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R.E.M. – “Out of Time”

Ogni domenica, segnalisonori dà uno sguardo approfondito a un album significativo del passato. Oggi rivisitiamo un’opera simbolo degli anni Novanta, esempio di un perfetto equilibrio tra il mainstream e l’indipendenza

L’album Out of Time dei R.E.M., pubblicato il 12 marzo 1991, rappresenta uno dei momenti più significativi della carriera del gruppo statunitense e, più in generale, della scena musicale degli anni ’90. Con questo album, la band di Athens consolida il suo status di band internazionale e riflette sul passaggio da un sound più underground e alternativo a una proposta musicale più accessibile, pur mantenendo intatta la loro essenza. L’album segna un equilibrio tra il pop e il rock alternativo, ampliando la loro portata senza tradire la loro originalità e creatività.

Gli inizi

Per capire l’impatto di Out of Time, è necessario contestualizzare la band all’inizio degli anni Novanta. I R.E.M. avevano già raggiunto una significativa notorietà nei decenni precedenti, grazie a una serie di album iconici come Murmur (1983), Reckoning (1984), Fables of the Reconstruction (1985) e Document (1987). Questi dischi, pur rimanendo fortemente ancorati all’alternative rock, erano riusciti a trasformare i R.E.M. da band di culto in uno dei gruppi di punta della scena musicale americana.

A partire dalla metà degli anni Ottanta, il quartetto composto da Michael Stipe (voce), Peter Buck (chitarra), Mike Mills (basso, tastiere) e Bill Berry (batteria) era riuscito a guadagnarsi una fanbase appassionata, grazie alla loro scrittura criptica, i testi enigmatici e un sound che mescolava il folk-rock, l’alternative rock e il jangle pop. Document (1987), con il singolo The One I Love, rappresentò un punto di svolta commerciale per la band, segnando il loro ingresso nel mainstream, ma senza compromessi significativi sul piano musicale.

L’incontro con la Warner Bros.

Il passaggio dalla IRS Records (etichetta indipendente) alla Warner Bros. Records, nel 1988, segnò una nuova fase nella carriera dei R.E.M. La scelta di firmare con una major discografica aveva un impatto diretto sulla loro produzione, portando alla realizzazione di un album che avrebbe avuto un’enorme influenza sulla scena musicale. Già con Green(1988), i R.E.M. avevano iniziato ad allargare la loro sonorità, introducendo nuove dimensioni musicali e producendo successi commerciali come Orange Crush e Stand, senza però rinunciare alla peculiarità del loro stile.

Out of Time rappresentò, in un certo senso, un passo ulteriore nella loro evoluzione, un abbraccio al mainstream pop senza per questo rinunciare all’autenticità. Il disco non solo segna un rinnovamento stilistico, ma anche un cambiamento nelle tematiche, con una narrazione più personale e riflessiva, lontana dalle dimensioni politiche e sociali che avevano segnato i lavori precedenti.

La genesi di “Out of Time”

Il processo di registrazione di Out of Time avvenne nel 1990, con i membri della band che si riunirono nello studio di registrazione per la prima volta dopo un lungo periodo di tour. A differenza di Green, che fu prodotto dal leggendario produttore Scott Litt, Out of Timevenne concepito con un approccio più aperto e collaborativo, con l’intenzione di esplorare nuove direzioni musicali, spaziando dal rock più tradizionale al pop, fino ad abbracciare influenze folk e country.

Una delle principali innovazioni dell’album fu la sperimentazione con arrangiamenti più ricchi e variegati, che vedevano l’uso di strumenti non tradizionali per un gruppo rock, come il mandolino e la tromba, elementi che daranno al disco una qualità quasi sinfonica. Anche l’uso di cori e arrangiamenti vocali è significativamente più prominente rispetto ai lavori precedenti, contribuendo a un suono più ampio e complesso.

Il successo di “Losing My Religion”

Non c’è dubbio che uno dei momenti chiave del disco sia stato il singolo Losing My Religion. La canzone, che rappresenta il primo singolo tratto dall’album, divenne uno dei brani più iconici dei R.E.M. e uno dei più riconoscibili della musica rock degli anni Novanta. La sua uscita coincise con una rivoluzione musicale che vedeva l’esplosione del grunge, ma anche di un più ampio rinnovamento della scena alternativa.

