– Dal 20 marzo al 6 luglio al Palazzo Reale di Napoli, per la prima volta, la storia di uno degli artisti più amati della musica italiana viene raccontata attraverso un ricco repertorio
– L’esposizione è suddivisa in due parti e in nove aree tematiche e svela il lato pubblico e privato del “mascalzone latino”. «È un invito al pubblico a guardarsi dentro, a ragionare»
La musica di Pino Daniele era spirituale, come la definì Wayne Shorter, leggendario sax dei Weather Report, e “Spiritual” è il titolo della mostra che il Palazzo Reale di Napoli ospiterà dal 20 marzo al 6 luglio nell’ambito delle celebrazioni per i 70 anni di Pino Daniele. È un progetto culturale che «intende rievocare le origini del mondo artistico di Pino Daniele, la sua dimensione trascendente e il suo lascito socio-culturale». Per la prima volta, la storia del “Mascalzone Latino” viene raccontata attraverso un ricco mosaico di contenuti audiovisivi, pubblici e privati, materiali d’autore e amatoriali, documenti inediti, oggetti personali e strumenti che lo hanno accompagnato nel suo percorso creativo.
«La mostra si apre con mio padre in video che parla di Eduardo De Filippo e di come si sentisse parte di una Napoli eduardiana», annuncia Alessandro Daniele, figlio del musicista e presidente della Fondazione Pino Daniele. «Il lavoro che stiamo svolgendo sulla mostra è un profondo senso di ricerca, che si riflette in questo suo moto di dare un senso profondo a quello che uno fa, come artista con le opere che ha lasciato, ma anche come uomo, è un invito al pubblico a guardarsi dentro, a ragionare».

Ogni elemento esposto è una tessera che contribuisce a delineare il ritratto di un artista e di un uomo, la cui eredità va ben oltre la musica. Un’esposizione inedita con installazioni scenografiche, rarità concesse per l’occasione dalla Fondazione Pino Daniele e materiali originali, molti dei quali esposti per la prima volta, che documentano l’intera esperienza musicale ed umana dell’artista.
La mostra, nella Sala Plebiscito e nella Sala Belvedere di Palazzo Reale, è suddivisa in due parti e in nove aree tematiche. La prima parte ripercorre la storia di Pino Daniele dal 1955 al 1977, anno di pubblicazione del suo primo album, Terra mia, impreziosita dalle ricostruzioni scenografiche della sala prove (la “Grotta” di tufo, punto di riferimento per suonare e fare ricerca musicale) e di un tipico live club notturno di Napoli degli anni ’70, luoghi che contestualizzano gli esordi del musicista, consentendo ai visitatori di attraversare varie epoche e di interagire con la sua magia.
La seconda parte, invece, narra in maniera intima e completa la sua vita e la sua carriera dal 1977 al 2014 attraverso un percorso cronologico che intreccia la sua evoluzione musicale e personale con un focus sugli incontri, sulle collaborazioni e sulle produzioni musicali.

La mostra, spiega Alessandro Daniele, «è un progetto di ricerca, come lo erano i suoi album, che erano tutti progetti di ricerca musicale. In questo caso, anche la mostra è un progetto di ricerca sull’uomo, sull’artista, ma anche un invito a riflettere, a ragionare, a pensare, a guardarci dentro sulla nostra identità culturale. È un invito a essere più spirituali, più profondi. Il legame con Napoli? Lo ha sempre raccontato, anche quando si è trasferito fuori città ha sempre raccontato la sua Napoli, quello che era la città che gli era rimasta nel cuore e nella testa».
«Questa ricca esposizione vuole trasmettere alla collettività il patrimonio artistico e morale di Pino Daniele, con l’obiettivo di far conoscere la sua figura alle nuove generazioni, affinché possano trarre ispirazione dal suo impegno, la sua coerenza, l’ineguagliabile talento e la genialità», -aggiunge l’organizzatore e curatore della mostra, Alessandro Nicosia. «La mostra offre numerosi inediti e narrazioni, capaci di far emergere da un lato l’uomo e le sue radici, dall’altro il suo straordinario percorso artistico, arricchito dalle collaborazioni con incredibili talenti del panorama musicale nazionale e internazionale che lo hanno sempre amato e sostenuto».

«Palazzo Reale, reggia borbonica unica nel suo genere, posta nel cuore della città, non può restare indifferente a tutta la vita che la città gli fa girare intorno, e gli riversa dentro», riflette la direttrice delegata della struttura, Paola Ricciardi. «Oggi, a 10 anni di distanza da quel 2015, diventa anche luogo di una mostra che è racconto, memoria, tributo prezioso a chi quella città, forse più di chiunque altro in questi nostri anni, l’ha saputa capire e far capire, con tutte le sue complessità e contraddizioni».
«Pino Daniele è nato in questa piazza, quando il 19 settembre del 1981 si autoconvocarono duecentomila napoletani per ascoltare la sua musica», – ricorda Federico Vacalebre, giornalista del quotidiano “Il Mattino”. «La stessa nella quale gli abbiamo detto addio».
«La musica ha un intenso potenziale narrativo, proprio come tutte le arti che tradizionalmente abitano i musei», conclude Massimo Osanna, direttore generale Musei Ministero della Cultura. «Pino Daniele, con il suo linguaggio unico, ha saputo rappresentare l’identità di una città, di una regione, di un intero Paese. Cantando la lingua di Napoli, l’ha trasformata nella lingua del mondo, mescolando il blues con le radici mediterranee, la musica nera con l’anima più autentica della sua terra».