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Quattro donne per raccontare ROSA BALISTRERI

–  Al Torino Film Fest presentato il film di Paolo Licata “L’amore che ho” sulla vita della “cantatrice del Sud”. A impersonarla nelle diverse fasi della sua vita sono Lucia Sardo, Donatella Finocchiaro, Anita Pomario e Martina Ziami. Nel cast anche Carmen Consoli che cura la colonna sonora
– È l’ennesimo tentativo di rendere popolare la “donna del popolo” che ancora oggi è poco conosciuta anche nella sua terra. Gianni Belfiore: «È stata la nostra Amália Rodrigues. Già allora nessuno la voleva». Alessio Bondì: «Oggi per il palermitano la tradizione non è Rosa Balistreri, che non la conosce nessuno, ma è il neomelodico»

«Oggi per il palermitano la tradizione non è Rosa Balistreri, che non la conosce nessuno, ma è il neomelodico. Tutti conoscono Nino D’Angelo o Geolier, non Rosa Balistreri», diceva Alessio Bondì pochi giorni fa presentando il suo nuovo album Runnegghiè. E due anni fa Isabella Ragonese, parlando del suo debutto cinematografico con Rosa. Il canto delle sirene, trasmesso da Sky Arte, raccontava: «Ancora adesso, quando chiedevo di Rosa alle persone più anziane, loro ne parlavamo come di una prostituta. Girare per locali, suonare e fare tardi, per la gente non significava essere un’artista, ma essere una che non stava rincasando alle otto e non si stava dedicando alla famiglia. Mi sembrava fosse un personaggio rappresentativo della mia città, Sky però non la conosceva, così hanno pensato che sarebbe stato bello far qualcosa per farla scoprire anche ad altri».

La “cantatrice del Sud”, una delle prima cantautrici italiane, è stata davvero l’anima della Sicilia, non a caso paragonata ad Amália Rodrigues, l’“alma do fado”. Ma se l’artista portoghese è ancora oggi venerata nel suo Paese, Rosa Balistreri non ha mai ricevuto nella sua terra gli stessi onori e riconoscimenti. Né quando era in vita, né dopo la sua morte.  

Rosa Balistreri (Licata, 21 marzo 1927 – Palermo, 20 settembre 1990)

La pasionaria di Licata, la donna con la chitarra che non voleva ridurre la sua terra allo stereotipo di Vitti ‘na crozza, la folksinger cara all’intellighenzia siciliana e a Dario Fo, fu un personaggio scomodo per l’establishment (che le chiuse le porte del Festival di Sanremo) e, alla lunga, persino per il Partito comunista isolano, al cui fianco aveva a lungo combattuto. Morì a Palermo il 20 settembre 1990 in miseria o quasi. È sepolta nel cimitero fiorentino di Trespiano. E fino a una dozzina di anni fa pochi si ricordavano di lei.

I tentativi di rilanciarla

Fu Carmen Consoli a riscoprirla con un evento che ebbe un’eco nazionale: il 31 maggio 2008, in piazza Università a Catania, la “cantantessa” riunì sul palco dieci primedonne della scena musicale italiana per cantare le canzoni di Rosa a una terra ca nun sente. Quella sera la Sicilia, e non solo, ascoltò. Due anni dopo, per il ventennale della morte, il regista Nello Correale volle raccontare la cantatrice nel documentario La voce di Rosa, nel quale «la immagino come una straordinaria blues woman, una donna che dà voce ad un sentimento che ti arriva dritto in faccia». Il lavoro vede protagonista Donatella Finocchiaro, che interpreta se stessa alle prese con la realizzazione di uno spettacolo dedicato alla folksinger. 

Successivamente, nel 2017, esce il docu-film Rosa Balistreri – un film senza autore di Marta La Licata, con la regia di Fedora Sasso, con la pubblicazione di alcuni inediti e le testimonianze e l’omaggio di molti intellettuali che con lei collaborarono, fra i quali Andrea Camilleri, Leo Gullotta, Otello Profazio e Gianni Belfiore. Fu proprio il paroliere di Julio Iglesias a lanciare la cantante di Licata. Da questa collaborazione sarebbero nati Amuri senza amuri, uno dei classici di Rosa Balistreri, e A riti e Il viaggio, in cui Belfiore adattò una novella di Pirandello e dalla quale è stato tratto l’omonimo film con Richard Burton e Sophia Loren. «Rosa era un talento unico al mondo», ricorda Gianni Belfiore. «La sua maniera di cantare, la modulazione della voce, erano modernissime. È stata la nostra Amália Rodrigues. Già allora nessuno la voleva». 

Soltanto nel 2018, la Regione Sicilia “scopre” la “donna di Licata”, il cui nome viene iscritto nel “Registro delle Eredità immateriali della Sicilia – Libro delle pratiche espressive e dei repertori orali”. Rosa Balistreri diventa patrimonio culturale siciliano. Ventotto anni dopo la sua scomparsa. Ma, successivamente, passa in sordina anche il trentennale della morte, ricordato soltanto dal film di Isabella Ragonese su Sky Arte. Per fortuna c’è stato Thom Yorke dei Radiohead a rilanciare le canzoni della “donna del popolo” e, oltre oceano, la giovane Amanda Pascali traduce in inglese i brani di Rosa Balistreri “rivitalizzandoli” per portarli in giro per il mondo.

