– La figlia del celebre scrittore di Brooklyn, morto lo scorso aprile, teme che con la vittoria di Donald Trump il suo Paese possa diventare come quello del romanzo “The Handmaid’s Tale”
– “Milk for Ulcers” è il titolo del suo nuovo album, che alterna gioia per la nascita di una figlia e la storia d’amore con il marito al dolore per le tragedie che hanno colpito la sua famiglia
Milk for Ulcers, latte per ulcere, così Sophie Auster ha intitolato il suo nuovo album, un lavoro a cottura lenta concepito mentre la luce di suo padre, lo scrittore Paul Auster, si affievoliva lentamente fino a spegnersi lo scorso aprile nella sua amata Brooklyn. Non è stato l’unico momento buio di quest’ultimo periodo per la cantautrice, che nel 2021 ha visto morire il fratello e la nipote e, più recentemente – martedì mattina – ha dovuto digerire la seconda vittoria elettorale di Donald Trump, al quale ha dedicato la canzone No country for orange men nel 2020, esprimendo tutto il suo rifiuto nei confronti del magnate e di ciò che rappresenta.
«Sto pensando di lasciare il Paese se diventa come The Handmaid’s Tale (1)», confessa la figlia d’arte commentando il risultato elettorale che ha vissuto «come un’altra morte». «Speravo che la gente capisse la posta in gioco, perché toglieranno i vaccini, renderanno illegale l’aborto con mezzi federali… Mio padre, se fosse stato ancora in vita, avrebbe avuto il cuore spezzato».
L’album Milk For Ulcers uscirà nel 2025, a metà aprile di quest’anno, Sophie Auster aveva finito nove dei dieci brani. Ne mancava solo uno, che voleva dedicare a suo padre, lo scrittore Paul Auster, che dopo l’ultimo controllo in ospedale (da mesi stava lottando contro un cancro ai polmoni) aveva deciso di sospendere il trattamento. «Una settimana prima di morire, mi ha chiesto di finirlo per poterlo ascoltare», ricorda la compositrice, cantante e modella. «Così mi sono seduta a scrivere contro il tempo. Ho lavorato sotto molta pressione, perché non avevo un ritornello che esprimesse bene quello che sentivo. Doveva essere una canzone emozionante, ma non così tanto da farmi crollare ogni volta che la interpretavo».
Il titolo dell’album dice tutto. È nato dopo una conversazione a tavola sui rimedi vecchio stile per vari disturbi: «Mentre il latte può alleviare momentaneamente il dolore di un’ulcera, può effettivamente peggiorarla». L’ironia è ovvia, ma cosa fare con le ferite e come guarirle è un enigma irrisolto a cui Auster si rifiuta di rispondere con dei cliché. Il latte per le ulcere, dice, «si tratta di chiudere le ferite aperte, anche se alcuni dei trattamenti sono solo temporanei».
Il risultato è un cocktail di emozioni, tragedia e gioia, perdita e conquista, buio e luce, morte e nascita (di una bambina in lo scorso gennaio). Al “prima” delle tragedie appartengono canzoni luminose e orecchiabili, come il ballabile Heartbreak telephone ed il singolo Look what you’re doing to me dedicato a suo marito e «alleato nei momenti più difficili», il fotografo Spencer Ostrander). «È una canzone d’amore. Parla dei primi giorni della nostra relazione e l’eccitazione che inevitabilmente deriva dall’innamoramento», racconta Sophie. «La frase “you’re like the falling snow/changin the world I know” è stata ispirata da una bellissima lettera che un fan ha inviato a mio papà in occasione dell’uscita del suo ultimo libro Baumgartner. Descriveva la lettura del libro come un cambiamento del mondo intorno a lui, comparandolo ad un paesaggio famigliare che improvvisamente viene ricoperto dalla neve. Penso che innamorarsi sia la stessa cosa».
Dall’altra parte della barriera, nel “dopo”, troviamo Reason why, Don’t ask me what I do e Blue team, la accorata canzone espressamente dedicata al padre, che non voleva vederla triste come lei stessa ricorda nel brano.
«Penso che siano facili da riconoscere», dice. «Non volevo che il disco suonasse piatto o deprimente, ma come il processo attraverso il quale qualcuno che ha subito una perdita cerca di essere di nuovo felice. Sai? Con questo disco ho scoperto che, nei momenti peggiori, c’era qualcosa dentro di me che mi spingeva ad aggrapparmi alla vita con più forza».
«È il mio album più intimo, ma così pieno di sentimenti condivisi», continua Sophie. «Nell’era degli algoritmi, dell’intelligenza artificiale, delle emozioni confezionate e delle capacità di attenzione di trenta secondi, la mia musica vuole offrire agli ascoltatori un altro mondo, nel quale i sentimenti condivisi sono al centro della scena. Le canzoni raccontano storie sui suoi dolori e gioie, sono tutte emozioni che gli umani hanno provato ad un certo punto della loro vita: perdite, tristezza, rabbia, eventi che non possiamo controllare, emozioni che le persone condividono e alle quali – con fatica – trovano un senso, nonostante il rumore assordante della cultura dei media che fabbrica solitudine, non comunione».
Milk for Ulcers può essere considerato il miglior disco della sua carriera, che è iniziata all’età di 16 anni con esibizioni nei club di Manhattan in compagnia di artisti della sempre vibrante scena newyorkese. Se nel suo lavoro precedente, Next time, flirtava con il soul degli anni Settanta, qui risuonano echi degli anni Novanta passati attraverso il suo stesso filtro -già inconfondibile- di influenze europee e folk alternativo, senza rinunciare, ovviamente, a quella libertà jazzistica che ostenta nei suoi spettacoli dal vivo. «Mi piace pensare che il mio stile sia in realtà un mosaico che mi porta in molti luoghi diversi e mi permette di evolvere», conclude Sophie Auster.