Playlist

Playlist #46: Battiato letto dal mondo arabo

– Le uscite discografiche della settimana
–  Il nuovo disco degli Yard Act. Tornano i Dandy Warhols e sono in buona compagnia. Canzoni d’amore, sofferto o tossico, per Baby Rose e Lucia Rizzo
– La coraggiosa confessione di Poppy Ajudha. Melodiosi e gioiosamente familiari, i Vampire Weekend in “Classical”
– Franco Battiato riletto dalla band araba Fusaifusa. «Cos’è una casa?», si chiede K-ANT. Il pop impopolare di Vasco Brondi

“A Vineyard for the North”, Yard Act

Il primo disco degli Yard Act li aveva presentati come una delle tante band sull’onda crescente del revival post-punk britannico (anche se indiscutibilmente come uno dei migliori), ma il nuovo Where’s My Utopia? mescola le carte, ci mostra una band in crisi di identità, disorientata. Gli Yrad Act escono dalla scia post-punk in favore di qualcosa di completamente diverso, pur mantenendo lo spirito iniziale. La musica è ancora in gran parte guidata dai bassi, e le chitarre, serpeggiando e volteggiando attorno ai meticolosi aforismi di Smith, costituiscono certamente un suono che si potrebbe definire “jangly”. La novità è la vertiginosa foschia a cascata di sintetizzatori e campioni, di fiati, di graffi sui dischi e di effetti vocali disorientanti che, nonostante tutto il loro senso di frenesia disperata e caotica, servono da ancora indispensabile per fissare i temi e le storie dell’album. I suoni culminano in qualcosa di simile a un vortice, spesso dando la sensazione, nel caso di canzoni come Fizzy Fish o Down by the Stream, di una raffica cangiante di idee o concetti che emergono dal subconscio del narratore e si arrampicano l’uno sull’altro, per poi dissolversi al contatto con le tue orecchie. È il genere di cose che rendono Where’s My Utopia? come un album che ti sfugge costantemente di mano, ispirando curiosità ed euforia come fastidio.

“I Will Never Stop Loving You”, The Dandy Warhols feat. Debbie HarryEsce Rockmaker, nuovo album della band alt-rock di Portland: pesante ma melodico, fa uso di pedali wah-wah per chitarra e fuzz prevalente, una mente fermamente fissata sulla psichedelia hippy. In magnifica compagnia, affiancati da una prestigiosa lista di reali del rock composta da Slash, Debbie Harry e Black Francis, le cose erano sempre destinate ad andare alla grande.  Non c’è da meravigliarsi che questa miscela di rock grezzo funzioni splendidamente. Anche se mancano l’equivalente di Bohemian Like You o Everyday Should Be A Holiday, l’album si rivela ricco di spunti, le sue trame compatte e gli strati di volume soddisfano qualsiasi desiderio di spavalderia leggera. 

“One Last Dance”, Baby Rose

Baby Rose pubblicherà il nuovo progetto Slow Burn il 12 aprile. La cantante ha un’anima antica in un corpo giovane e unisce R&B vintage con inflessioni jazz, realizzando qualcosa di senza tempo e assolutamente suo. Il nuovo progetto Slow Burn è stato costruito in studio con BADBADNOTGOOD, la troupe di Toronto che si è occupata esclusivamente della produzione. Come anticipazione, ha fatto uscire lo stupendo singolo One Last Dance: infinitamente evocativo, sembra sospeso senza sforzo nello spazio, come granelli di polvere nell’aria, illuminati da un riflettore. 

