto, e anche la musica aveva un ascensore sociale. Questo mi sembra sia venuto a mancare, per cui per differenze sociali o generazionali, si resta bloccati in gruppi di comodo, in piccole enclave, dove si dicono fra loro: “Eh siamo bravi ma il mondo non ci capisce”. Oppure si resta limitati a quelle che a Catania vengono definite “cumacche”, cerchi molto ristretti».
- In questo scenario, quali sono le prospettive per The Cave?
«Con Rosy Galeano (la studio manager, ndr) ci siamo dati una linea: facciamoci in casa una scena e degli artisti. A marzo dovrebbe uscire il primo disco di Tooma Elettrica, c’è un interessantissimo giovane musicista che ha una visione nuova del cantautorato, è un friuliano che ha deciso di restare a Siracusa dove ha una zia. Si chiama Nedo. Ha registrato già due singoli e sta lavorando a un disco intero. Ogni tanto sembra Jannacci che però ha conoscenza del songwriting americano, da Dylan a Jack White, e sa tutto del beat e del pop italiano come se avesse sessant’anni, quando ne ha meno della metà. Stiamo lavorando in maniera anacronistica, perché ci prendiamo mesi e mesi, anche un anno, per la maturazione di questi giovani artisti. Oggi l’industria discografica non dà più il tempo di crescere. Penso a Diego Mancino, del quale quest’anno ricorre l’anniversario del disco Cose che cambiano tutto che ha fatto con me. Lui è un artista enorme, la sua etichetta, dopo due album, ha deciso che avrebbe fatto solo l’autore, piegandolo a scrivere per Giusi Ferreri, Noemi, perché ci deve vivere. Perché tutto deve essere masticato e digerito in tempi brevissimi, e immediatamente è necessario sostituirlo con un’altra cosa. Che è la logica dei talent».
Ieri sera, in via Luigi Capuana, sono state stappate bottiglie di champagne per festeggiare l’anniversario, ma le celebrazioni continueranno per tutto l’anno, con pubblicazioni e appuntamenti “live”. Il primo è fissato per il 30 marzo al Centro Zo di Catania, al quale parteciperanno alcuni amici ospiti come Diego Mancino, Roberto Dell’Era, RadioSabir, NiggaRadio original e altri ancora.