Storia

SEAN BAKER: la mia Anora è un po’ italiana

– Il regista premiato con l’Oscar confessa di essersi ispirato alle lolite interpretate da Ornella Muti piuttosto che a “Pretty Woman” o “Cindarella”. «Fellini, Monicelli, Wertmüller e Dino Risi i miei modelli»
– Il successo del film rappresenta la vittoria del cinema indipendente americano e della commedia: pur essendo un film che fa ridere, ha fatto man bassa di tutti i premi da Cannes a Los Angeles
– «Il pubblico ha più bisogno di storie reali, umane, tangibili dove si possa rivedere: storie attraverso cui creare empatia con i personaggi.  Di supereroi ne abbiamo fin troppi»

C’è una regola non scritta nei festival internazionali come Cannes, Venezia e Berlino: film che fa ridere non vince. Una cosa che sposa in pieno l’idea, piuttosto comune, secondo cui c’è più arte nel dramma che nella commedia. Anora di Sean Baker smentisce tutto questo. Da Cannes a Los Angeles ha rastrellato ogni premio in palio, fino a trionfare nella notte delle Stelle con cinque statuette.  Eppure, il film in Italia è passato nelle sale quasi in sordina. È accaduto alla prima in novembre e adesso al suo ritorno nelle sale dal 20 febbraio. L’Oscar potrebbe favorire una ripresa. 

Anora rappresenta anche il successo del cinema indipendente americano e di un regista relativamente giovane, 53 anni, che ha anche sceneggiato, co-prodotto e montato il film ed è autore di quell’opera straordinaria che è Red Rocket. E se il protagonista allora era Mikey Saber, ex pornostar superdotato che decide di tornare nella città natale di Texas City, qui sempre di sesso si tratta, con la storia di una spogliarellista di 23 anni che vive a Brighton Beach, un quartiere di lingua russa a Brooklyn. 

Chi è mai Anora (Mikey Madison)? È una volenterosa sex worker di Brooklyn, che si ritrova, da un giorno all’altro, un cliente giovanissimo e ricchissimo: Yvan (il bravissimo Mark Eidelstein), un ragazzo filiforme e totalmente “schizzato” tra musica, coca ed alcol. Niente farebbe pensare che sia così ricco, ma quando la giovane escort entra nella sua casa su tre piani con piscina e palestra scopre che è davvero ultramiliardario. La loro storia continua per un po’ come un rapporto sessual-commerciale, (Yvan offre ad Ani 15mila dollari per una settimana di compagnia), ma poi il ragazzo si innamora o meglio si incapriccia di Anora e la sposa a Las Vegas. E qui entrano in scena i russi che, con la loro particolare cadenza, sono sempre stati al cinema un volano di comicità. La ragazza poco a poco scopre che la vita quotidiana di questo adolescente è quella del figlio ultra-viziato di un oligarca russo, un ragazzino che pratica sistematicamente saturnali tra alcolici e droga.

Il matrimonio non si doveva fare. E questo è l’inizio dei guai. L’evento ha colpito infatti gli interessi della famiglia di Yvan con sede a Mosca, ma che ha un avamposto di criminali “da operetta” capeggiati da un sacerdote ortodosso (Karren  Karagulian) e con in squadra anche Jurij Borisov e Mark Eydelshteyn. 

«Molti hanno trovato dei punti in comune tra Anora e Pretty Woman, o addirittura Cindarella, ma è con le lolite interpretate da Ornella Muti all’inizio della sua carriera che sento d’avere una maggiore affinità cinematografica». E poi aggiunge: «È importante analizzare cos’è il lavoro sessuale in questo momento e come si applica alla società capitalista. È un lavoro come un altro che dovrebbe essere rispettato e allo stesso tempo depenalizzato e non regolamentato in alcun modo, perché riguarda il corpo di una prostituta e sta solo a lei usarlo per il proprio sostentamento». 

Sean Baker non nasconde la sua passione per il cinema italiano, dal quale ha trovato spunti per scrivere e dirigere il suo film. La protagonista Ani ricorda molto, in effetti, l’adolescente interpretata da una Muti appena sedicenne nei film dello spagnolo Eduardo Fajardo. Lolite che, attraverso il grande schermo, sono diventate icone senza tempo: ammaliate da sogni destinati a un risveglio ben differente da quanto immaginato. Ma anche il Neorealismo italiano, rivendica Baker, ha avuto una sua influenza nel processo di creazione di Anora, nel disegnare sia Ani (Mikey Madison), ballerina erotica americana d’origine russa esperta in lap-dance, sia il ruolo di Ivan (Mark Eydelshteyn), figlio giovanissimo di un magnate russo, entusiasta della ragazza e dei suoi molti talenti tanto da sfruttare le ricchezze del padre per regalare alla giovane una “fiaba” che non si rivelerà  tale.

«Ho visto più volte Le notti di Cabiria di Fellini per studiare il personaggio interpretato da Giulietta Masina; poi La ragazza con la pistola di Monicelli con Monica Vitti. E, più in generale, ho seguito con molta attenzione le pellicole di Lina Wertmüller e gli antieroi di Dino Risi. Di ognuno di essi, c’è qualcosa nel mio film», confessa il regista. 

Tutto il cast del film “Anora”

Un altro aspetto alquanto originale di Anora è la presenza, sulla scena e dietro le quinte, di cast e crew di diverse nazionalità: russi, ucraini, armeni, oltre che americani. Una scelta suggestiva alla luce di un momento storico segnato dalla sanguinosa guerra fra Russia e Ucraina. Ma «una scelta che non ho mai forzato», precisa Baker. «Il mio più grande orgoglio è il casting. Grazie al loro incredibile talento è diventato tutto possibile. Penso che questa variegata diversità sia naturale quando sei pronto a lavorare con persone di talento. Il background non conta, conta quanto valore aggiunto si possa dare al tuo progetto in termini qualitativi». Il retroterra nazionale, prosegue, è in realtà «una cosa alla quale non ho mai pensato». Così come non ha peso, nelle sue parole, la differenza d’età: «Basta ragionare sul fatto che normalmente il rapporto uomo-donna sui miei set, in alcuni film passati, era 30-70, ben lontano da ciò che Hollywood ha rappresentato per  lungo tempo come una sorta di boys club poco disponibile ad  aprirsi a chi esce dagli schemi. Ma io sono indipendente, distante da questo sistema»,

Un sistema che, secondo il regista nato nel New Jersey e cresciuto a New York, è sempre più focalizzato del resto sui blockbuster. «Quando ci sono in gioco grandi budget, la pressione sui registi per “fare bene” è altissima; ma cosa si intende per “bene”? Fare un film con l’obiettivo di vendere più biglietti possibile? Io credo che il pubblico abbia semmai più bisogno di storie reali, umane, tangibili dove si possa rivedere: storie attraverso cui creare empatia con i personaggi.  Di supereroi ne abbiamo fin troppi».

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