– Vengono dall’Italia le novità più interessanti: dall’Abruzzo un evocativo e visionario progetto che si muove fra Cure e Mogwai. Parte dall’antica Thailandia il viaggio di Cemento Atlantico fra elettronica, house, future garage, post-dubstep, world music
– La vena malinconia de La Municipàl forse un po’ troppo simili ai Baustelle e il dream pop dei milanesi Swan Seas. Al di sotto delle aspettive “Radical Optmism” di Dua Lipa. Da scoprire la cantautrice anomala Jessica Pratt. Il divertente retro dei Lemon Twigs
“Like a Metamorphosis”, Oslo Tapes
È un brano straordinario accompagnato da un video allucinato e vintage. Buio, dark, ipnotico, elettronico, psichedelico, evocativo e visionario, Like a Metamorphosis è estratto da Staring at the Sun Before Goin’ Blind, quarto album del collettivo formato dall’abruzzese Marco Campitelli che, dopo un viaggio nella capitale norvegese, si muove fra Cure e Mogwai. In questa composizione collabora con il musicista avant-psichedelico Kaouenn (all’anagrafe Nicola Amici), e vede all’arrangiamento e alla produzione Amaury Cambuzat, storico membro di Faust ed Ulan Bator, nonché collaboratore di lungo corso del collettivo.
Della sua trasposizione in immagini si sono occupati gli artisti visivi Marco Di Battista (regia) e Nicola Antonelli (performer) realizzando un lavoro avvincente e contaminato, fra body art, allucinazioni lynchiane e cinema espressionista tedesco. Le maschere utilizzate sono invocazione ed evocazione di quello che si nasconde dentro ogni uomo e che risuona ad ogni movimento innaturale dei performer in una danza rituale e dismorfofobica.
“Garawek Khaos”, Cemento Atlantico
È il singolo che annuncia l’uscita di Dromomania, il nuovo album di Cemento Atlantico, in uscita il 21 giugno, basato sul desiderio irrefrenabile di viaggiare senza tregua, sul nomadismo, vagabondaggio, anche musicalmente: elettronica, house, future garage, post-dubstep, world music. Garawek Khaos segna la prima tappa in Thailandia.
Realizzato con una telecamera fissa, il video che accompagna il brano racconta tramite appunti su bloc-notes la storia del brano e delle evoluzioni socio-politiche che hanno appunto caratterizzato la Thailandia dal 1932 a oggi. A proposito del brano, il DJ romagnolo Alessandro “ToffoloMuzik” Zoffoli, ideatore dl progetto, dice: «Ho registrato la melodia di khaen, uno strumento a fiato a scala pentatonica tipico della tradizione laotiana e thailandese, da una musicista di strada nei pressi del tempio Wat Phan Tao nella città di Chiang Mai. Il suo suono è simile a quello del violino, ma in origine fu creato da una donna che stava cercando di riprodurre il verso degli uccelli Garawek che colmavano i giardini dei reali. Il tema canoro è invece frutto di una registrazione concessami durante i festeggiamenti di un matrimonio a Chiang Mai. La donna più anziana dedica un canto di augurio alla giovane coppia, affinché ritrovi la libertà perduta del Regno di Siam che fu. I canti di protesta sono stati infine registrati ai margini di Khaosan Road a Bangkok, nel corso di una manifestazione studentesca contro il potere governativo».
“Odio cantare”, La Municipàl
È il nuovo singolo de La Municipàl, presentato live sul palco del Concertone del Primo Maggio di Roma. Forse un po’ troppo Baustelle, con la consueta vena malinconica, Odio cantare è un brano introspettivo che esplora le riflessioni contraddittorie di chi, pur essendo musicista di professione, non ama stare sotto i riflettori. La Municipàl, in tensione tra la personale riluttanza a stare al centro dell’attenzione e la necessità di cantare per diffondere la propria musica, racconta questo paradosso con una vena ironica, in una critica velata alla superficialità della società contemporanea.
«La cosa che odio di più al mondo è cantare, per questioni caratteriali non amo stare al centro dell’attenzione, e questo ovviamente è un controsenso per chi fa il musicista di mestiere», spiega Carmine Tundo, animatore del progetto La Municipàl. «Ma cantare è l’unico modo per poter portare in giro la propria musica e questo forte contrasto ha generato sempre una grande forza creativa. In questo brano emerge l’ironia di questo paradosso, immerso in un contesto sociopolitico italiano che sembra andare in una direzione di autodistruzione».
