– I segnali sonori più interessanti della settimana. L’EP “Una Luce Più Chiara” del cantautore catanese fra alt-rock e folk-rock. Il nuovo singolo di Damiano David che dai Måneskin svolta verso lo stile alla Harry Styles
– L’album casalingo di Laura Marling e il viaggio di Soccer Mommy. Il punk australiano degli Amyl and the Sniffers. I fantasmi degli Mc5 in “Heavy Lifting”, i Tears For Fears “live” e il ritorno di Tyler, The Creator
– Il concerto di Crosby, Stills, Nash & Young del 1969 allo storico Fillmore East di New York City esce in formato doppio album. Molti vecchi classici e i brani che annunciavano il capolavoro “Déjà Vu”
“Giù”, Licciardi
Una Luce Più Chiara è finalmente un album che racconta una storia, carico di sentimenti ed emozioni, di buona musica lontana dalle banalità di cui è zeppo il dilagante urban o indie pop. Una Luce Più Chiara è il nuovo EP di Michele Licciardi: una raccolta degli ultimi quattro singoli del cantautore catanese di stanza a Bologna collegati dalla scoperta del grande cantautore inglese Nick Drake e dalla contestuale uscita da un periodo buio. Un EP che nasce un momento di grande insoddisfazione personale e sconforto dovuto alla pandemia del 2020 in cui Licciardi aveva pensato di smettere con la musica. Un giorno però è proprio la musica a salvarlo grazie alla visione di un documentario su Nick Drake, fino a quel momento poco conosciuto dall’artista di origini siciliane colpito specialmente dal brano Leave me hangin’ on a star: il sentimento di disperazione e sconforto di Nick Drake in quel brano diventa anche un po’ quello di Licciardi e si trasforma in energia positiva ispirando nuove canzoni, più sincere.
Oltre a Nick Drake c’è un po’ di ispirazione alternative rock da un lato e una presenza costante del folk-blues dall’altro. Il riff di Art Attack, ad esempio, nasce dopo aver divorato il disco Born And Raised di John Mayer e il folk tradizionale statunitense, mentre Emilia Nascosta trova la sua genesi dopo un’overdose di alternative rock italiano (Afterhours in primis) e inglese. L’EP risulta diviso totalmente a metà: i primi due brani (Emilia Nascostae Art Attack) sono un mix di questi generi, a testimoniare ancora l’incertezza del viaggio. Gli altri due (Giù e Un Metodo) prettamente più acustici, vanno a braccetto verso una meta più definita dal punto di vista musicale, a testimoniare, viceversa, che la meta diventa più chiara. Da qui il titolo Una Luce più chiara, ispirato a sua volta dall’album Bryter Layter di Nick Drake.
«Questo EP rappresenta per me il ritorno a una scrittura sincera e personale», spiega l’autore. «Ho chiuso un capitolo durato tre anni, iniziato per le strade nebbiose della Bassa, colate di cemento, supermercati vuoti con Emilia Nascosta e terminato con Un Metodo e la sua rievocazione della Natura e del Cosmo. È stato un viaggio emozionante e doloroso, generoso e severo, faticoso e eccitante e ho provato a raccontarlo in queste quattro canzoni».
“Born with a broken heart”, Damiano David
Dopo Silverlines arriva Born with a broken heart, il nuovo singolo di Damiano David, nuovo tassello del progetto solista che segna una parentesi nella sua attività con i Måneskin che gli hanno dato grande notorietà nel mondo. Nel video del brano Damiano balla e canta il suo “cuore spezzato”. Il cambio di registro non è solo nel look, con l’addio ai costumi eccessivi, trasgressivi e gender fluid ai quali ci aveva abituato con la band romana, a favore di un outfit da uomo più maturo, giacca e pantaloni morbidi, canotta da latin lover a ricordare il cinema che fu, abbinati a baffetti e capelli impomatati. Il cambio è anche stilistico, il brano si incanala sulla scia di Harry Styles. È un pezzo di pop commerciale internazionale.
