Interviste

RITA BOTTO: la mia versione di Rosa

– La cantante catanese in quintetto sabato 12 luglio per la rassegna “Jazz in Vigna” canta i suoi amici autori e la sua amata Balistreri. Il 20 luglio riceverà il Premio Martoglio
– «Io volevo diventare fisioterapista, poi mi ritrovai a fare la cantante». Da Bologna a Catania per riscoprire le radici e se stessa: «La cantatrice del Sud mi ha ridato la Sicilia»

C’è chi insegue il sogno di diventare una popstar e si ritrova soltanto con un po’ di polvere di stelle fra le mani. E c’è chi magari vorrebbe fare la fisioterapista e si ritrova a cantare su prestigiosi palcoscenici. Non è soltanto una questione di fortuna (o come volete chiamarla voi), né di destino, ma di talento, lavoro, applicazione e gavetta. Tanta gavetta. È il caso di Rita Botto, straordinaria e originale interprete delle tradizioni popolari siciliane, che non aveva alcuna intenzione di diventare una rockstar. 

«È stato un caso che io cominciassi a cantare», racconta l’artista catanese. «Io non volevo diventare cantante. Ho studiato e mi sono diplomata come fisioterapista, poi, complice l’amore, sono andata a vivere a Bologna. A quel punto, pensavo di fare la moglie, figli, matrimonio. Tutto questo non è successo e, invece, è accaduto che proprio il mio ex marito mi ha invogliato a cantare, perché io questa passione dentro l’ho avuta sempre e in casa non facevo altro che cantare. Avevamo una amica sassofonista, che faceva le tournée con altri artisti e mi aveva sentito cantare. Quando c’è stato bisogno di chiamare una cantante, lei fece il mio nome e così cominciai. La prima volta che ho tenuto il microfono in mano è stata per la tournée di Ivan Cattaneo. Furono 54 date per l’Italia, per la prima volta mi esibivo davanti a un pubblico. Io facevo dieci brani prima di Ivan Cattaneo e poi passavo ai cori, che non riuscivo a fare».

Prova superata, comunque, tant’è che fu quasi subito convocata da Gianni Bella. «Era il 1991 e in quel periodo Gianni non poteva contare sulla sorella Marcella, perché era incinta», continua Rita Botto. «Fui scelta per i cori e per sostituire Marcella nelle canzoni che facevano in duetto». 

Furono altre 27 date in giro per l’Italia e, soprattutto, al Sud. «Tornata a Bologna mi ritrovai senza conoscere nessuno, senza aver mai suonato. Piano piano, allora, ho incontrato un chitarrista con il quale abbiamo formato un duo: facevo le canzoni di Stevie Wonder, Mina… Ho avuto anche un periodo durante il quale con un’attrice e un chitarrista abbiamo presentato un lavoro sull’esistenzialismo francese, dove io cantavo in francese. Poi la canzone napoletana, gli spirituals… Mi chiamavano per cantare e io imparavo quel repertorio. Mi sono sempre buttata, riuscendo discretamente in tutte le imprese. A un certo punto, cominciai a sentirmi disorientata fra tutte queste cose diverse, non sapevo più dove stavo andando, facevo un po’ di tutto e non ero niente. Finché c’è stato un anno nel quale ho lavorato fissa in una rete privata con altri musicisti, che erano soprattutto jazzisti, e lì ho trovato un gruppo con il quale dopo andavo nei club, facevo serate, e con i quali ho registrato quattro dischi. Tutti musicisti residenti a Bologna ma di origini meridionali. A Bologna negli anni Novanta eravamo tantissimi i siciliani: Giuseppe Finocchiaro, Rotolo, Cusa, Puglisi, ecc ».

  • Quando hai sentito il richiamo della tua terra?

«Scendendo giù a Catania, il compianto Pippo Russo mi regalò una cassetta di Rosa Balistreri e io mi innamorai. Sai come sono i siciliani quando vivono al Nord. Con il gruppo abbiamo cominciato a elaborare e cantare le canzoni di Rosa in chiave jazz. Mentre prima nei club interpretavo gli standard jazzistici, brasiliani». 

  • Rosa Balistreri l’hai conosciuta di persona. Che ricordo hai?

«Ancora facevo jazz, il siciliano era lontano mille miglia. Fu sempre Pippo Russo a chiamarmi: “Passa, passa, che ti faccio conoscere una cantante pazzesca”. Accettai l’invito. Lei stava registrando il disco delle ninne nanne, che credo sia stato l’ultimo che abbia fatto. L’ho sentita cantare, poi vidi uscire questa signora nica nica (piccola, piccola, ndr), ci siamo fumate una sigaretta e lei, che era rimasta senza, mi chiese il favore di andarle a comprare un pacchetto di MS Mild. Ancora mi sentivo molto lontana da lei. È stato dopo qualche anno, un po’ prima che Rosa morisse, quando Pippo Russo mi regalò alcune cassette, che non erano i brani di Natale, erano più belli, che mi innamorai».