Vedremo se sarà più fortunato il regista Paolo Licata, l’ultimo a tentare di dare il giusto rilievo alla figura della “cantatrice del Sud” con il film L’amore che ho, presentato nella sezione Zibaldone del Torino Film Festival. La pellicola, il cui titolo richiama una delle canzoni più celebri di Rosa Balistreri (L’amuri ca v’haiu, “L’amore che ho per voi”), trae ispirazione dall’omonimo romanzo di Luca Torregrossa, nipote di Rosa Balistreri, e si addentra nei drammi e nelle gioie della vita della donna di Licata.

Il nuovo film

Il film racconta con delicatezza e intensità il tentativo di Rosa Balistreri, ormai anziana, di ricucire il difficile rapporto con la figlia Angela. Il legame tormentato, che alimenta il filo narrativo dell’opera, si sviluppa attraverso un dialogo tra presente e passato, con continui flashback che ripercorrono l’infanzia e la carriera di Rosa. Cresciuta nella povertà più estrema della Sicilia rurale e segnata da esperienze di violenza e discriminazione, Rosa ha trovato nella musica non solo una via di riscatto personale, ma anche uno strumento di denuncia sociale. La sua voce, graffiante e vibrante, è diventata il simbolo delle lotte per i diritti dei lavoratori, contro la mafia e a favore dell’emancipazione femminile, in un periodo cruciale per l’Italia.

Il cast è uno dei punti di forza del film. Lucia SardoDonatella FinocchiaroAnita Pomario e Martina Ziami interpretano Rosa nelle diverse fasi della sua vita, ciascuna restituendo con autenticità un aspetto della sua personalità poliedrica: dalla determinazione della giovinezza alla fragilità dell’età adulta. Tania Bambaci dà volto e anima ad Angela, la figlia di Rosa, il cui rapporto conflittuale con la madre diventa il cuore emotivo della storia. Vincenzo Ferrera è Emanuele, il padre di Rosa, un personaggio impregnato della cultura patriarcale del suo tempo, in cui amore e durezza convivono in un equilibrio drammatico. Loredana Marino interpreta Vincenza, la mamma di Rosa.

In alto, da sinistra: Martina Ziami e Anita Poma. Sotto, da sinistra: Donatella Finocchiaro e Lucia Sardo. Al centro, Rosa Balistreri

Non meno importante è il contributo di Carmen Consoli, che, oltre a interpretare il ruolo di Alice, firma le musiche originali del film. La cantantessa (definizione estrapolata da quella di “cantattrice” legata a Rosa Balistreri), riesce a trasportare nelle sonorità della colonna sonora tutta l’intensità e la passione che hanno caratterizzato la vita e le canzoni di Rosa, alla quale ha dedicato anche lo spettacolo Terra ca nun senti, che ha portato in giro per il mondo. La musica, nel film, non è solo un elemento narrativo, ma un vero e proprio personaggio, capace di scandire le fasi della vicenda e dare voce ai sentimenti più profondi.

«Carmen ci ha fatto cantare»

«Carmen ci ha fatto cantare, abbiamo usato le nostre voci», racconta Donatella Finocchiaro. «Abbiamo lavorato non sulla somiglianza fisica, perché siamo tutte diverse da Rosa, ma ci interessava una comunicazione di anime, di temperamento. Il canto per lei era una forma di riscatto sociale. Col canto urlava contro gli uomini, contro i preti, contro i mafiosi, in difesa dei deboli. Era un canto sociale, politico, di riscatto delle donne. È stata una donna che ha avuto, in quell’epoca, il coraggio di dire “no”».

«Abbiamo tentato di cogliere l’essenza e spero che ci siamo riuscite», interviene Lucia Sardo. «Lei era un’animale, una tigre. Rosa, con il suo sacrificio, ha reso sacro il suo lavoro e la dignità delle donne».

«Per Rosa non esisteva il compromesso, e quando si accorge che i suoi no, il suo andare contro, la danneggiavano, ha proseguito sulla sua strada», aggiunge Anita Pomario. «Lei voleva rimanere fedele a se stessa e a quello in cui credeva. E questo l’ha resa unica». 

Il film non è solo un omaggio a un’artista straordinaria, ma anche un racconto che attraversa un periodo storico di grande fermento per l’Italia. Attraverso la figura di Rosa, il paese di Licata esplora le trasformazioni culturali, sociali e politiche degli anni ’60 e ’70, con uno stile visivo che distingue nettamente le epoche rappresentate. La fotografia dei flashback utilizza tonalità pastello e atmosfere vintage, in contrasto con le tinte più fredde e spoglie del presente, per enfatizzare la nostalgia e il peso dei ricordi. La narrazione si intreccia strettamente con il dialetto siciliano, usato per immergere lo spettatore nelle atmosfere dell’entroterra isolano e sottolineare la connessione viscerale di Rosa con la sua terra.

Prodotto da Dea Film e Moonlight, L’amore che ho arriverà prossimamente nelle sale. 

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