Losing My Religion si distingue per il suo andamento malinconico e la sua scrittura emotiva, ma anche per la sua audace combinazione di elementi di rock, folk e musica pop. L’uso del mandolino da parte di Peter Buck conferisce alla canzone un’atmosfera unica, e il testo, pur essendo enigmatico come gran parte delle composizioni di Michael Stipe, trasmette un senso di frustrazione e disperazione emotiva. L’immagine di “perdere la religione” in questo caso non è riferita alla fede religiosa, ma a un senso di smarrimento e disillusione personale, tema che tocca un nervo sensibile nel pubblico.

La canzone ottenne un successo commerciale travolgente, diventando uno dei singoli più venduti e suonati del 1991. Inoltre, il video musicale di Losing My Religion contribuì a consolidare l’immagine dei R.E.M. come icone della cultura popolare. Il video, diretto da Tarsem Singh, è celebre per la sua estetica surreale e simbolica, che ben si adatta ai toni misteriosi e lirici della canzone. Il successo del brano portò i R.E.M. a una visibilità internazionale senza precedenti e li consacrò come una delle band più influenti di quel decennio.

Altri brani significativi

Oltre a Losing My Religion, l’album offre una serie di brani che testimoniano la versatilità e la maturità musicale della band. Shiny Happy People è uno dei pezzi più pop del disco, caratterizzato da un sound solare e ottimista, con la partecipazione della cantante Kate Pierson degli B-52’s. Nonostante il suo tono allegro, la canzone è stata anche oggetto di critiche per il suo approccio troppo commerciale, ma nel contesto dell’album si inserisce come un contrappunto ironico alla malinconia di brani come Losing My Religion.

Near Wild Heaven è un’altra traccia che si distingue per il suo inconfondibile sound melodico, mentre Radio Song, il brano di apertura, esplora il rapporto tra la musica e la cultura popolare, affrontando temi di comunicazione e consumismo. La canzone presenta una struttura che mescola il rock alternativo con influenze di rap, una scelta audace che rispecchia l’innovazione stilistica dei R.E.M. nel tentativo di espandere i confini del loro sound.

Texarkana è un’altra perla dell’album, con la sua delicatezza folk e le sue atmosfere nostalgiche. La canzone emerge anche per il modo in cui combina il linguaggio colloquiale con una scrittura lirica e profonda. Il brano offre un altro sguardo sulla capacità dei R.E.M. di trasformare situazioni quotidiane in momenti di riflessione esistenziale.

Le tematiche dell’album

Le tematiche di Out of Time sono ampie e variegate, ma una costante è il senso di disorientamento e la riflessione sul cambiamento. Sebbene il titolo dell’album suggerisca una certa urgenza e una riflessione sul tempo che passa, i testi di Michael Stipe non offrono mai risposte chiare. Al contrario, le canzoni sono pervase da un senso di incertezza, che diventa una sorta di punto di connessione con il pubblico.

Stipe, noto per il suo approccio criptico ai testi, sembra esplorare temi di amore, perdita, identità e alienazione. Se in Losing My Religion la disperazione è palpabile, in Shiny Happy People la superficialità della felicità viene ironizzata, mentre in brani come Near Wild Heaven si percepisce una nostalgia che riflette il desiderio di ritorno a un passato che non esiste più.

In generale, Out of Time è un album che invita alla riflessione, pur rimanendo accessibile e godibile su un piano emotivo e musicale. La bellezza della scrittura di Stipe sta nel fatto che, pur restando in gran parte ambigua e astratta, riesce a comunicare emozioni universali, creando un forte legame con l’ascoltatore.

Il successo critico e commerciale

Out of Time fu un successo sia commerciale che critico. L’album debuttò al numero uno delle classifiche statunitensi e rimase per ben 39 settimane nella Top 10 della Billboard Hot 200. In molti Paesi, l’album raggiunse il primo posto, e anche a livello internazionale ottenne un riconoscimento senza precedenti.

A livello critico, l’album fu accolto con grande entusiasmo. La rivista americana Rolling Stone lo definì uno dei migliori album del 1991, elogiando la sua capacità di unire il lato più pop della band con il suo spirito di innovazione. I R.E.M. riuscirono a mantenere la loro identità pur adattandosi ai cambiamenti del panorama musicale, e Out of Time fu visto come un perfetto equilibrio tra il mainstream e l’indipendenza.

L’album ha rappresentato una svolta nella musica rock, aprendo la strada per altri gruppi alternativi a sperimentare con suoni più accessibili pur mantenendo un’anima indipendente. Inoltre, Losing My Religion divenne una canzone generazionale, simbolo di un’epoca caratterizzata dalla confusione e dall’alienazione, ma anche dalla speranza di una connessione profonda.

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