– I segnali sonori più interessanti della settimana arrivano da artiste che hanno il coraggio di sperimentare e di uscire dai cliché imposti dal mercato. Si chiamano FKA twigs, Nala Sinephro, Nilüfer Yanya, Lady Blackbird, Gera Bortolone, Giulia Mei, Giuseppina Torre
– Francesco Lurgo emerge da un immaginario acquatico, mentre Alessio Bondì canta la trasformazione profonda come l’esplosione di un corpo che deflagra e si fa musica, estasi, rito. Una citazione per il leggendario bassista Tony Levin e il suo disco autobiografico
“Eusexua”, FKA twigs
Il titolo del terzo album in studio di FKA twigs, Eusexua, è un termine che la cantante del Regno Unito ha coniato per descrivere quello che lei chiama «uno stato dell’essere» e «l’apice dell’esperienza umana». Da una prospettiva puramente etimologica, si traduce in «buon sesso». Solo «non chiamarlo amore», insiste Twigs nella title track, che è il primo singolo dell’album.
Eusexua è una canzone techno minimalista ispirata al tempo in cui l’artista viveva a Praga. All’inizio di questo mese, ha presentato in anteprima il suono del progetto con un teaser di un minuto, che è caratterizzato da frenetici ritmi della giungla.
La voce soprano angelica di Twigs viene riflessa attraverso ritmi di computer delicatamente pulsanti e sintetizzatori ondulati mentre lotta per esprimere un sentimento che «le parole non possono descrivere», così intenso che apparentemente può deformare il tempo. Il testo obliquo della canzone afferma i limiti del linguaggio: “King size, I’m vertical sunrised”, canta, allungando ogni sillaba. Una raffica di battiti si accumula gradualmente fino a quando, nel minuto finale, la traccia raggiunge un’intonazione frenetica che assomiglia a qualcosa come l’estasi o l’orgasmo.
“Continuum 1”, Nala Sinephro
Lei è una compositrice belga di origini caraibiche che vive a Londra. Non ha nemmeno 30 anni e il suo primo disco, Space 1.8 (uscito per la prestigiosa Warp Records) è stato un successo di critica che l’ha portata a suonare nei principali festival europei, e non solo, grazie a un mix di ambient e spiritual jazz sulle tracce di Alice Coltrane, ma in chiave contemporanea.
Adesso pubblica Endlesslessness, album incentrato su un arpeggio. La compositrice modula questa frase ascendente, la estende, la suona più lentamente e la lascia scivolare nell’inudibilità fino a farla scomparire. Ci porta come una marea attraverso le dieci tracce dell’album, tutte chiamate Continuum, un nome perfetto per ognuna, anche se questo LP non è una serie di variazioni su una singola composizione. Ogni dettaglio si trasforma in una clip implacabile. Lascia che la tua mente vada alla deriva. I 45 minuti di durata assomigliano a un lago: ampio, sereno, coerente, mai piatto.
“The Gentle Whale”, Francesco Lurgo
L’immaginario acquatico è al centro anche di The Gentle Whale, secondo album da solista di Francesco Lurgo, il primo per la storica etichetta indipendente 13 / Silentes, in uscita il prossimo 23 settembre. È la metafora di un suono liquido, come il mare costantemente cangiante, dalla tenuità dei momenti ambient alla minacciosità restituita dalla pressione sonora. Basta dare uno sguardo all’artwork di copertina o leggere i titoli di molti brani in scaletta per lanciarsi in balia delle onde.
Il musicista e produttore torinese di base a Milano, ex FLeUR, non dimentica comunque sia l’ammirazione verso il mondo delle colonne sonore contemporanee e l’amore per la melodia, che resta l’elemento fondante dei pezzi. Proprio il respiro della melodia caratterizza in particolare la title track, The Gentle Whale, scelta come estratto di anticipazione accompagnato da un video realizzato dal medesimo Lurgo, film-maker di professione. La traccia, dall’incedere organico, quasi tattile, deriva solamente da sorgenti sonore acustiche, per quanto pesantemente manipolate, e poggia sul campionamento di strumenti a corda, chitarre elettriche effettate e gli ispirati violini di Vito Gatto, ricercatore sonoro attivo in molti ruoli all’interno della scena italiana, presente anche in un altro episodio dell’album. «The Gentle Whale è un delicato acquerello», sottolinea l’autore. «Nel suo titolo ci sono due riferimenti importanti: la fascinazione per gli elementi acquatici, costante fonte di ispirazione estetica e sinestetica, e un tratto di giocosità quasi da favola infantile che, se in apparenza stona con l’austerità della maggior parte dei suoni, è per me un aspetto fondamentale per l’approccio alla composizione, che in un progetto intimista e personale ritengo debba essere quello di un bambino intento a sporcarsi le mani».