«Quando ho scritto questa canzone, stavo uscendo da un momento molto buio, mi sentivo apatico e avevo paura di aver perso la mia capacità di sentire e provare sentimenti, sia positivi sia negativi», dice Damiano in un comunicato stampa. «Tutto questo è successo nel momento in cui stavo iniziando la più importante relazione della mia vita e la paura di non essere pronto o all’altezza era enorme. Penso che questa canzone sia stata un modo per dare un senso a quello che provavo, guardando il tutto da una prospettiva meno spaventosa. Sono felice di non sentirmi più così adesso, ma penso che molte persone possano ritrovarsi in questo senso di inadeguatezza».
Sul video diretto da Aerin Moreno, a metà strada fra le scale del Teatro Ariston e Broadway, aggiunge: «Rappresenta la mia fantasia. Un mondo dove, indipendentemente da tutto, una volta varcata la porta, tutto diventa magico e bello. È un modo per dire che non tutto ciò che è negativo ti farà del male, ma a volte ti porterà effettivamente al capitolo successivo della tua vita. Tutti abbiamo la capacità di trasformare le esperienze negative in qualcosa di significativo per noi».
“Patterns”, Laura Marling
Laura Marling ha iniziato la sua carriera così giovane che una volta le è stato impedito di entrare nel suo concerto, per anni ha protetto la sua privacy e la sua vita personale, circondandosi di mistero. Il suo settimo disco, Song for Our Daughter, pubblicato nella primavera del 2020, aveva segnato un cambiamento. Cancellati i grandi paesaggi sonori dei tre album precedenti – l’oscurità di Once I Was an Eagle; la foschia arrabbiata di Short Movie; il blues sexy e stracciato di Semper Femina – ha abbassato un po’ la guardia, aprendosi al mondo. Patterns in Repeat, l’album pubblicato oggi, è ancora più intimo. Ci sono chitarre, ma nessuna percussione, e la voce di Marling non raggiunge mai i suoi toni più pieni. Le canzoni sono caratterizzate da una quiete casalinga e da quella che sembra l’insistenza di Marling sul fatto che ci sia bellezza, così come saggezza e gioia, da trovare al suo interno.
Il disco arriva sulla scia della nascita di sua figlia. Sin dal brano iniziale, Patterns sembra essere un album sulla maternità, con titoli come Child of Mine, No One’s Gonna Love You Like I Can e Lullaby. La prima di quelle canzoni apre l’album con i suoni delle chiacchiere domestiche: un uomo e una donna che parlano, un bambino che emette vagiti. La scelta è strutturale, però, non tematica: Marling ha fatto il disco nel suo studio di casa, mentre sua figlia era ancora una neonata, e l’ingannevole semplicità del domestico si estende intorno alle canzoni come una cornice. È il loro contenitore; è il luogo da cui partono e il luogo in cui tornano.
“M”, Soccer Mommy
Nei primi anni di Soccer Mommy, Sophie Allison ha arricchito le sue abilità di cantautrice concentrandosi prima sul nucleo del suo mestiere e poi sulla strumentazione decorativa. In Evergreen, il suo quarto album in studio, torna al cuore del primo suono. Dopo la pubblicazione del precedente lavoro Sometimes, Forever nel 2022, la cantautrice ha vissuto una perdita personale che l’ha segnata in modo profondo. Da questa esperienza sono emerse nuove canzoni, riflessioni coraggiose e a volte anche divertenti su ciò che stava vivendo, che ancora una volta hanno rappresentato la sua maniera di chiarirsi le idee. Evergreen è il risultato di tutto questo: un viaggio di undici tracce attraverso i sentimenti, come se Sophie ti stesse guidando tra le strade della sua città d’origine, Nashville, con il sole del Tennessee che splende mentre ascoltate insieme una cassetta che racconta il periodo buio che ha vissuto.