“Fuzzy Feelin”, Swan Seas
Singolo tratto dall’album Songs in the Key of Blue, nove brani cantati in inglese, nove fotografie che cristallizzano la prima fase di vita della band milanese, sviluppatasi a cavallo della pandemia Covid-19 e caratterizzata da continui cambi nella formazione. I brani ruotano attorno al classico triangolo chitarra/basso/batteria, ma la palette sonora si arricchisce anche di inserti elettronici e di drum machine. Le coordinate musicali vertono su un indie rock di impronta ‘anni Novanta di scuola sia UK che USA, venato di sfumature shoegaze e dream-pop.
“The Last Years”, Jessica Pratt
C’è già così tanto da ammirare di Jessica Pratt l’artista folk: i suoi testi ellittici, la sua chitarra soffice e la sua voce carezzevole. Ma l’etichetta di cantautrice folk non cattura la vera essenza della canzone di Jessica Pratt. È difficile da descrivere, come un sogno che non va da nessuna parte ma sembra comunque che dovresti parlarne in terapia. Nell’angolo in basso a destra del testo che accompagna l’uscita fisica del suo quarto album, Here in the Pitch, Pratt include una citazione di Leonard Cohen, tratta da un’intervista a Crawdaddy del 1975 sulla genesi del songwriting e sulla fiducia nel proprio processo: «Il fatto è che hai voglia di cantare, e questa è la canzone che conosci».
La grande gioia di Here in the Pitch è familiarizzare con questa misteriosa musica che Pratt conosce così bene. Ce ne sono nove qui che ammontano a meno di mezz’ora di musica, degno di nota non solo in un’era di uscite golose, ma anche perché è lo stesso numero di tracce e durata del suo ultimo disco, Quiet Signs, che ha pubblicato cinque anni fa. Ora, per la prima volta nei suoi album, c’è un po’ di batteria leggera e synth, alcune linee di basso e bongo. Eppure, niente di questo rende la musica più grande. Musica intima in uno spazio più ampio.
“How Can I Love Her More?”, Lemon Twigs
Ci può essere una linea sottile tra parodia e pastiche. Basta chiedere ai Lemon Twigs, un progetto dei fratelli Brian e Michael D’Addario, che provengono dall’improbabile cittadina di Hicksville, USA, e ora risiedono a New York City. Nel 2016, quando hanno pubblicato il loro debutto vintage ispirato al rock Do Hollywood, quando erano ancora adolescenti, le loro influenze erano così orgogliosamente retro che avresti pensato di aver scoperto un vecchio vinile degli anni ‘Settanta. Il look era glam rock, il suono nello stile di Todd Rundgren.
A Dream Is All We Know, dal quale è tratta questa selezione, quinto album in studio, li vede divertirsi nelle armonie dei Beach Boys. In qualche modo, riescono a comportarsi come se tutto questo non fosse mai stato fatto prima, e qui si trova gran parte del loro fascino. A 25 e 27 anni rispettivamente, Michael e Brian continuano a sfruttare un’accattivante ingenuità che ti porta oltre qualsiasi accusa di non originalità. «L’album punta a qualcosa di senza tempo», ha recentemente detto Michael a Mojo, ed è impressionante quanto spesso questo disco sia all’altezza di questa ambizione.
“These Walls”, Dua Lipa
Anche se sono passati quattro anni dal suo secondo album Future Nostalgia, la ventottenne britannica albanese-kosovara è rimasta onnipresente grazie a varie campagne pubblicitarie di marchi di lusso e alle copertine delle riviste, ai ruoli nei film Barbie e Argylle, al suo podcast e club del libro e al tour ritardato dalla pandemia. Nonostante questa visibilità, sembra glamour, distante. È abbastanza ammirevole che si rifiuti di dare in pasto la sua vita privata a paparazzi o social, specialmente quando il sottotesto delle celebrità non è mai stato un motore più potente del successo pop. Allo stesso tempo, è difficile decifrare cosa rappresenta come artista, e più difficile che mai ascoltando il confuso Radical Optmism.
Una manciata di canzoni sono nella scia degli ABBA: Training Season ha il vigore di una Lay All Your Love on Me o Gimme! Gimme! Gimme; These Walls suona agrodolce come The Winner Takes It All. Alcune sembrano adatte all’Eurovision. Ma come per gran parte dell’album, le canzoni sono brutalmente sovraccaricate e hanno un disperato bisogno di respiro.