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Quando il JAZZ divenne l’arma della CIA

– Martedì 18 marzo su Prime Video lo straordinario documentario “Soundtrack to a Coup d’Etat” (colonna sonora per un colpo di Stato): protagonista è la musica afroamericana
– Louis Armstrong, Nina Simone, Miles Davis, Duke Ellington e Dizzy Gillespie furono inconsapevolmente usati per i piani segreti dell’intelligence USA in Africa durante la Guerra Fredda

Nominato come Miglior documentario agli Oscar 2025, Soundtrack to a coup d’etat (“colonna Sonora per un colpo di stato”) arriva in Italia martedì 18 marzo sulla piattaforma streaming Prime Video nel canale Iwonderfull. Il film-documentario è una sinfonia che resterà impressa nelle memorie. Le voci e la musica senza tempo di Louis Armstrong, Nina Simone e Miles Davis per raccontare le lotte di indipendenza africana, il movimento per i diritti civili negli anni 60 e la Guerra Fredda, con l’arma più anticonvenzionale degli Stati Uniti: il jazz.

Nel realizzare questo film-documentario, il regista Johan Grimonprez ha utilizzato ogni strumento che il cinema offre. Il suo documentario è ritmico e propulsivo, con suoni e immagini riverberanti giustapposti l’uno all’altro per conferire più significato. Il risultato, in una parola, è meraviglioso. Non puoi distrarti durante questo film. Ma ciò non significa che sia arido o accademico. Soundtrack to a Coup d’Etat è un film furioso ed ellittico, un pezzo di vera storia strutturato come una ragnatela e intriso di vera urgenza. 

La storia al centro è l’ascesa al potere e l’assassinio di Patrice Lumumba, il primo ministro della Repubblica Democratica del Congo, eletto nel maggio 1960, poco prima che il suo Paese ottenesse l’indipendenza dal Belgio. L’omicidio vede la complicità di Belgio e Stati Uniti, per depredare le ricchezze del Congo, un paese ricco di risorse naturali che erano vitali, tra le altre cose, per le armi da guerra dell’Occidente. 

Soundtrack intreccia una serie di fili, tutti annodati l’uno all’altro, anche se i collegamenti non sono sempre chiari fino alla fragorosa conclusione del film. Il premier sovietico Nikita Krusciov visita gli Stati Uniti e si rivolge alle Nazioni Unite, denunciando il razzismo americano e chiedendo la fine del colonialismo. I musicisti jazz neri, come Louis Armstrong, Nina Simone, Duke Ellington e Dizzy Gillespie, vengono mandati a esibirsi in giro per il mondo come “ambasciatori” della buona volontà e della libertà americana, ma la segregazione è ancora la legge in patria. I leader dei Paesi africani e asiatici, appena ammessi alle Nazioni Unite, formano un blocco di voto che potrebbe minacciare l’influenza di potenze mondiali come gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. I leader delle nazioni africane appena indipendenti parlano di formare gli Stati Uniti d’Africa. E mentre Eisenhower chiede che non ci siano interferenze straniere nella politica africana, la CIA ha altri piani.

Soundtrack si concentra in gran parte sugli eventi del 1960, basandosi quasi interamente su filmati d’archivio e sulle memorie e gli scritti di leader e agenti dell’epoca. Il testo, un testo splendidamente progettato, opera del designer Hans Lettany, fornisce il contesto storico e le voci del momento, sottolineate da citazioni sullo schermo. Ma Grimonprez fa roteare un po’ la linea temporale, saltando avanti e indietro quel tanto che basta perché i collegamenti tra gli eventi (la visita di Louis Armstrong in Congo proprio mentre Lumumba è agli arresti domiciliari e gli agenti della CIA arrivano nel Paese, per esempio) inizino a emergere. Ma ciò che fa davvero funzionare Soundtrack è la sua colonna sonora. Il film torna più e più volte a Max Roach e Abbey Lincoln che eseguono il loro album del 1960 We Insist! Freedom Now Suite. Questi famosi musicisti jazz e molti altri forniscono una sorta di colonna sonora, uno slancio magnifico, vivace e ansioso. Li guardiamo suonare e parlare della loro musica, delle loro speranze per i loro viaggi. Eppure, probabilmente non è un caso che il titolo di questo film riecheggi l’acclamato documentario del 2010 Soundtrack for a Revolution, che esplora il potere degli attivisti neri, e in particolare della loro musica, nel movimento per i diritti civili.

Questo film, però, è meno ottimistico. Uno dei suoi fili conduttori principali è l’uso da parte della CIA di musicisti neri inconsapevoli non solo per diffondere soft power all’estero durante la Guerra Fredda, ma anche, potenzialmente, per fornire una cortina fumogena per gli affari più segreti dell’agenzia. Filmati d’archivio e audio di interviste con gli agenti, in alcuni casi molti anni dopo, sottolineano il punto: l’arte era arte, ma era anche uno strumento utile per macchinazioni a cui gli artisti si opponevano apertamente. Questo è il paradosso al centro dell’argomentazione di Soundtrack to a Coup d’Etat: il potere assume molte forme, alcune delle quali sono invisibili a occhio nudo, e ciò che non si vede può essere la più importante. 

Raccontare una storia del genere richiede i dettagli multisensoriali che il cinema fornisce. Sovrapporre una voce che ci dice una cosa a un’immagine che ce ne mostra un’altra, il tutto mentre suona jazz e compaiono testi, può sembrare un po’ un sovraccarico. Provocare un po’ di confusione è il punto. Il potere occulto si basa sul depistaggio, ed è solo guardando indietro che a volte possiamo dare un senso a ciò che è accaduto. Ognuno di questi fili storici, in qualche modo, ha portato alla manifestazione del 15 febbraio 1961 alle Nazioni Unite per protestare contro l’assassinio di Lumumba, organizzata da un gruppo chiamato Cultural Association of Women of African Heritage e guidata da Lincoln, Rosa Guy e Maya Angelou. Ma la storia non finisce lì. Soundtrack stabilisce un collegamento esplicito tra ciò che è accaduto in Congo nel 1960 e il conflitto in corso oggi. Questi eventi sono accaduti un po’ di tempo fa, ma non sono veramente storia, sostiene Soundtrack. Il passato, si potrebbe dire, non è mai morto. Non è nemmeno passato.

Il documentario ha vinto lo Special Jury Award for Cinematic Innovation alla edizione numero 40 del Sundance Film Festival ed è stato candidato agli Oscar© 2025 come Best Documentary Feature.

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