Il nuovo album è cinematografico e tenero, tanto grande quanto singoli come Driver e Abigail. Con un piccolo aiuto dal produttore Ben H. Allen III, Allison passa dal soft indie-rock alle canzoni guidate da chitarre acustiche come Lost e M con facilità.
“Big Dreams”, Amyl and the Sniffers
«Sei uno stupido stronzo / Sei uno stronzo / Ogni volta che parli borbotti, brontolio / Devi pulirti la bocca dopo aver parlato perché è uno stronzo, stronzo / Stupido cazzone». I punk australiani sputano ancora, ma aggiungono un po’ più di smalto. Con le loro parolacce, il ritorno di Amy Taylor e compagni potrebbe sembrare come al solito, ma si scoprono nuove profondità melodiche e preoccupazioni liriche si rivelano. Sulla linea sottile tra il genio e l’assurdità da cartone animato, spinti inesorabilmente in avanti dalle loro tumultuose esibizioni dal vivo, con l’album Cartoon Darkness immettono in alcune canzoni quell’energia cinetica per trasformare un’animazione underground di culto in un un blockbuster 3D, carne e sangue.
Chiunque non abbia familiarità con Amyl and the Sniffers potrebbe imparare molto su di loro dal fatto che quando una chitarra acustica appare fra le nove canzoni ed i venti minuti del loro terzo album, sembra davvero scioccante. Finora, il quartetto australiano aveva avuto a che fare con un marchio di punk che porta con sé il marchio del pub e il rude patrimonio culturale pop della loro patria. Un album immediatamente irresistibile che – proprio come la battuta di apertura – è franco, senza paura, divertente e fantastico.
“Heavy Lifting”, MC5 feat. Tom Morello
Occorre subito precisare che Heavy Lifting non è un album MC5. È vero, sulla copertina il disco è attribuito ai MC5, ma questo è il lavoro di Wayne Kramer, che è stato una parte di vitale importanza di quella grande band come chitarrista e cantautore. Quando iniziò a lavorare su questo album, gli unici membri del gruppo ancora in vita erano Kramer e il batterista Dennis Thompson, che suona la batteria su due tracce, troppo poco per chiamare in ballo gli MC5. Kramer e Thompson morirono nel 2024, mesi prima che Heavy Liftingpotesse vedere l’uscita (e prima dell’introduzione a lungo attesa degli MC5 nel Rock & Roll of Fame), trasformando l’album in una celebrazione dei fantasmi invece di un vero revival.
Heavy Lifting non suona come un album MC5: la roboante produzione hard rock di Bob Ezrin manca del fuoco singolare dei più grandi momenti della band, mentre le canzoni di Kramer hanno una sensazione e uno spirito molto diversi da quelli creati su Kick Out the Jams del 1969, Back del 1970 o High Time del 1971. Heavy Lifting appare un po’ diverso da quegli album, puntando a molta più spavalderia, una produzione più professionale e una rifinitura che suona pronta per la radio, anche se è realizzato pensando agli anni Ottanta e Novanta, piuttosto che a ciò che verrebbe suonato nel 2024. (La presenza dei chitarristi ospiti Slash, Tom Morello e Vernon Reid avrebbe avuto più peso allora che ora, indipendentemente dalla forza dei loro contributi.). Anche se Heavy Lifting non è all’altezza del lavoro di Kramer negli anni Novanta, si avvicina abbastanza per ribadire il suo status di eroe chitarrista veterano e saggio proto-punk.
“NOID”, Tyler, The Creator
È uscito ieri a sorpresa NOID, il primo brano ufficiale estratto dall’attesissimo nuovo album di Tyler, The Creator, Chromakopia, in uscita il prossimo 28 ottobre. Accompagnato dal video diretto dallo stesso Tyler, The Creator, che ha totalizzato già più di 4 milioni di visualizzazioni in meno di 24 ore, il brano arriva dopo la pubblicazione di St. Chroma, un video introduttivo con cui l’artista ha lanciato il suo nuovo progetto discografico.