“Bringing It Down to the Bass”, Tony Levin
Nell’ultimo mezzo secolo, Tony Levin è stato un prolifico session man e uno degli artisti più attivi dal vivo. Ha contribuito con il suo talento a oltre cinquecento album tra cui 15 con Peter Gabriel e 18 con King Crimson (contando live, studio e compilation) insieme a contributi al lavoro di John Lennon, Alice Cooper, Lou Reed, Herbie Mann, Paul Simon e molti altri. In tour, ha viaggiato per il mondo molte volte con i suddetti King Crimson, Peter Gabriel e molte delle sue band tra cui Stick Men
Bringing It Down to the Bass è il suo primo album del 2007 ed è una sorta di autobiografia in musica, ci suonano tra gli altri Vinnie Coliauta, Larry Fast, Robert Fripp, Steve Gadd, teve Hunter, Manu Katche, Jerry Marotta, Pat Mastelotto, Dominic Miller, Mike Portnoy, L. Shankar, Earl Slick, Jeremy Stacey, David Torn.
“Let Not (Your Heart Be Troubled)”, Lady Blackbird
Lady Blackbird è la star che speri non diventi una supernova per tenerla segreta. I paragoni con Tina Turner sono inevitabili, ma non ha la stessa energia e sensualità della compianta “regina del rock”. Blackbird è un’artista più dolce e piena di sentimento, più vicina a Gladys Knight. La sua voce sbalordisce, rara e inconfondibile. Quando due anni fa si presentò sul palco del Festivalle di Agrigento, all’ombra del Tempio di Giunone, indossando un mantello e un copricapo di piume nere su una parrucca bianca, sembra una dea venuta dal futuro.
L’allora trentottenne artista di Los Angeles era al suo esordio, dopo aver fatto di tutto, dai concerti di cover nei bar degli hotel al rock, r&b e soul, aveva pubblicato il primo album Black Acid Soul. «Ho dovuto trovare la mia via d’uscita da una tomba per poter finalmente respirare e cantare di chi sono veramente», dice Lady Blackbird a proposito del nuovo disco. «Questa sono io, piena di libertà, accettazione e senza ipocrisia. È una cosa con cui molte persone possano relazionarsi: la ricerca per trovare se stessi e riprendersi la propria forza».
Collaborando ancora una volta con il produttore di Black Acid Soul, Chris Seefried, la coppia produce un secondo album che non solo incarna il suono libero ed emotivo di Lady Blackbird, ma che attinge anche a testi profondamente vulnerabili che raccontano la difficile ascesa della cantante alla celebrità musicale.
Nel prendere in mano la propria vita e il proprio suono, Lady Blackbird percorre un nuovo sentiero, rendendo ogni nota di Slang Spirituals un passo in una direzione radicalmente diversa. Attraverso 11 tracce, Lady Blackbird mette a frutto la sua travolgente potenza vocale cinematografica in tutto, dalle fanfare orchestrali soul di Let Not (Your Heart Be Troubled) alla narrazione folk finger-picking di Man On A Boat, dall’euforica emancipazione gospel di Like A Woman ai sette minuti di strumentale soul psichedelico di When The Game Is Played On You.
“Just a Western”, Nilüfer Yanya
Nilüfer Yanya è una cantautrice intrigante. Nel suo album di debutto Miss Universe, le sue canzoni sono state collegate da note vocali ispirate a Black Mirror, con clip inquietanti agganciate a un’azienda sanitaria immaginaria chiamata “WWayHealth” (We Worry About Your Health). Creando una narrazione intorno al disco attraverso questa minacciosa organizzazione. Il secondo lavoro, Painless ha visto Yanya fondere influenze in una musica «dark e jerky in stile Nirvana, post-punk in stile Bloc Party».
Il terzo album, My Method Actor, mette ancora una volta in mostra la creatività della cantautrice londinese: post-punk, schitarrate, frustate di grunge e lussureggianti melodie vocali accompagnano tutti i testi ruminanti di Yanya. Il disco è stato realizzato con Wilma Archer (Sudan Archives, Celeste), una collaboratrice di lunga data che ha anche lavorato sui suoi due dischi precedenti.
“Bandiera”, Giulia Mei
La giovane cantautrice palermitana laureatasi al Conservatorio della sua città ha superato all’unanimità le prime selezioni di X Factor 2024 con questo singolo, recente vincitore del Premio della Critica a Voci per la Libertà – Amnesty International 2024.