  • Possiedi ancora queste cassette?

«Dovrei controllare, ma dovrei averle ancora fra le cassette che ormai non si sentono più. Una era La cantatrice del Sud, in bianco e nero, c’era Curri cavaddu miu, furono quei pezzi che finirono nel mio primo cd, che era una autoproduzione, Donna Rita, che è diventato un disco doppio con Ethnea».

  • Cosa ha rappresentato Rosa Balistreri nella tua carriera? Lei ti riporta in Sicilia in tutti i sensi.

«In un momento in cui mi sentivo persa in mille cose, mi prestavo a tutto come un personaggio in cerca di autore, finalmente con Rosa ho trovato le radici. È come se con lei mi fossi resa conto della mia identità. Finalmente mi riconoscevo. Dover cantare in brasiliano, francese, inglese – lingue che non conoscevo bene – era qualcosa di “appiccicato”, sulla quale non credevo. Quando sono tornata al dialetto e poi ai contenuti di quelle canzoni è stato importantissimo per me. Mi ha ridato la Sicilia. Attraverso le sue canzoni potevo mettere l’interpretazione, il carattere, la pancia, me stessa, che non poteva venire fuori da altri contesti».

  • Il trasferimento da Bologna a Catania ha avuto effetti positivi o negativi?

«Inizialmente un’accoglienza pazzesca. Tutti i premi che ho ricevuto, li ho presi a inizio trasferimento». 

  • Anche adesso prenderai un premio, il Martoglio…

«Finalmente qualcuno si ricorda che ho fatto delle cose su Rosa prima che cominciassero altri. Anche perché lo riceverò insieme a Donatello Finocchiaro e Lucia Sardo. E credo che la mia presenza sia legata a Rosa, quella sera verrà anche proiettato il film L’amore che ho».

  • Tu lo hai già visto?

«No, lo vedrò la sera della premiazione, il 20 luglio». 

  • All’inizio sei stata ben accolta, hai detto, e dopo?

«No, sono stata sempre ben accolta. C’è stato un momento in cui gli strenui difensori della musica popolare siciliana mi hanno criticato per le contaminazioni con il jazz che apportavo. La mia risposta è stata il disco con la Banda di Avola, come a dire: “Queste canzoni con il jazz non vi sono piaciute, adesso le faccio con la Banda, che non c’è niente di più tradizionale”».

Rita Botto con i suoi musicisti

E tra Rosa e il jazz Rita Botto tornerà a muoversi sabato 12 luglio, ospite della stagione 2025 di “Jazz in vigna” – la rassegna open air organizzata nella Tenuta San Michele di Santa Venerina, agriturismo etneo delle cantine Murgo, dall’associazione culturale Algos, che gestisce il Monk Jazz Club di Catania. In quintetto, sarà affiancata da Carlo Cattano al sassofono, Maurizio Diara alla chitarra, Giovanni Arena al basso e Ruggero Rotolo alla batteria. Uno spazio vuoto al posto del piano per ricordare la scomparsa tre anni fa di Giuseppe Finocchiaro. 

«Non ci siamo ancora sentiti di sostituirlo», dice la cantante. «Ho dovuto rinunciare a diverse occasioni che richiedevano piccole formazioni. Soltanto di recente ho fatto una serata voce e piano con il lentinese Luca Letta».

Il concerto sarà una summa dei brani più noti della ormai pluridecennale carriera della cantante catanese, tra pop, Brasile, jazz e blues, Rosa Balistreri e Franco Battiato (Stranizza d’amuri è un suo cavallo di battaglia). 

«In più alcuni inediti ai quali stavamo lavorando con Giuseppe Finocchiaro», annuncia Rita Botto. «Ci sarà Strade Parallele (Aria siciliana) di Giuni Russo, con l’arrangiamento di Giovanni Arena, che abbiamo presentato in una serata al Bellini. Abbiamo fatto anche una versione della canzone Malinconia (Ninfa gentile) di Vincenzo Bellini, che forse inseriremo nei bis. Faremo anche una canzone dedicata al vulcano che è Tu ca non chiagnedi Libero Bovio, un classico napoletano. La scaletta spesso non la rispetto, prevedo dei brani e poi non li faccio. Le scelte avvengono sul palco, dettate dagli umori, dalle sensazioni». 

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