Recentemente Tyler, The Creator ha anche annunciato la lineup della decima edizione del suo Camp Flog Gnaw Carnival, in cui presenterà per la prima volta dal vivo i brani del nuovo album. Artista poliedrico, rapper, produttore, cantautore e stilista californiano, Tyler, The Creator sta per tornare con un nuovo progetto discografico che, ancora una volta, sembra mostrare la costante voglia dell’artista di superare confini e stilemi della musica e dell’arte.
“The Girl That I Call Home”, Tears For Fears
Primo album ufficiale live dei Tears For Fears, Songs For A Nervous Planet, con quattro nuove tracce incise in studio, tra le quali The Girl That I Call Home. Sulla creazione dell’album e del film, Curt Smith ha dichiarato: «Abbiamo deciso di filmare lo spettacolo dal vivo l’anno scorso. Penso che molte persone non sappiano che dal vivo siamo una buona band, in realtà! Vedono un duo, e pensano che sul palco ci saranno solo due persone con un paio di tastiere e un mucchio di materiali preregistrati come accompagnamento. Nel corso degli anni, siamo notevolmente migliorati rispetto a quello che viene considerato il nostro periodo di massimo splendore, gli anni Ottanta». Roland Orzabal aggiunge: «Non abbiamo mai pubblicato un album dal vivo ufficiale, quindi si potrebbe dire che questo sia un album in lavorazione da quarant’anni».
Parlando del nuovo singolo, Roland Orzabal ricorda: «Mia moglie Emily mi è stata accanto per anni, mentre cercavo di scrivere per lei una canzone d’amore. Alla fine, ce l’ho fatta. Ero alle Hawaii, portavo con me il telefono e ogni giorno provavo a cantare sulla base musicale: molte, moltissime volte. Ma non mi riusciva assolutamente di trovare un titolo adatto. Poi una sera, sono andato a letto e ho fatto quella cosa – sapete, quando ci rivolgiamo all’universo… – e ho chiesto: “Per favore, dammi una mano, dammi, un titolo che funzioni”. Mi sono svegliato la mattina dopo con The Girl That I Call Home. E mia moglie lo adora».
“Long Time Gone”, Crosby, Stills, Nash & Young
Dopo aver suonato il loro secondo spettacolo a Woodstock nell’agosto del 1969, David Crosby, Stephen Stills, Graham Nash e Neil Young trascorsero il resto dell’anno in tournée e scrivendo canzoni per quello che sarebbe diventato il debutto di CSNY nel 1970, Déjà Vu. Una registrazione multitraccia recentemente scoperta del concerto della band del 20 settembre 1969 allo storico Fillmore East di New York City cattura un primo momento di quel primo tour e viene pubblicata come doppio album dal vivo.
La scaletta mette in luce i futuri classici del debutto omonimo di CSN e Everybody Knows This Is Nowhere di Young con Suite: Judy Blue Eyes, Helpless Hoping e Down By The River. Il concerto presenta anche le prime versioni di due futuri brani dei Déjà Vu. Stills offre una straordinaria performance acustica da solista della sua ballata introspettiva 4 + 20, seguita da Nash, da solo all’organo, che canta Our House ispirandosi a Joni Mitchell, che era tra il pubblico di Fillmore. Nel set acustico, Young ha fatto un cenno ai Buffalo Springfield (la sua prima band con Stills) suonando I’ve Loved Her So Long“, una canzone che ha scritto per l’ultimo album del gruppo, Last Time Around del 1968. Il set elettrico è potente e intenso, evidenziato dalle versioni di Wooden Ships, Long Time Gone e Sea Of Madness. La band chiude lo spettacolo con Find The Cost Of Freedom, una nuova canzone di Stills che in seguito sarebbe stata pubblicata come “lato B” dell’inno di protesta Ohio.