Del singolo, Giulia racconta: «Questa non è una canzone, è uno sfogo senza mezzi termini, il mio, di me Giulia, di me donna. Esattamente io che torno a casa a Milano col cuore in gola, io che rispondo in direct ai paternalismi di chi mi spiega come mostrare il mio corpo, io che ho paura dei compleanni perché vivo l’invecchiamento come una colpa, io che vivo la mia sessualità come uno stigma e ci ho dovuto pensare un bel po’ prima di pubblicare questo pezzo, perché la sessualità di una donna è bella e buona solo quando non si entra nei dettagli. Ma sono proprio i dettagli di essere donna che mi interessano, quelli di cui non si parla mai, quelli sottopelle che però fanno male, fanno male da secoli, da occidente a oriente. Sono i particolari di una quotidianità invivibile e inconciliabile con una libertà di plastica che fa notizia ma che non mi protegge dagli abusi. Io voglio solo una libertà che mi accompagni sotto casa, che mi faccia sentire così orgogliosa della mia fica da portarmela addosso come una bandiera, una cazzo di bandiera che faccia luce in mezzo al buio più totale».
Il video è pensato come fosse un flusso di coscienza, un climax destinato all’esplosione, realizzato attraverso una sorta di piano sequenza nervoso e instabile. Inizia rappresentando una sensazione di frustrazione e soffocamento attraverso la scelta di un ambiente claustrofobico e oscuro, per arrivare alla liberazione, che poi è il tema fulcro della canzone, e che viene rappresentata dalla scena in cui Giulia Mei suona il pianoforte, che è l’unica parte del video dove la luce si fa strada e spezza finalmente il buio.
“Abballati”, Gera Bortolone
«Sono una donna siciliana, non appartengo a nessuna cappella…», queste parole, contenute nel testo di Abballati (etichetta discografica Sonora Recordings, distribuzione Absilone), racchiudono il significato del nuovo singolo della cantante e compositrice nata tra le montagne nel cuore della Sicilia. Il brano, scritto dalla stessa Gera, anticipa il nuovo album Femmina (in uscita il 18 ottobre) ed è accompagnato dal videoclip. «Questa canzone mi è stata ispirata dai movimenti ipnotici delle danze rituali», racconta l’autrice. «È una danza liberatrice. Esorta tutte le donne, indipendentemente dalle loro origini, all’emancipazione. È una sequenza incantatoria di loop di violoncello, di riff saturati di chitarra, di figure ritmiche sovrapposte».
“Fiesta Nivura”, Alessio Bondì
È il nuovo racconto del cantautore palermitano, prodotto da Fabio Rizzo, «una metamorfosi vissuta come una festa intima, che nasce nel buio di uno spaesamento per tendere alla luce, all’incontro con la collettività». In Fiesta Nivura (etichetta discografica Maia, distribuzione Ada Music Italy), Alessio Bondì canta la trasformazione profonda come l’esplosione di un corpo che deflagra a partire dalla lingua e dal cuore e si fa musica, estasi, rito. Come un fuoco d’artificio che serpeggia verso l’alto per esplodere.
“Rebel Soul”, Giuseppina Torre
Brano estratto da The Choice, il terzo album della pianista e compositrice siciliana, accompagnato dal video girato e diretto dall’artista visivo Dagon Lorai. Immagini in animazione e immagini reali si alternano, creando un potente contrasto. Da un lato la fantasia, l’artificiosità, il colore, il pastiche, tecniche diverse che si fondono, dall’altro l’immagine di Giuseppina Torre che evoca la realtà, instaurando un dialogo visivo che spinge a riflettere sulla propria identità, sull’importanza di essere se stessi e di ribellarsi agli stereotipi imposti da una società sempre più dominata dalle apparenze e filtrata dai social network.
«Nello scorrere di questi tempi viviamo avvolti da prigioni di massima insicurezza nelle quali non sappiamo di essere rinchiusi. Fra le sbarre dell’identità fatte di tecnologia e desideri materiali, lasciamo che a dominare il nostro tempo siano meccanismi automatici attivati delle false personalità», dichiara Giuseppina Torre. «Teniamo la testa china sui nostri smartphone fusi con le nostre mani e veniamo liquefatti nel mare della frivolezza di massa. Le persone oggi, se le osserviamo attentamente, assomigliano a bizzarre figure dadaiste, sembrano collage di vizi da ritagli di vecchi giornali. Dualismo e menzogna sono lo scenario sul quale incediamo dove recitano attori di ogni sorta. La verità è che ci troviamo in tempi di ribellione, di liberazione dalle catene interiori ed è proprio questo il momento in cui, dalla parte più bassa di questi giorni, aprendo il terzo occhio, quello dell’arte, è possibile ritrovare la libertà vera che è l’emancipazione dall’identità. L’identità è qualcosa che ci viene conferita dagli altri e non corrisponde alla verità che siamo. Quindi affrancarsi da ciò è faticoso ma necessario passando dalle strettoie delle nostre difficili vite. Le immagini e i suoni sono la giusta dimensione in cui un artista può lavorare ed essere ciò che è, ovvero colui che descrive il tutto attraverso l’uno secondo verità. Le Anime Ribelli sono quelle che hanno scelto di fronteggiare le difficoltà della vita, senza usare violenza ma la forza della volontà. Fra scenografie finte, costumi e maschere, le uniche cose autentiche, restano le donne e gli uomini dall’anima ribelle!».