– Con notevole ritardo gli U2 prendono posizione contro il governo di Benjamin Netanyahu con una dura dichiarazione. A Wembley il prossimo 17 settembre l’evento ideato da Brian Eno “Together For Palestine”, il giorno dopo una iniziativa simile a Firenze lanciata da Piero Pelù
Con un notevole e colpevole ritardo, gli U2 hanno finalmente rotto il silenzio sul massacro di Gaza con un’ampia dichiarazione, che include interventi individuali dei suoi quattro membri, in cui condannano le azioni militari del governo israeliano di Benjamin Netanyahu. La band irlandese, che finora era rimasta fuori dal conflitto e aveva ricevuto critiche per questo, denuncia il blocco degli aiuti umanitari, mette in guardia contro la possibile «occupazione militare» di Gaza e accusa l’esecutivo israeliano di intraprendere azioni «categoricamente immorali» e «brutali» contro la popolazione palestinese. «Non siamo esperti di politica della regione, ma vogliamo che il nostro pubblico conosca la nostra posizione», inizia il testo.
La presa di posizione degli U2

Il più eloquente e duro è il leader, Bono, che tuttavia fa attenzione a non usare la parola “genocidio”, come gran parte di chi soltanto ora – compreso il governo italiano – si sta accorgendo della tragedia palestinese, a due anni dallo scoppio delle belligeranze. Il leader degli U2 abbozza un debole “mea culpa”, riconoscendo di essere rimasto «lontano dalla politica del Medio Oriente» e di aver «evitato la questione» a causa della sua «incertezza di fronte a un’evidente complessità».
«Il governo israeliano guidato da Benjamin Netanyahu merita oggi la nostra condanna categorica e inequivocabile. Non c’è giustificazione per la brutalità che lui e il suo governo di estrema destra hanno inflitto al popolo palestinese… a Gaza…», scrive il cantante. Condanna anche l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, che definisce «diabolico», ma fa una distinzione tra il gruppo islamista e il popolo palestinese, «un popolo che per decenni ha subito emarginazione, oppressione, occupazione e furto sistematico della terra».
Approfitta del testo per fare una feroce critica al pensiero di estrema destra che può finire, spiega, in «guerra mondiale e millenarismo». «Il governo di Israele non è la nazione di Israele», continua Bono, ma avverte che l’attuale deriva politica può isolare e degradare moralmente il Paese: «Quello che un tempo era un’oasi di innovazione e libero pensiero è ora soggetto a un fondamentalismo forte come un machete? Gli israeliani sono davvero disposti a lasciare che Benjamin Netanyahu faccia con Israele ciò che i suoi nemici non sono riusciti a fare negli ultimi 77 anni?».

Il cantante riafferma anche il suo sostegno al diritto di Israele di esistere e a una soluzione di due Stati, esprimendo solidarietà anche con gli ostaggi che rimangono ancora nelle mani di Hamas. La band, inoltre, annuncia una donazione alla ONG Medical Aid for Palestinians e sollecita l’ingresso di centinaia di camion di aiuti quotidiani per soddisfare i bisogni più urgenti e indebolire così il mercato nero.
I testi degli altri tre membri, The Edge, Adam Clayton e Larry Mullen Jr, sostengono il pensiero del cantante. The Edge interpella direttamente Netanyahu con tre domande sulla devastazione a Gaza, il rischio di pulizia etnica e l’assenza di un piano politico oltre l’occupazione, ricordando che la pace non si impone con la forza. Adam Clayton critica il fatto che un esercito capace di attacchi di precisione bombardi indiscriminatamente le aree civili e avverte che la colonizzazione della Striscia chiuderebbe per sempre qualsiasi via di pace. E Larry Mullen Jr. denuncia la carestia e la distruzione degli ospedali come «disumane e criminali», lamenta la scarsa indignazione internazionale e riafferma che sia gli israeliani che i palestinesi hanno diritto a uno Stato tutto loro.
La dichiarazione di U2 si inserisce in un contesto in cui il blocco quasi totale di cibo, medicine e carburante lascia la striscia in una situazione di carestia critica, che gli esperti delle Nazioni Unite e di altre organizzazioni internazionali hanno descritto come intenzionalmente indotta. Almeno 127 persone sono morte di fame e più di 100.000 bambini, tra cui 40mila neonati, sono sotto «minaccia di morte», secondo le informazioni del governo di Gaza. Inoltre, il recente annuncio di Netanyahu sull’occupazione militare di Gaza, che minaccia di espellere un milione di civili e con cui il settore umanitario prevede conseguenze catastrofiche, tra cui un aumento delle morti civili, ha intensificato le critiche internazionali.
L’intervento della band irlandese risuona non solo per il peso culturale dei suoi membri, ma perché fino ad ora avevano mantenuto una posizione più che discreta che aveva sollevato critiche, soprattutto rivolte al leader, Bono. Nel caso della loro storia, gli U2 hanno collegato la loro musica a cause come la lotta contro l’apartheid, il condono del debito estero dei Paesi poveri o la battaglia conto l’AIDS, e hanno usato la loro visibilità per promuovere dibattiti politici e sociali. Il loro ingresso nella discussione su Gaza, sebbene tardivo, aggiunge una voce influente a un coro globale di critiche che include leader religiosi, artisti, accademici e oltre 100mila manifestanti israeliani che, lo scorso 9 agosto, hanno chiesto la fine della guerra a Tel Aviv.
“Together For Palestine” a Londra