Una canzone che le sta a cuore, nata come un country prima di diventare qualcosa di diverso, come commenta lei stessa: «BADBADNOTGOOD e io abbiamo registrato questa canzone il giorno in cui ci siamo incontrati, proprio mentre si avvicinava la sera. Ne ho chiesto un’altra, una canzone country, e quando sono arrivati gli accordi, ho cantato con il cuore senza bisogno di scrivere le parole. One Last Dance è importante per me perché riflette i miei sentimenti di desiderio e amore per qualcuno che mi vede come la cattiva nella sua storia. Anch’io lo incolpavo, ma con il tempo ho capito dove sbagliavo e alla fine ho sperato in una possibilità di rimediare. C’è una parte forte di me che vorrebbe poter riprovare, far finta che tutto non sia mai andato in pezzi, anche se sa che non sarà mai più lo stesso. Il desiderio riguarda meno la persona e più i sentimenti dietro i ricordi che abbiamo condiviso». Vera testimonianza dei crescenti dolori della vita, la musica è una dolce sottolineatura di un addio desideroso e senza orgoglio.

“Sto correndo forte”, Lucia

È il nuovo singolo di Lucia Rizzo, catanese classe 1999. Lucia dà voce a una donna in rinascita e finalmente libera dalla relazione distruttiva con un manipolatore affettivo. La protagonista della canzone chiude la comunicazione con chi l’ha fatta soffrire e corre incontro al domani con ritrovata fiducia in se stessa. «Ancora c’è chi ci etichetta come il sesso debole», dice Lucia. «C’è ancora chi sostiene che in base a come ti vesti o a quando decidi di rincasare te la sei cercata. C’è chi ritiene di poterti controllare a vista come un’auto parcheggiata in bella mostra sotto casa. A me stessa, a tutte le donne di oggi e a quelle di domani con Sto correndo forte voglio ribadire che possiamo e dobbiamo essere più forti delle avversità e delle manipolazioni di chi vuole impedirci di continuare a splendere e di credere in noi stesse».

Sto correndo forte è firmata da Giuliano Lopis, che aggiunge: «Questo brano nasce dalla congiunzione tra più elementi. Le sue sonorità soul e blues esprimono intensità e dolore mentre la contaminazione trap ha il sapore di rivalsa, di riscatto. Ho scritto il testo ispirandomi a una storia vera: una brutta vicenda di narcisismo e dipendenza affettiva subita da una persona a me molto cara. Una storia drammatica ma con un finale di rinascita e di speranza».

“My Future”, Poppy Ajudha

La cantante londinese fonde neo-soul, jazz e incredibile lirismo. Un’artista che va sempre un po’ più in profondità, e con questo nuovo singolo apre un nuovo capitolo. «Questa canzone è una celebrazione del mettere i miei sogni e le mie aspirazioni al primo posto e della possibilità di godere della gioia di essere me stessa autentica», commenta. «Un tema importante nella mia vita è che le persone possono andare e venire, ma avrò sempre la mia musica, è la mia costante più importante e sarà sempre il mio primo amore. Ho scritto questa canzone quando mi sentivo così concentrato sui miei sogni che tutto il resto sembrava una distrazione». 

«A volte devi essere egoista per capire cosa vuoi, ma sfortunatamente non tutti nella tua vita lo otterranno», continua. «Voglio che le persone ascoltino questa canzone e sappiano che nessuna persona o cosa può ostacolare i loro sogni. Abbiamo tutti bisogno di un sistema di supporto amorevole ma, alla fine, nessuno può riempirti la tazza come puoi fare tu!».

“Classical”, Vampire Weekend

Melodiosi e gioiosamente familiari, i Vampire Weekend ritornano con un pizzico di nostalgia. Scritta dal frontman Ezra Koenig , la traccia presenta la produzione del collaboratore di lunga data Ariel Rechtshaid. Accentuando le vibranti composizioni della band, giocose sezioni di archi vengono messe insieme alla dolcezza di Koenig. Il gruppo si appoggia alle stranezze dei loro primi lavori, mantenendo le cose fresche e uniche nel loro suono.

Il brano rappresenta il terzo assaggio del prossimo album dei Vampire Weekend, Only God Was Above Us, in uscita il 5 aprile tramite Columbia Records. Traendo ispirazione dalla New York del XX secolo, i singoli precedenti Capricorn e Gen-X Cops rivelano un aspetto più grintoso dell’ensemble, espandendo la loro visione dell’indie-rock. 