Insomma, nel rock finalmente qualcosa si muove. Il prossimo 17 settembre alla Wembley Arena di Londra, promosso da Brian Eno, si terrà Together For Palestine. Fra i primi ad aderire all’iniziativa sono stati Damon Albarn, Bastille, Cat Burns, Greentea Peng, Hot Chip, James Blake, Jamie xx, King Krule, Mabel, Obongjayar, Paloma Faith, Rachel Chinouriri e Sampha.
Accanto a loro, il contributo diretto di artisti palestinesi come Adnan Joubran, Faraj Suleiman e Nai Barghouti, voci e suoni capaci di incarnare l’identità culturale di un popolo oppresso da decenni di violente politiche colonialiste. Non mancheranno performance uniche e collaborazioni inedite, con Rina Sawayama, PinkPantheress e Riz Ahmed con set realizzati ad hoc.
Prodotto esecutivamente da Eno insieme a Khaled Ziada, Khalid Abdalla e Tracey Seaward, l’evento punta a «mandare un messaggio di amore e solidarietà al popolo palestinese, che non è stato dimenticato», come ha dichiarato l’artista britannico. I proventi saranno interamente devoluti a partner palestinesi attraverso la charity Choose Love, impegnata in prima linea nell’assistenza umanitaria a Gaza e in Cisgiordania.
Per Brian Eno, il silenzio equivale a complicità: «Gli artisti hanno sempre aiutato le società a denunciare le ingiustizie e a immaginare futuri migliori. È il momento di unirci, alzare la voce e riaffermare la nostra umanità condivisa».
È probabile che l’appello di Brian Eno abbia convinto Bono & soci a rompere il silenzio e prendere una posizione contro il governo israeliano.
“S.O.S. Palestina!” in Italia

Un evento simile a Together For Palestine è stato lanciato in Italia da Piero Pelù: il 18 settembre a Firenze si terrà S.O.S. Palestina! per raccogliere fondi a sostegno delle attività di Medici Senza Frontiere in Palestina. Il concerto, che si svolgerà all’Anfiteatro delle Cascine, vedrà la partecipazione di numerosi artisti, tra cui Afterhours, Bandabardò, Emma Nolde, Fast Animals and Slow Kids, Ginevra Di Marco, Tre Allegri Ragazzi Morti, e altri.
L’iniziativa è patrocinata da diverse realtà culturali e supportata anche da Zerocalcare, che ha realizzato il manifesto dell’evento. Il concerto si inserisce in un momento di forte tensione e drammaticità per la popolazione palestinese, e vuole essere un gesto concreto di solidarietà e sostegno. Oltre ai nomi già citati, sono previsti altri ospiti e artisti che saliranno sul palco per sostenere la causa. I biglietti sono disponibili su Ticketone e sono acquistabili anche da chi non potrà essere presente fisicamente.