“L’ombra della luce”, Fusaifusa

Nell’album Lamana, in una dimensione che è al tempo stesso umana e spirituale, terrena e cosmica, i FusaiFusa non potevano che incontrare idealmente, lungo il loro percorso, un artista come Franco Battiato che più di tutti, nella cultura italiana ed europea, si è avvicinato al sufismo e alla cultura araba. Ne viene fuori la rilettura di L’ombra della luce, un pezzo firmato dal Maestro nel 1991 per l’album Come un cammello in una grondaia. Alla solennità orchestrale del brano originale, i FusaiFusa sostituiscono la dimensione sonora che più gli appartiene, conferendo a questa preghiera all’universo e al rapporto fra vita e morte un’aura ancora più mistica. I Fusaifusa sono: il compositore e polistrumentista curdo-siriano Ashti Abdo, il percussionista e producer elettronico tunisino Taha Ennouri e il cantante e autore di musica Sufi, anch’egli tunisino, Ali Belazi.

“Ma maison”, K-Ant

Terzo estratto dal disco Cenere” di K-ANT (che si legge “chei-ant”), artista pugliese che si muove fra rap e nu soul, elettronica e rock. Il brano Ma maison è uno tra i più particolari contenuti nel disco. Le chitarre, prima melodiche e poi distorte, sembrano andare all’unisono con una sezione ritmica cadenzata e a tratti irruenta, il cui sottofondo è un piano malinconico unito ai suoni di tastiera. Allo stesso modo il testo: le rime taglienti e veloci delle strofe sono intervallate da un ritornello in francese che, come fosse un mantra, si ripete con accenti spostati e differenti.

«Che cos’è una casa?», si chiede. La sua riposta è: «Una realizzazione personale per molti. Per altri è un porto sicuro, dove poter essere finalmente tranquilli e in pace con se stessi. Sentirsi a casa, sentirsi abbracciati da un calore che pochi posti al mondo, fuori da quelle quattro mura mentali e non, riescono poi a darci». Il videoclip, diretto da Alessandro de Leo, gioca molto sul concetto di fuggire o affrontare le proprie paure e responsabilità: ogni volto rappresenta una sfaccettatura di noi stessi, delle nostre voci interiori che a modo loro ci parlano. Sta a noi capire se affrontarle o fuggire da esse, come e dove sentirsi più a casa, senza restarne sopraffatti. 

“Incendio”, Vasco Brondi

Poetico e profondo, Vasco Brondi esce con Un segno di vita, un album pieno di fuochi da custodire che bruciano e illuminano come spiega lo stesso cantautore. «Mi sono rapportato alla scrittura di questo disco un po’ con l’idea e la volontà di togliere uno strato in più e arrivare sempre più nel profondo, arrivare sempre più all’essenziale e a scoprire qualcosa forse dal nucleo di me stesso, dal nucleo incandescente della terra e l’ho chiamato Un segno di vita forse anche per un senso di reazione in questi tempi che vengono considerati bui e che sono anche difficili per provare a portare l’attenzione anche sulle cose che brillano, sulle cose luminose; provare quindi a entrare in questi tempi bui e a schiarirli, e usare le canzoni come dei fuochi della notte.

Il disco esce con un libro che si chiama Piccolo manuale di pop impopolare, «perché credo che il mio genere, anche quando è pop, sia pop impopolare. E mi piaceva l’idea di misurarmi, anche con quella durata, i tre minuti di una canzone, ma provare a forzarne i confini dall’interno, a metterci dentro parole che normalmente non entrano nelle canzoni, trasformare anche le canzoni in dei mezzi di trasporto, delle macchine del tempo e dello spazio, pieno di luoghi geografici, di storie, di persone in ricerca e quindi però stando dentro alla forma canzone». Gran parte dell’album è stato registrato in un rifugio a 2.500 metri d’altezza.

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